Pratica bizzarra l’arte teatrale. Beffarda fin dall’etimo, che rimanda al vedere. Vedere che cosa? la presenza di un corpo che si dà e l’attimo dopo si nega alla vista.
Occuparsi di teatro vuol dire avere dimestichezza con l’assenza. Si tratta di un corteggiamento che non trova sfogo: l’oggetto d’amore è scomparso l’attimo dopo a quello in cui si è mostrato.
La cosa più bella che ci è sembrata da fare per celebrare il teatro oggi, in questa sua giornata internazionale, è provare, brevemente, a fare insieme a voi, questo gioco: tentare di inseguire, per pochi istanti, l’immagine di Eleonora Duse, nel centenario della sua morte.
Lo facciamo con i due testimonianze di spettatori dell’epoca.
“Si direbbe che quelle sue braccia lunghissime siano le ali della sua intelligenza, destinate a portare ogni spettatore il significato di ciò che dice. Mi dicono che la sera, la parte di lei più stanca sono le mani, e che, prima d’andare a letto, se le leva e le chiude in un astuccio di velluto. C’è chi sostiene che quelle mani sono artificiali, perché, vere, non potrebbero reggere a tanto lavoro. Non credo che stia in questo il verismo. Però essa ha il fascino, un fascino inesplicabile che tutti sentiamo dinnanzi alla grande incantatrice, si direbbe che ella porti con sé un talismano pel quale costringe all’ammirazione di sé i più restii, i più dubbiosi, i più timorosi di darsi a certi entusiasmi” (Giulio Piccinni, 1893)
“Finisco la lettera dopo lo spettacolo; dal momento in cui ho scritto le ultime parole a ora sono passate soltanto dodici ore, eppure mi sembra di aver vissuto un anno. Non sono capace di raccontarti l’impressione che ha prodotto su di me la recitazione della Duse. Provavo una angoscia che mi stringeva il cuore, avevo voglia di piangere […]. Chi può spiegare l’impressione che producono i suoi occhi meravigliosi, pieni di lacrime? Non è bella, ma di fronte al suo sorriso, al suono della sua voce divina, Romeo avrebbe dimenticato Giulietta e Otello la sua gelosia. Getta la testa all’indietro a parla del proprio amore con una passione così ardente, le sue carezze sono così intense, che senti il sangue affluirti al cuore. Quando poi si presenta al pubblico, dopo momenti simili, chiamata da applausi frenetici, il suo viso esprime sofferenza, e lei sussurra parole, chinando la testa. Nessuno che abbia una minima sensibilità può uscire dal teatro senza essere innamorato di questa donna, e senza provare un senso di vaga, pungente angoscia. Ti dico, è una cosa terribile”
(Lettera privata citata in un articolo di Sergio Kara-Murza del 1932)