MARCO CORSUCCI – LE MIE PAROLE VEDRANNO PER ME

Uno sguardo interno e amplificato

Nell’ambito della stagione 2023/24 del TPE Teatro Astra è stato presentato un lavoro di ricerca sullo sguardo in relazione alla cecità, tematica che attraversa i 25 spettacoli selezionati per questa stagione.

Le mie parole vedranno per me nasce dalla proposta di Andrea De Rosa, direttore del TPE, a Marco Corsucci e Andrea Dante Bernazzo, giovani talenti del teatro contemporaneo, di indagare il tema della cecità attraverso la loro attenzione verso la percezione visiva e il ruolo delle immagini, già intrapresa nei precedenti lavori.

A guidare gli artisti nella fase d’ideazione sono stati alcuni testi come Cataratta di John Berger, Blue di Derek Jarman e Citomegalovirus di Hervé Guibert: veri e propri diari e racconti di malattia, di perdita o recupero della vista.

La drammaturgia del lavoro ruota intorno alla preziosa collaborazione con le associazioni U.I.C.I. Torinese (Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti) e A.P.R.I. (Associazione Pro Retinopatici e Ipovedenti) con cui è stato per loro possibile raccogliere testimonianze reali di persone cieche o ipovedenti. L’accessibilità diventa così l’elemento portante del lavoro, accompagnato dalla figura di Marco Bongi, uno dei diciassette partecipanti al progetto, che abita la scena insieme al pubblico.

La performance inizia con un’audiodescrizione della stanza ed un invito ad indossare delle cuffie. È una stanza abbastanza raccolta, in cui lo spettatore si ritrova seduto ai due lati opposti, separati dalla presenza centrale del peformer. L’ambiente si fa più intimo con il calare delle luci e ben presto ci si ritroverà spontaneamente ad occhi chiusi. La scena è occupata dalla quasi immobilità del performer che si limita a mettere in moto un videoregistratore alternando le cinque audiocassette appoggiate sulla scrivania dove si trova seduto.

Sono diari sonori, ricchi di evocazioni, riflessioni e ricordi che s’incarnano nel corpo dello spettatore il quale, seppur seduto, viene mosso emotivamente e fisicamente nell’universo del racconto. La scena rimane statica, tutto accade nell’immaginazione di chi ascolta.

Improvvisamente, un rumore rapisce l’attenzione e gli occhi si aprono per comprenderne la provenienza: è la stampante braille, situata sul pavimento della stanza, che sta stampando qualcosa. Il performer si alza per raccoglierne i fogli e ritorna alla scrivania per decifrare e leggere il contenuto:

«Così questo testo non avrà illustrazioni, ma solo l’inizio di una pellicola vergine. Perché questo testo è la disperazione dell’immagine, qualcosa di peggio di un’immagine sfocata o velata: un’immagine fantasma».

(Hervé Guibert
L’immagine fantasma)

Successivamente, l’intera azione nella sua componente sonora verrà riprodotta in cuffia creando un effetto straniante: è come se attraverso la sola riproduzione audio fosse possibile rivedere l’azione appena compiuta. Una stratificazione di livelli sonori tra la voce del performer registrata in cuffia, le registrazioni vocali degli altri partecipanti e la restituzione sonora dell’ambiente che ci circonda.

Il risultato è un’esperienza sonora immersiva che risveglia ogni senso e amplifica le nostre percezioni interiori. Grazie alla tecnica di registrazione binaurale si è in grado di vivere la sonorità spaziale di ciò che circonda le persone nei racconti: una passeggiata al parco, una partita di tennis. Situazioni in cui bisogna affidarsi ad altri sensi o tecnologie, anche quando intorno non sembrano esserci indizi spaziali. Come cambia il ricordo delle strade della tua città quando perdi la vista, come immagini il tuo volto e il tuo corpo cambiare nel tempo.

La scelta del titolo, estrapolata da un verso dell’Edipo a Colono di Sofocle, rimanda a questa condizione dello spettatore, che come Edipo viene attraversato e guidato dalle presenze/assenze dei racconti in prima persona, ascoltati in cuffia per l’intera durata dello spettacolo.

La possibilità di farne diretta esperienza ad occhi chiusi per un tempo così prolungato permette non solo di porsi domande sul vivere la cecità, ma porta altrettante riflessioni sul nostro modo superficiale di guardare il mondo, causato soprattutto dalla molteplicità delle immagini che giungono ai nostri occhi ogni giorno.

Il lavoro, attraverso una condizione mai abbastanza conosciuta, vuole mostrare una modalità di guardare il mondo in profondità a cui dovremmo prestare maggiore attenzione.

Giorgia Ponticello

Regia Marco Corsucci
Dramaturg Andrea Dante Benazzo
Con Marco Bongi
Con le voci di Fabio Bizzotto, Marco Bongi, Angelita Cipriani, Dajana Gioffré, Eugenio Mattiazzi, Simona Tesio, Alessandra Zerbinati
Suono Dario Felli e Federico Mezzana
Luci Alessio Pascale
Datore luci Alessia Massai
Fonico Francesco Dina
Direttrice di scena Yasmin Pochat
Disegno modello 3D Andrea Belli
Stampa 3D service “PolyD”
ProduzioneTPE – Teatro Piemonte Europa
In collaborazione con Intesa Sanpaolo / Area X
E con Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti – Sezione territoriale di Torino e A.P.R.I. Onlus
E con la partecipazione al progetto di Raffaella Albertengo, Walter Boffa, Omar Echbarbi, Pericle Farris, Sara Frigerio, Vanda Mencaglia, Stefano Mercurio, Paolo Peroglio, Valter Primo, Ambrogio Riili

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