STUDIO SU PICCOLI RITI – JULIE ANNE STANZAK

Nel 1973, a Wuppertal, in Germania, nasce il Tanztheater Wuppertal. Il nome della compagnia, che include il termine “Tanztheater” (in italiano “teatrodanza”), è stato fondato da un gruppo di coreografi, tra cui spicca il nome più noto di Pina Bausch. Il termine indica progetti artistici che si differenziano dalla danza classica e moderna, includendo elementi recitativi teatrali e con l’intenzione di produrre opere con precise finalità drammaturgiche. Oltre alla percezione corporea che il danzatore dovrebbe acquisire fin dai primi tempi, Pina Bausch richiede ai membri della compagnia un’interpretazione personale del movimento, sostenuta dalla contrapposizione tra fragilità e forza. In questo luogo di ricerca artistica, nel 1986, Julie Anne Stanzak, danzatrice di danza accademica, partecipa a un provino con la compagnia che le permetterà di lavorare con Pina Bausch in modo permanente, partecipando alle opere più note e continuando a lavorare con la compagnia ancora oggi.

Oltre a essere una danzatrice di grande rilievo, Julie è anche insegnante e coreografa presso importanti istituzioni di danza, teatro e università. In occasione di FESTE 2024 – festival di danza contemporanea e di comunità promosso dall’associazione Didee, organizzazione culturale no profit sotto la direzione di Mariachiara Raviola – a Torino è stata data la possibilità a un gruppo di danzatori e cittadini di partecipare, per tre giorni, a delle pratiche all’interno del progetto Studio su piccoli riti. Il laboratorio ha avuto luogo presso la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, più precisamente nelle sale della mostra personale di Mark Manders, Silent Studio. Il soggetto della mostra è lo studio dell’artista, che ospita opere scultoree in grado di trasmettere vulnerabilità attraverso il loro aspetto apparentemente non finito, ma anche un senso di transizione: sebbene le sculture sembrino fatte di argilla, in realtà sono di bronzo.

Ph: Alessandra Lai

Durante i giorni del laboratorio, Julie Stanzak ha insegnato e promosso non solo alcuni dei concetti concetti chiave del Tanztheater ma ha dato modo di far percorrere anche un corpo libero che sente la necessità di esprimersi. Fin dal primo giorno, la libertà e la necessità sono state esplorate: abbiamo iniziato presentandoci con il nostro nome, la nostra preferenza di colore, di numero e una caratteristica che ci colpisce negli altri, per poi concludere la presentazione con un gesto che proviene dal cuore. La Stanzak non ha richiesto movimenti complessi, ma azioni che avessero un sentimento proveniente dal nostro interiore, permettendo loro di evolversi liberamente durante lo sviluppo delle giornate.

A partire dall’individualità della presentazione, le persone iniziano a conoscersi attraverso una camminata, che cambia non appena incontrano qualcuno. In tal caso, bisogna fermarsi e guardarsi negli occhi, cercando di comprendersi il più profondamente possibile. Tutto si basa sull’attesa e sull’attendere l’altro, senza fretta di conversare. Quando lo sguardo si conclude, ci si presenta nello stesso modo dell’inizio. È un modo alternativo di avvicinarsi che permette di conoscere il ritmo individuale di ogni persona.

Una volta esplorata la pratica, Julie crea dei gruppi, chiedendo di realizzare movimenti partendo dalla prima azione della “nostra finestra del cuore” e di sincronizzarli con i gesti degli altri senza parlare. Questa pratica dimostra che, sebbene una coreografia derivi da un’organizzazione di senso, la struttura macro del movimento è composta da elementi micro, in cui il desiderio di azione deve emergere dal sentimento e dall’interiorità.

Nei giorni successivi, è stata realizzata una interazione con le sculture presenti in sala. Questa interazione consisteva nel comprendere le opere, nel cercare i dettagli e trasporli nel corpo. Con le opere si è instaurato un legame di affetto, comprensione e compagnia; condividevamo con loro il bisogno di danzare per esprimere ciò che è più intimo dentro di noi.

Ph: Alessandra Lai

La relazione con le sculture non era solo un semplice esercizio fisico, ma una vera e propria esplorazione emotiva. Ogni scultura, con le sue particolari caratteristiche e dettagli, diventava una fonte di ispirazione per i nostri movimenti e una ricerca personale sul dove collocare, interiormente, certi gesti. Julie ci ha guidato attraverso il processo, incoraggiandoci a osservare attentamente ogni piega, ogni ombra e ogni “lineamento” delle sculture. Questo ci ha permesso di sviluppare una connessione profonda e personale con le opere: sostando per tanto tempo davanti ad ogni scultura, interrogando e ricercando un intimità non collocata sulla superficie.

Successivamente, si sono create delle coppie che riprendevano le caratteristiche di fragilità e sostegno, ispirate da alcuni elementi di sospensione presenti nelle opere. Iniziamo donandoci un movimento reciproco, e poi procediamo a mostrare la nostra fragilità, che viene sostenuta grazie alla presenza dell’altro. Questa pratica ci ha permesso di esplorare in profondità le nostre vulnerabilità, attutite immediatamente dal nostro compagno e, viceversa ci hanno dato modo di dar sostegno.

Le pratiche si concludono nell’ultima giornata con la creazione di una coreografia, in cui la ritualità del gesto e del sentimento coinvolge sculture, gruppo e il pubblico. Durante questa fase finale, ogni danzatore contribuisce con la propria esperienza e comprensione dei movimenti sviluppati nei giorni precedenti. La coreografia è ideata per integrare le sculture nella danza, creando un dialogo continuo tra corpo e arte visiva.

Ph: Alessandra Lai

Chiara Jadore Cacciari

Ringrazio

Julie Anne Stanzak

Associazione Didee: Mariachiara Raviola e Paola Colonna

Fondazione Sandretto Re Rebaudengo

Alessandro Pontremoli

Fotografie a cura di Alessandra Lai

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