ZELDA. VITA E MORTE DI ZELDA FITZGERALD – PICCOLA COMPAGNIA DELLA MAGNOLIA

Un letto. In esso si esaurisce il trattamento scenico (una scenografia metonimica, stando alla definizione di R. Jakobson), che oltre a suggerire l’ambiente si pone come singolare elemento di gioco: quello che dentro l’universo rappresentativo è avvertito come costrizione, da un punto di vista recitativo incentiva un minuzioso lavoro attoriale. Dalla staticità del corpo, Giorgia Cerruti libera una tempra fervida e trepidante che, grazie a una dimestichezza del mestiere teatrale ormai consolidata, riesce a dosare e incanalare senza perderne il controllo.

Il “personaggio” di Zelda Fitzgerald, come altre personalità controverse ai confini della follia – è il caso di alcune fuorvianti letture di Van Gogh, Artaud o Nietzsche – si presta a un’interpretazione che rischia di scadere nel cliché e nella recitazione stereotipata del disturbo psichiatrico (che in certi lavori mi pare essere restituito un po’ goffamente, e non soltanto a teatro). La Zelda della Magnolia, che è certamente il ritratto di un’anima inquieta, rifugge quel retrogusto naïf e, prima che al cervello, parla ai nostri sensi. Se il «nauseabondo odore di rose rosa» fosse stato restituito con la parola, magari ricorrendo a una descrizione puntellata da aggettivi ricercati (quelli che “suonano bene”, ai quali si applaude per dimostrare che se ne conosce il significato), forse non avrebbe convinto. Invece ci viene fatto sentire, cioè percepire, attraverso l’olfatto. Una scelta semplice (un termine che uso per riferirmi a un teatro necessario) che funziona, poiché la personalità delirante – anche se a tratti di una lucidità inattesa – si delinea proprio nel rapporto concreto, e non solamente ideale o concettuale, che Zelda ha con i «simboli di un’esistenza» che custodisce sotto il lenzuolo. Ogni oggetto «rigurgitato» fuori dal letto, non soltanto la boccetta di profumo, è rivelato, tra momenti di amara ironia e tenera esaltazione, richiamando l’attenzione dello spettatore come i bambini richiamano quella degli adulti mentre, con fierezza, gli mostrano qualcosa che gli è caro.

Sono ospite nella sua stanza, e chi rappresento oltre la mia condizione di spettatrice non ha importanza. A interessarmi è la dimensione intima e raccolta dell’accadimento, che mette in discussione la netta separazione attore-pubblico tipica del teatro più istituzionale. Come in altri lavori della Compagnia, ma qui con una forza particolare, la quarta parete è squarciata e il linguaggio spogliato di ciò che è accessorio. Lo spazio è pensato per essere abitato dal corpo scenico e poco altro: quello che c’è, oltre al corpo-mente, è in funzione e in supporto della recitazione, secondo un’idea di regia come “partitura” entro cui esprimersi artisticamente, senza che il progetto registico – che Cerruti firma insieme a Davide Giglio – precluda una certa libertà creativa in scena.
Pur non risolvendosi in un esercizio formale, questa Zelda mette alla prova anche gli aspetti tecnici (di studio, esercizio e memoria) del mestiere dell’attore. Scrupolosa è l’attenzione alla mimica, al cesello delle contraddizioni emotive di un’interiorità agitata, e all’utilizzo espressivo delle mani, che a tratti si rivelano comunicative più della parola stessa. Una prova d’attrice che convince, e che conferma come ragioni più squisitamente artistiche siano necessariamente in dialogo con aspetti di ordine tecnico-formale, affinché l’idea, ossia il contenuto, possa essere sorretta da adeguate modalità espressive.
A un decennio dalla genesi di questo lavoro, la restituzione di Giorgia Cerruti non trascina con sé il sapore della replica (quel ripetersi un po’ stantio che può insinuarsi quando uno spettacolo ha ormai inibito la sua pulsione creativa). Qui c’è qualcosa che resta irrimediabilmente irrisolto e che non può – e forse anche per questo è un lavoro riuscito – assestarsi fino in fondo. Da spettatrice, nella ricerca teatrale della Piccola Compagnia della Magnolia scopro ad ogni incontro una vibrazione artistica interessante, che vive e “respira”.

Chiara Ceresola

Progetto Bio_Grafie

uno spettacolo di Piccola Compagnia della Magnolia

regia di Giorgia Cerruti e Davide Giglio

con Giorgia Cerruti

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