NATALE IN CASA CUPIELLO – LUCA SACCOIA

Son tornato a teatro, in platea, da qualche annetto insomma. Vado a vedere Eduardo e basta”. Questo lo diceva Carmelo Bene alle telecamere della Rai, durante un’intervista risalente alla metà degli anni Settanta. Interessante pensare come dietro a quel nome proprio, menzionato in moltissimi casi senza il cognome, si apra tutto un mondo che va a rappresentare un pilastro portante della cultura teatrale e napoletana. Quando C.B. dice “vado a vedere Eduardo” chi ascolta sa, senza ulteriori precisazioni, di quale Eduardo si parla, e percepisce il peso che sta dietro a quel nome detto così alla veloce. Tale è l’impatto, l’impronta che l’operato di Eduardo De Filippo ha lasciato sul teatro italiano.

Una presenza, quindi, che a distanza di anni resta viva nella memoria collettiva del pubblico e si manifesta senz’altro imponente quando viene tirata in ballo, ma che può rivelarsi piuttosto ingombrante e addirittura un tantino scomoda quando ci si debba trovare a farla rivivere ancora una volta sul palcoscenico. Scomoda poiché comporta una dose non indifferente di responsabilità da parte di regista e interpreti. Come ogni grande autore/attore di cui abbiamo la fortuna di avere testimonianze filmate approfondite (nel caso “Eduardo” un intero catalogo di spettacoli adattati per la tv facilmente consultabile su raiplay, oltreché diverse incursioni cinematografiche)  il paragone con l’originale diventa inevitabile, ci si ritrova nell’appunto scomoda posizione di dover tenere fede all’opera di partenza con riverenza quasi religiosa (troppo fresca nella memoria per poter essere sottoposta a una re-immaginazione stravolgente senza rischiare di incorrere nell’ira del pubblico affezionato) dovendo tuttavia portare qualcosa di nuovo sul tavolo per non scadere nella pallida imitazione, o peggio ancora, nel continuo ammicco.  Non un compito facile, certo, ma che presenta delle possibilità d’innovazione estremamente ampie, quando messo nelle mani giuste.

Andato in scena dal 17 al 22 dicembre 2024 al Teatro Gobetti di Torino, Natale in casa Cupiello si presenta immediatamente come una chiara risposta al dilemma. Sotto la regia di Lello Serao, lo spettacolo sopperisce al problema di come innovare la messinscena tenendo fede allo spirito della materia prima guardando direttamente ad uno degli elementi portanti della commedia: il presepe. Il presepe che è chiodo fisso di Luca Cupiello fin dall’inizio della commedia, che viene pensato, costruito, distrutto, ricostruito, su cui viene pontificato, che non sembra mai raggiungere davvero la sua forma finale perché c’è sempre qualche idea ancora da attuare, un presepe costantemente in divenire, unica vera soddisfazione del personaggio che chiede ripetutamente al figlio “Te piace ‘o presepio?” per sentirsi rispondere seccamente “no” ogni volta. Su quest’ultima interazione in particolare sembra costruirsi l’essenza di questa versione, che indossa una veste completamente nuova, facendosi spettacolo per attore cum figuris, come suggerisce il sottotitolo sul programma di sala. Un interprete solo, Luca Saccoia, diventa vessillo di tutti i personaggi, che vengono qui rappresentati da maschere e pupazzi maneggiati talvolta dall’attore stesso, talvolta da dei manovratori sempre visibili in scena. Saccoia si muove con abile poliedricità da una voce all’altra, saltando di caratterizzazione in caratterizzazione, in un modus operandi non troppo dissimile da quello dei classici spettacoli di burattini e marionette, aiutato nel primo atto dall’uso del playback, dove voci preregistrate (sempre lo stesso Saccoia) coprono le parti secondarie rendendo possibile l’accavallarsi delle battute e dei riverberi nelle voci che danno al tutto un tono quasi onirico. Nel secondo atto l’espediente del playback viene abbandonato per lasciare al solo Saccoia in scena il compito di fare tutte le voci. L’attore calca le caratterizzazioni dei singoli personaggi dando loro elementi caricaturali che ben servono a distinguerli nel continuo flusso di battute, sfociando in uno o due momenti addirittura in una breve cantilena neomelodica, mentre nel frattempo si sposta da un angolo all’altro del palco, occupandosi ora di questo ora di quel personaggio, mimando le loro pose, interagendo direttamente con loro o tramite i manovratori in scena.

Co-protagoniste insieme all’attore sono ovviamente le soluzioni sceniche di Tiziano Fario, artefice della scenografia e dei pupazzi, il cuore pulsante che porta il one man show di Saccoia alla piena compiutezza. Nel primo atto ci troviamo davanti a una scenografia che si presenta bidimensionale, un telo dipinto con motivi che richiamano la festività natalizia e alcuni elementi della commedia (le scarpe e il cappotto dello zio venduti, le cinque lire segnate, la lettera con cui la figlia Ninuccia ammette al marito di non essere innamorata di lui) nel quale si aprono delle finestrelle da cui i vari personaggi interagiscono con Luca Cupiello/Saccoia che si trova su un letto posizionato lì davanti. Se nel secondo atto abbiamo invece un’apertura su uno spazio più tridimensionale, una coreografia movimentata di attore e pupazzi e la già citata rassegna di voci caricate e buffonesche, nel terzo la messinscena sembra subire una rottura. Dopo un breve cambio scena a sipario chiuso, un momento di raccoglimento per il pubblico scandito dai toni austeri e un po’ lugubri di un rosario ripetuto più e più volte, sul palco si presenta l’antitesi di ciò che si è visto nei primi due atti: i pupazzi lasciati immobili su di una struttura soppalcata sullo sfondo, come soprammobili dimenticati intorno al letto del morente Luca Cupiello. Sotto la struttura, sedute ai lati, stanno le figure dei manovratori, che ora recitano le battute dei personaggi con tono estremamente sobrio e senza particolari sfumature, non più quindi l’impostazione caricaturale usata fino a quel momento, via anche l’istrionismo di Saccoia, che ora si limita alla voce di Cupiello e del figlio Tommasino. Unico elemento a richiamare ancora il presepe, stavolta però con implicazioni più funeree, è un grande angelo appeso al centro della scena, che sul finale discende per ricevere tra le sue braccia le spoglie del pupazzo Cupiello ormai ridotto a un burattino nudo. Per l’ultima volta risuona la domanda: “Te piace o’ presepio?”.

Abbiamo detto che l’essenza di questa nuova versione gira tutta attorno a quell’interazione padre-figlio sul presepe, che nel testo è gag ricorrente e che si fa chiusura tragicomica sul finale. A tal proposito riporto le parole che il regista Lello Serao ha lasciato sul foglio di sala: “Il presepe si rifà ogni anno, è ciclico come le stagioni, può piacere e non piacere. È proprio da quest’ultima affermazione che siamo partiti, cosa è diventato quel Tommasino, ‘Nennillo’, così come lo appella la madre, considerandolo un eterno bambino? Come si è trasformato dopo quel fatidico ‘sì’ sul letto di morte del padre? A queste risposte abbiamo provato a dare corpo immaginando che Tommasino abbia pronunciato quel ‘sì’ convinto,  che da allora in poi, dovesse esserci un cambiamento […] Ecco allora Tommasino farsi interprete a suo modo di una tradizione, eccolo testimone di un rito e di una rievocazione di fatti e accadimenti familiari comici e tragici che hanno segnato la sua vita e quella di quanti alla rappresentazione prendono parte”. C’è quindi un ulteriore livello di interpretazione messo in atto da Saccoia, che traspare di tanto in tanto nella rappresentazione rompendo per qualche fuggevole istante la finzione della commedia, dove l’attore lascia che emerga il Tommasino uomo vissuto e reminiscente, dando al tutto una chiave di lettura malinconica di rievocazione e tradizione che aleggia nell’aria già dai primissimi minuti.

Attraverso la tecnica scenica e attoriale che si serve dell’iconografia ancestrale del presepe e degli spettacoli popolari, portando alla mente immagini già sedimentate nella mente di ogni spettatore (per i torinesi impossibile non pensare alle installazioni natalizie di Luzzati e al presepe meccanico dell’Annunziata), la versione del Natale Eduardiano messa in atto da Lello Serao e Luca Saccoia si rivela incredibilmente riuscita non solo perché reinventa un classico tenendo fede alla sua essenza, ma perché lo fa attraverso un teatro che è veicolo vivo, vivo poiché sfruttato nei suoi aspetti più specifici ed ingegnosi che non renderebbero altrettanto al di fuori del mezzo. Nel fare ciò non solo giustifica la riproposizione di un classico anche per chi è già familiare con la sua versione originale, ma alza l’asticella delle aspettative per tutte le possibili rappresentazioni future in teatro. Sarà difficile tornare a una messa in scena più tradizionale dopo aver visto come le potenzialità del mezzo possono essere espresse appieno partendo da un elemento semplice e profondo come il presepe.

Edoardo Perna

di Eduardo De Filippo/ da un’idea Di Vincenzo Ambrosino e Luca Saccoia/ con Luca Saccoia/ regia Lello Serao/ spazio scenico, maschere e pupazzi Tiziano Fario/ manovratori Salvatore Bertone, Paola Maria Cacace, Lorenzo Ferrara, Oussama Lardjani, Angela Dionisia Severino, Irene Vecchia/ formazione e coordinamento Manovratori Irene Vecchia/ luci Luigi Biondi e Giuseppe Di Lorenzo/ costumi Federica Del Gaudio/ musiche originali Luca Toller/ realizzazione scene Ivan Gordiano Borrelli/ Teatri associati di Napoli/Teatro Area Nord e Interno 5/ con il sostegno di Fondazione Eduardo De Filippo e Teatro Augusteo

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