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Thebes: A Global Civil War

Appena entri nella sala, una scena piena di abiti sparsi sul pavimento cattura l’attenzione; sembra quasi una rappresentazione del caos e della disorganizzazione, oppure un simbolo di identità perdute e dimenticate. Questa immagine è un’introduzione a un viaggio emotivo e interiore che ci apprestiamo a vivere con lo spettacolo. Senza una sola parola di dialogo, la scena con gli abiti sparsi crea un’atmosfera di confusione e domande senza risposta. La prima domanda è: cosa vogliono dirci questi vestiti?

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Where the hell is Bernard?

Dietro la maschera della routine quotidiana si cela un mondo distopico dove il gioco è bandito, le domande represse e la fuga considerata un crimine. In questo universo alienato, quattro Agenti, custodi di un sistema perfetto quanto asettico, si ritrovano a fronteggiare un’anomalia inaspettata: la fuga di un cittadino, Bernardo.

Lo spettacolo Where the hell is Bernard? che ho avuto visto il 2 febbraio a Torino, presso Casa Fools, ha suscitato in me un acceso dibattito interiore. Da un lato, l’originalità dell’idea, la performance delle attrici e la capacità di mescolare generi diversi hanno creato un’esperienza teatrale unica e stimolante. Dall’altro, alcune debolezze nella caratterizzazione dei personaggi e nella coerenza narrativa hanno impedito all’opera di raggiungere il suo pieno potenziale.

Le Agenti, identificate solo da codici numerici, non possiedono una vera e propria identità. Pur essendo ben distinte grazie alle loro azioni e parole, mancano di una profondità psicologica. Non conosciamo le loro storie personali, le loro motivazioni profonde o i loro desideri. La presenza di quattro attrici senza una chiara motivazione o differenziazione nel loro ruolo sembra non influenzare significativamente lo sviluppo della trama. Anche con una riduzione del numero di attrici, la storia potrebbe procedere senza alterazioni sostanziali.

La trama sembra presentare alcune incongruenza. La scena dei neonati, ad esempio, appare slegata dal contesto e priva di un significato chiaro. Il finale, pur essendo aperto all’interpretazione, lascia allo spettatore un senso di incompletezza. La mancanza di una risoluzione definitiva o di una spiegazione plausibile per alcuni eventi indebolisce la coesione narrativa.

Azioni e personaggi appaiono a volte privi di una logica interna, creando un po’ di confusione nello spettatore. La fuga di Bernardo, l’apparizione dei neonati, il destino delle Agenti: tutto sembra accadere senza una ragione precisa, lasciando lo spettatore con un senso di frustrazione.

Where the hell is Bernard? possiede un potenziale interessante, ma necessita forse di alcune modifiche per raggiungere una maggiore coesione e profondità. Il contesto della Casa Fools a Torino ha fornito uno sfondo unico per lo spettacolo, tuttavia, un lavoro di approfondimento sui personaggi e sulla trama potrebbe rendere l’opera più coinvolgente e di impatto.

Roozbeh Ranjbarian

Prodotto da Haste Theatre e Turnpike Productions
Regia di Ally Cologna e Haste Theatre
Cast: Elly Beaman-Brinklow, Valeria Compagnoni, Jesse Duprè, Sophie
Taylor
Voice over: Ally Cologna e Lorenzo Andrea Paolo Balducci
Tecnico suono e luci: Jethro Walker
Designer luci: Katrin Padel
Designer suono: Paul Freeman
Designer set: Georgia de Grey
Foto poster di Nick Milligan
Fotografo di scena Rara Su

Wonder Woman

SIAMO IL GRIDO ALTISSIMO E FEROCE

DI TUTTE QUELLE DONNE

CHE PIÙ NON HANNO VOCE

Questa è la storia di una ragazza, come di altre migliaia, peruviana, giovane e ingenua, come dovrebbe essere ogni ragazza della sua età. Etichettata con il soprannome “vichingo”, per le sue forme mascoline dicono, adescata. derisa, stuprata e poi abbandonata, dagli stessi tre, forse quattro ragazzi. Non ricorda, è sola, sanguinante e lacerata, raggiunge la stazione di polizia, vuole denunciare. Altri uomini la attendono, varcata la soglia, è di nuovo etichettata, adescata, derisa, interrogata, costretta a ricordare ciò che avrebbe voluto dimenticare per sempre, poi, abbandonata.

La platea si spegne della luce di accoglienza che illuminava il teatro, una dolce musica accompagna i riflettori sopra le nostre teste che inaspettatamente si riaccendono, ricominciando ad illuminarsi di una luce pura, abbagliante che si fa sempre più intensa, sembra il sol levante, ho la sensazione che una nuova alba stia per  ergersi inesorabile  nel cielo. Passi, falcate per meglio dire, scandiscono un ritmo deciso, si percepisce un’energia viscerale e travolgente che spezza il religioso silenzio creatosi tra il pubblico curioso. La vista spodesta l’udito come senso predominante, quattro paia di scarpe rosse, lucide, ci si pongono davanti, attraversando da destra tutta la platea. Quattro donne, disposte di fronte a noi, vestite di tessuti tinti di nero, mi appare in contrasto con tutta quella luce, quasi divina, questo colore sembra spiccare come simbolo di fede e lutto, di autorità e fragilità, di oblio. Non ci sono quinte, non c’è nessun palcoscenico, dei fili rossi con dei microfoni all’apice sono accuratamente disposti dinanzi alle attrici, dietro di loro invece, quasi ad una spanna dal fondale, si intravedono quelle che sembrano essere collane.  Resta tuttavia la luce, la protagonista indiscutibile ed insostituibile della scenografia, una scelta inusuale e forte. Ogni  attrice prende il suo posto, inizia il primo monologo, vengono pronunciati articoli della costituzione e raccontate storie, gridate a gran voce, l’emozione è  travolgente, vibrano le corde vocali delle donne come una viola che finalmente spicca in un concerto. Un’altra voce si intreccia alla prima, poi tutte e quattro, solidarietà e solitudine vengono veicolate perfettamente in una retorica polifonica pulita e precisa, quattro voci che ne diventano una soltanto e poi quattro di nuovo. La potenza della musica, un linguaggio senza confini, questa è la scelta di Antonio Latella e Federico Bellini, due uomini che hanno lavorato con le donne e per le donne che ora, prima di essere persone, sono super eroine, donne raccontate come “amazzoni, donne senza una mammella significa, nate da uno stupro per essere forti ed indomabili”. Lo spettacolo teatrale Wonder Woman, presentato con coraggio a Torino l’11 gennaio 2024, si immerge in una narrativa intensa e scomoda che tocca quindi tematiche cruciali della società. La vicenda rivela il lato oscuro dell’ingiustizia sociale.La scelta di affrontare tali questioni attraverso il teatro si configura come una strada importante per prevenire l’oblio collettivo e dare voce alle vittime spesso trascurate. Il regista, seguendo una tradizione educativa che risale all’Antica Grecia, trasmette un messaggio potente attraverso l’opera teatrale.

Nonostante la polifonia, la rappresentazione soffre forse di  una recitazione monodimensionale delle giovani attrici. Sebbene la storia affronti temi tragici, la mancanza di una trasformazione drammatica può lasciare lo spettatore, sia esso uomo o donna, poco coinvolto emotivamente.

La storia, sebbene tragica, potrebbe risultare più coinvolgente se drammatizzata in modo più completo. Wonder Woman si presenta come un tentativo coraggioso di affrontare questioni sociali spinose attraverso il teatro, anche se la performance avrebbe potuto beneficiare di una recitazione più vibrante e di una maggiore attenzione agli aspetti visivi.

Rosella Cutaia e Roozbeh Ranjbarian

di

Antonio Latella e Federico Bellini

Regia: Antonio Latella

Le attrici: Maria Chiara Arrighini, Giulia Heathfield Di Renzi, Chiara Ferrara, Beatrice Verzotti

Costumi: Simona D’Amico

Musiche e suono: Franco Visioli

Movimenti: Francesco Manetti, Isacco Venturini

Produzione: TPE – Teatro Piemonte Europa

in collaborazione con Stabilemobile