Nella Sala Pasolini del Teatro Gobetti è andato in scena lo spettacolo Hannah.
Il monologo, che vede la drammaturgia di Sergio Ariotti, è interpretato da Francesca Cutolo. L’intento è quello di raccontare la storia di Hannah Arendt, filosofa e politologa tedesca che ha concentrato i suoi studi sui meccanismi dei totalitarismi, risalendo alle cause ed evidenziando le conseguenze di certi eventi storici.
Il lavoro è ambientato per metà nel 1943, quando Hannah Arendt tiene una conferenza riguardo la condizione dei tedeschi giunti in America a seguito dell’avvento di Hitler, per poi cambiare prospettiva e riportarci ai giorni nostri: è una studiosa, durante un discorso pubblico, ad offrirci la propria narrazione della Arendt, suggerendo alla memoria alcuni accadimenti della vita della filosofa, utili ad evincere la direzione del suo pensiero.
La prima parte dello spettacolo vede la protagonista alle prese con degli oggetti contenuti in una valigia.
Li estrae uno alla volta per poi spiegarne il significato, fino ad arrivare, esasperata, a rovesciare la valigia e di conseguenza quanto contiene.
Il gesto esprime la voglia di mettersi a nudo, di raccontarsi senza censure, anche nel dolore e nella perdita.
Nel prepararsi ad assistere alla seconda parte dello spettacolo, il pubblico si trova a vivere un’attesa piuttosto lunga, che tende inevitabilmente a farlo uscire dall’atmosfera creatasi in precedenza.
Qualcuno beve un sorso d’acqua, qualcun altro ne approfitta per scambiarsi un dolce bacio sulle labbra.
L’attrice rientra in scena con un cambio d’abito parziale e con i capelli sciolti (prima erano raccolti con un’acconciatura bassa).
Ci saremmo aspettati forse una metamorfosi diversa, una rottura più netta tra passato e presente.
Il tentativo sta nel portare in scena (ancora e ancora) quei temi che sempre sono attuali: la guerra, il potere, l’eliminazione, il viaggio, la vita, la morte.
L’attrice, per tutta la seconda parte dello spettacolo, si trova a rimbalzare da un leggio all’altro.
Legge con enfasi mentre dietro di lei scorrono le fotografie di Andrea Macchia, immagini di quegli stessi oggetti che nella prima parte dello spettacolo erano stati mostrati.
Dopo un lungo momento di lettura, lo spettacolo termina con la proiezione di una frase estratta da Gli oggetti cari, poesia di Bertolt Brecht.
Ancora una volta, l’accento sembra ricadere insistente, ancor prima che su Hannah Arendt, sugli oggetti della memoria.
Silvia Picerni
Liberamente tratto da: “Noi rifugiati” di Hannah Arendt
Drammaturgia e regia: Sergio Ariotti
Con: Francesca Cutolo
Aiuto regista: Andrea Luchetta
Assistente: Beatrice Biondi
Immagini: Andrea Macchia
Costumi: TPE – Teatro Piemonte Europa
Con la consulenza di: Augusta Tibaldeschi
Sarta: Milena Nicoletti
Tecnico: Emanuele Vallinotti
Produzione: TPE – Teatro Piemonte Europa, Festival delle Colline Torinesi