Per la 27esima edizione del Festival delle Colline Torinesi è la compagnia Motus ad essere scelta per la sezione monografica, dedicata ad artistǝ che hanno avuto particolare importanza nella storia sia del festival che del teatro italiano in generale. La compagnia porta in scena tre spettacoli, una rassegna di video e diversi film – in collaborazione con il Museo Nazionale del Cinema – oltre ad altri frammenti di spettacoli ed esperienze di vita, proiettati alla Fondazione Merz; a completare il panorama Motus, un’installazione fotografica di circa 10.000 scatti riguardanti i 31 anni di storia del gruppo, offerti come dono/souvenir al pubblico che varcherà le soglie del Padiglione di Torino Esposizioni.
Domenica 30 e lunedì 31 ottobre è l’atteso MDLSX a dare inizio alle danze, presso il Teatro Astra di Torino, spettacolo che, a partire dal debutto avvenuto al Festival di Santarcangelo 2015, ha collezionato grandi applausi oltre ad una quantità notevole di repliche in tutto il mondo. Scritto in forma di monologo/vj set da Daniela Nicolò e, per quest’occasione, dalla stessa Silvia Calderoni – performer e dj, attrice totem della compagnia da dieci anni – con la regia di Enrico Casagrande, il lavoro conferma le aspettative, a giudicare dagli evidenti segnali di consenso da parte del pubblico.
Sulla scena, a fondo palco, un lungo tavolo metallico; davanti, un grande tappeto triangolare di materiale riflettente, color oro; luci fluo colorate, stile Motus, che accompagneranno gli spettatori per tutto il viaggio. Lo spettacolo si apre con il video di una riconoscibile Calderoni ragazzina che intona “c’era un ragazzo, che come me, amava i Beatles e i Rolling Stones…” ad un karaoke. Questo è il primo dei frammenti che appariranno, si intrecceranno e si sovrapporranno con le immagini in diretta della performer in scena, dando vita ad esplosioni virtuali che – a partire da spiragli su mondi passati – comporranno una nuova narrazione presente, pur sempre autentica, al ritmo incessante di una playlist a tratti nostalgica, ma decisamente godibile e prorompente.
«Sono nato due volte: bambina, la prima, un giorno di gennaio del 1960, in una Detroit straordinariamente priva di smog, e maschio adolescente, la seconda, nell’agosto del 1974, al pronto soccorso di Petoskey, nel Michigan» J.E.
L’ambivalente fisicità di Silvia Calderoni è il dispositivo tematico e drammaturgico di MDLSX, nel quale si oscilla costantemente tra frammenti autobiografici e stralci trasposti da un romanzo – Middlesex di Jeffrey Eugenides –, in un fluido mescolarsi dei confini tra fiction e realtà, femminile e maschile, identità dell’attrice e quella del personaggio. Questo corpo androgino, tuttavia, non è che la condizione di partenza attraverso cui vengono sviscerati e lanciati in campo alcuni temi ancora controversi su corpo e sessualità. Nell’impasto di una drammaturgia sapientemente cucita intorno alle esperienze di Silvia/Calliope (successivamente Cal), citazioni che vanno da Judith Butler al manifesto di Paul P. Preciado, da Donna Haraway ad altri Manifesti Queer, sono parte organica del discorso centrale dell’opera, senza incappare mai nel pericolo di diventare un collage o pastiche di paroloni tratte da figure autorevoli. Tutti questi materiali, spunti e necessità sono, invece, la sostanza stessa da cui scaturisce la composizione drammatica; è tangibile, infatti, il profondo lavoro di elaborazione e riflessione che è stato condotto per lo spettacolo, da Calderoni in primis. Per cui non soltanto il pubblico crede e segue in ogni istante il caleidoscopico viaggio attraverso cui viene condotto, in un vorticoso susseguirsi di musica e aneddoti, quasi diaristici, ma – ad un ulteriore livello – è la vera e propria scrittura della piéce ad essere a mio parere lodevole, funzionando in toto; merito non soltanto della performer, ma anche del fatto che ciò che vive sulla scena è – innanzitutto – in grado di toccare senza voler dire, imitare o rappresentare: semplicemente, è.
There is no Way to lose. If there was a way, then, when sun is shining on pond, and I go West, thou East, which one does the true sun follow? which one does the true one borrow? since neither one is the true one, there is no true one way. And the sun is the delusion Of a way multiplied by two And multiplied millionfold.
Lo spettatore viene trascinato quasi senza accorgersene per le stanze di una casa molto 90s in cui chiunque può, chi più e chi meno, riconoscersi, per poi essere subito dopo proiettato di corsa per le strade di città vagamente kerouacchiane, da cui emergono figure sfocate e luccichii, in un perpetuo movimento che parte da uno slancio vitale troppo forte per poter essere ignorato; slancio che evidentemente è affermazione di sé, della propria libertà, della verità che si ha già in mano, condita da una febbrile dose di autoironia e spirito di adattamento.
L’immagine moltiplicata, mediata e trasformata è uno degli elementi attraverso il quale passano narrazione e significati, oltre ad un utilizzo lucido e corretto del linguaggio. Quando in un certo momento Cal/liope cerca sul dizionario il termine che descriva la sua particolare condizione e – infine – fa riecheggiare la parola MOSTRO, il pubblico percepisce un peso derivato non solo dall’empatia creatasi, ma anche dall’abisso che si apre non appena si sfiorino aspetti che rimandano ai meccanismi di esclusione e discriminazione derivanti dai secoli di violenze di una società patriarcale, che subito piombano d’un tratto sulle spalle.
E in questo contesto in effetti MDLSX è, come viene presentato, un “ordigno sonoro, inno lisergico e solitario alla libertà di divenire, al gender b(l)ending, all’essere altro (…)”, in perfetta sintonia con l’identità del festival che, anche quest’anno, mantiene la linea tematica di «confini/sconfinamenti». Quello che vien fuori con furore dallo spettacolo di Motus è, appunto, una figura che abita una ambivalenza di fondo, che sia quella del corpo reale dell’attrice in scena, quello dell’ermafrodito Calliope di Eugenides, o qualsiasi altro corpo non conforme, e di questa ambiguità se ne fa totalmente carico; anzi, di questa apparente mostruosità ne vuole scoprire le implicazioni, accettando di transitare in un territorio sconfinato che può, forse, portare a quelle identità postnazionaliste di cui parla Rosi Braidotti in Nuovi Soggetti Nomadi.
Senza pretese di alcun tipo, senza volersi collocare a fianco di chi rivendica diritti e rivoluzioni, senza voler diventare il volto di rappresentanza di determinate istanze universali, senza accompagnare il pubblico in un percorso di formazione o catarsi, in questo spettacolo si trova il puro e semplice manifestarsi di un soggettività libera che sta al mondo e basta. Che ci scuote perché, prima di tutto, è un (coraggioso) atto di lotta esporsi così, come si è sempre statǝ.
Valentina Bosio
Con Silvia Calderoni
Regia Enrico Casagrande, Daniela Nicolò
Drammaturgia Daniela Nicolò, Silvia Calderoni
Suoni Enrico Casagrande
Produzione Motus
In collaborazione con La Villette – Résidence d’artistes 2015 Parigi, Create to Connect (EU project) Bunker/ Mladi Levi Festival Lubiana, Santarcangelo 2015 Festival Internazionale del Teatro in Piazza, L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino, MARCHE TEATRO
Con il sostegno di MiC, Regione Emilia Romagna