La percezione dell’estasi
“Ah! I have kissed thy mouth, Jokanaan, I have kissed thy mouth. There was a bitter taste on thy lips. Was it the taste of blood?… But perchance it is the taste of love….”
La compagnia madalena reversa torna al Festival delle Colline dopo il suo precedente lavoro Manfred del 2022.
No, non c’è nessun errore, il nome della compagnia è proprio in minuscolo, il motivo lo svelerò dopo; madalena reversa è un progetto artistico, creato da Maria Alterno e Richard Pareschi nel 2016, che fonde performing, visual arts e danza multimediale.
Dopo il teatro, la musica, l’opera e il cinema non poteva mancare la Salomè sotto aspetto rappresentativo di transmedia wave. Qui viene coreografata e interpretata da una bravissima Gloria Dorliguzzo.
Veniamo accolti da una nebbia che accompagna tutto lo spettacolo come un respiro sospeso nell’aria. Appare uno schermo che interagisce con noi, mostrandoci una frase dell’opera di Oscar Wilde: “Non ci sono Dèi adesso. Ho passato notti, cercandoli dappertutto. Non li ho trovati, Li ho chiamati, Non sono apparsi. Penso che siano morti.” Silenzio, poi a lenti e agognati passi, accompagnata da una musica tetra, entra Salomè.
La musica o per meglio dire i suoni che pervadono la performance la fanno sentire un essere antropizzato dal malessere percepito come una condizione di fragilità umana. Le luci stroboscopiche e psichedeliche dialogano e danzano con la musica, s’intervallano alla forza del suono emettendo spasmi e sputando scie chimiche voltaiche.
Ha un significato profondo questa Salomè sia come drammaturgia musicale che come drammaturgia della danza, essendo l’opera teatrale già di per sé un dramma scritto nel periodo post-romantico di fine Ottocento.
Siamo attratti da una performance fisica di danza non-danza, da un’interpretazione coreografica che, prendendo spunto dalle ultime pagine del testo, traduce le parole in movimenti coreutici, formando una drammaturgia del movimento all’interno di un discorso concentrato sulle azioni del solo corpo.
Il timing dei gesti di Salomè ci trasporta in un mondo onirico, tetro, illuminato solo da fievoli luci giallastre, rossastre, bluastre. I passi sono sintonizzati con le tonalità della musica e appaiono appesantiti da una forma epilettica che parte dai piedi fino ad arrivare allo stomaco. L’interpretazione del corpo e del movimento rimandano all’ansia del vivere contemporaneo.
Avvolta in una felpa nera, bermuda neri e stivaletti neri, questa Salomè non ci fa quasi mai vedere il viso, lo nasconde, come quando inarca il busto verso l’alto fino a farsi “tagliare” la testa e rimanere sospesa per pochi secondi: pura azione emozionante che sintetizza l’intera performance.
Ed eccolo il profeta, rappresentato come “Monolite Jokanaan”, causa di desiderio e di morte per Salomè. Egli urla, grida, maledice tutti emettendo suoni che irrompono nella sala come lampi diegetici. Salomè è attratta da lui ma viene respinta e qui inizia il climax tra di loro; tra una cambio stroboscopico e l’altro lei indossa una specie di museruola formata da una mezza protesi inferiore a mandibola argentata. Ed eccola danzare attorno ad lui, inteso come oggetto del desiderio. Lo vuole tutto per sé, si arriva ad un amplesso con lei che si butta ai suoi piedi, divarica le gambe, si spoglia dalla felpa per rimanere in una t-shirt grigio topo, luci e suoni la trasportano impazzendo tra loro e poi…poi buio di nuovo fino al momento dell’inizio della forza tragica. Una sorta di “danza dei sette veli” psicotica che culmina con la dura forza nell’uccisione di lui.
Posseduta e dilaniata dai sensi di colpa, Salomè irrompe con una mazza da baseball mentre sul finale una luce bianca accecante punta dritto sul pubblico.
Si arriva alla forza degli ultimi gesti, prima della catastrofe, ovvero avvicinarsi al “Monolite Jokanaan” per spogliarlo con ferocia dei veli e portarseli addosso come un senso di liberazione dagli atti impuri. Salomè si arrotola nella grande veste nera che avvolgeva lui. Sa che anche lei morirà e per questo vuole possederlo anche quando diventeranno un tutt’uno.
Lo schermo si riaccende, facendoci leggere che non esistono dèi e che tutto viene percepito dall’ invisibilità della forma.
BREVE INTERVISTA a Richard Pareschi
L.R: “perché madalena reversa e perché in corsivo?”
R.P: “semplice, perché viene confuso con un nome e cognome che esiste già quindi abbiamo pensato di scriverlo in corsivo, altro motivo viene riferito durante il Seicento alla Madalena in Estasi, proprio alla posizione del capo cioè reversa, ed era un’opera del Caravaggio che è stata ritrovata nel 2014 da Mina Gregorio, una delle più importante esperte sulle opere di Caravaggio nonché storica dell’arte italiana. Quindi il nome della nostra compagnia si lega alla percezione dell’estasi come nostra ricerca, legata alle teoria della filosofia contemporanea tedesca su una nuova visione di estetica, e tutta la nostra ricerca si basa sulla percezione, un oggetto che esce fuori da sé stesso oltre la sua reale funzione.”
L.R: “correggimi se sbaglio, ma il vostro Jokanaan lo rappresentate come un monolite, ispirandovi a “2001 a Space Odyssey” o sbaglio ?”
R.P: “beh, rappresenta il concetto di sacro, d’invisibile; è vero rappresenta il monolite da 2001, come invisibile che non si può toccare come il sacro è, nella religione ebraica il velo (Kippà) dietro il “paroakeet” del tempio viene rubato da Erode. In tutta l’opera di Wilde tutti si chiedono che fine a fatto il velo, alla fine Erode ammette che è stato lui a rubarlo e quindi Salomè in qualche modo cerca sempre di toccare l’invisibile.”
L.R: “il metodo grotowskiano c’è nella performance di Gloria Dorliguzzo, o no?”
R.P: “no, cioè sotto il nostro punto di vista, dialogando con lei prima d’iniziare questo percorso, non siamo partiti da Grotowski, anche se dai nostri studi accademici c’è un allineamento ma è esterno. Dopodiché la struttura coreografica dei movimenti è proprio di Gloria, noi abbiamo tracciato un percorso anche con il nostro compositore delle musiche originale Donato Di Trapani, abbiamo elaborato una drammaturgia musicale come punto di partenza dei nostri lavori che poi diventa veramente un monolite, un punto intoccabile e Gloria su questo ha voluto fare una ricerca di qualità dei movimenti, dopo di che come coreografa della pièce… quindi ti dico un ni da parte nostra, mentre per lei, non avendo una formazione teatrale accademica tradizionale, non ci ha fatto sapere se conosce questo metodo grotowskiano, ma chi lo sa, forse…”
Luigi Rinaldi
Dall’opera di Oscar Wilde
ideazione e regia Maria Alterno e Richard Pareschi
composizione coreografica e interpretazione Gloria Dorliguzzo
musiche originali Donato Di Trapani
disegno luci Andrea Sanson
direzione tecnica e fonica Francesco Vitaliti
mandibola Plastikart Studio di Zimmermann & Amoroso
progetto grafico Federico Lupo
produzione madalena reversa in collaborazione con Motus VAGUE coproduzione FOG Triennale Milano Performing Arts, TPE – Festival delle Colline Torinesi
con il sostegno di C.U.R.A. – Centro Umbro Residenze Artistiche / ZUT!, Anagoor