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LA LOCANDIERA – ANTONIO LATELLA

Al Teatro Carignano è andato in scena lo spettacolo La Locandiera, con Sonia Bergamasco, regia di Antonio Latella.

Lo spazio della scena, pur occupato da una scenografia fissa, rende l’idea della locanda in tutte le sue declinazioni: luogo d’incontro e conversazione ma anche di ristoro ed intimità.

In alto sono posti dei neon, e la sensazione è quasi di trovarsi in un laboratorio. Lo spettatore è forse chiamato ad osservare un esperimento.

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L’ULTIMA ESTATE – CHIARA CALLEGARI

Teatro Gobetti, 5 dicembre 2024.

Rumore: frastuono e sirene si sovrappongono alle voci dei notiziari.

L’atmosfera è caotica e molto agitata, lo spettacolo si apre con la notizia dell’esplosione di 140 kg di tritolo alle 16:58 del 23 maggio 1992 a Capaci.

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È una vicenda troppo conosciuta e troppo recente per lasciare indifferente il pubblico che, seduto con la schiena dritta, la testa sporta in avanti e gli occhi strabuzzati, sembra rivivere l’apprensione di quel giorno.

La sfumatura scelta dalla regia di Chiara Callegari intende avvicinare le figure di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino al pubblico, mostrando il loro lato più umano e quotidiano oltre al loro lavoro nella lotta contro la mafia.

Motivo di tale scelta, indicato dalla stessa regista dal palco alla fine dello spettacolo, è mostrare sfaccettature di normalità nella vita di due uomini che a seguito delle loro azioni sono divenuti eroi e spesso vengono idealizzati, azione che rischia di allontanarli dalla quotidianità e lasciare che le persone si deresponsabilizzino credendo che la lotta alla mafia stia solo all’interno dei tribunali e non nelle scelte che si compiono ogni giorno.

Il racconto parte dal 1985, all’interno di una stanza in un carcere. L’ambientazione è un ufficio disordinato, pieno di faldoni e scartoffie, in cui risuonano il ticchettio dei tasti di una macchina da scrivere e lo scambio di battute giocose tra Falcone e Borsellino.

120 le esecuzioni di Cosa Nostra di cui stavano prendendo nota. Falcone, interpretato da Simone Luglio, appare più fiducioso nella buona riuscita del pool antimafia e del Maxiprocesso a Palermo, a differenza di ciò che era successo precedentemente nei processi a Bari e Torino, luoghi nei quali il tentativo di condanna di massa di crimini mafiosi non aveva avuto l’esito sperato. Borsellino invece, interpretato da Giovanni Santangelo, in questa prima fase è più arrabbiato e diffidente nei confronti dello Stato e del popolo italiano.

La diffidenza di Borsellino trova le sue ragioni nel corso dello spettacolo: vengono mostrati i cambiamenti di atteggiamento nei loro confronti da parte di personaggi dello Stato e persone comuni, atteggiamenti che oscillano da diffidenza e ostacolazione a idealizzazione e fama, sfruttati per proprio tornaconto personale.

Dopo tre anni dall’inizio del Maxiprocesso, infatti, il pool antimafia venne smantellato per decisione del giudice Antonino Meli, ma Falcone scelse di non fermarsi, scelta che gli costò la vita.

L’attentato in cui perse la vita Falcone non fu l’unico contro di lui, già una volta avevano provato a utilizzare il tritolo, mettendo cinquanta candelotti in mezzo agli scogli dove era solito andare in spiaggia, ma due carabinieri subacquei, Nino Agostino ed Emanuele Piazza, erano riusciti a trovare i candelotti e ad avvisare in tempo la scorta di Falcone. La bomba venne fatta brillare senza controllare le prove e i due carabinieri subacquei vennero poi uccisi, il primo per presunto delitto passionale con la moglie e il secondo fu strangolato e sciolto dell’acido.

Nel susseguirsi di informazioni, abbiamo l’impressione di essere sovrastati, di non avere i mezzi necessari per difenderci: l’impressione che ogni azione porterà con sé un’ombra di vendette e omicidi.

Lo stesso Borsellino mostra insofferenza per una situazione che sembra troppo grande per essere fronteggiata. Eppure, il punto forte dello spettacolo è quello di mostrare come sia stato possibile a partire da due soli uomini fare la differenza.

Dando nuova speranza, mostrando che non serve essere eroi per cambiare le cose, Falcone e Borsellino sono riusciti a dare un nuovo volto alla legalità, che vive tuttora.

Dopo la morte di Falcone, Borsellino diventa più determinato e acquista nuovo coraggio grazie alla consapevolezza di poter testimoniare e fare qualcosa, di poter dare un senso alla morte del suo collega, conscio però che mai come prima la sua stessa vita avesse i giorni contati.

Lo scorrere del tempo aumenta vorticosamente la velocità: i giorni diventano ore, le ore minuti e i minuti secondi.

La morte fa paura, ma si può morire in molti modi: Falcone e Borsellino hanno riconosciuto il valore di morire per ciò in cui si crede.

In un riferimento a Il Gattopardo vengono riprese le parole di Giuseppe Tomasi di Lampedusa “le logiche della Mafia sono le logiche del potere”. Viene svelata la banalità delle dinamiche che stanno dietro a orrori, omicidi e crudeltà.

Lo spettacolo sembra finire in un primo momento un po’ in sospeso con una frase che dichiara che il lavoro iniziato da Falcone e Borsellino sarebbe stato portato a termine da altri.

Una conclusione che non avrebbe reso giustizia alla profondità dello spettacolo, che ha saputo trattare temi complessi talvolta anche con leggerezza, ma mai con superficialità e che viene subito dopo smentita dai riferimenti alle recenti dichiarazioni della Corte d’Assise e d’Appello del settembre 2021, che accerta la collaborazione Stato-Mafia, pur ammettendo che non costituisce reato.

Appare palese come ancora oggi ci sia molta strada da fare.

Chiaro è il passaggio di testimone al pubblico: convincente la scelta di non chiudere il sipario e concludere lo spettacolo lasciando spazio a domande, interventi e confronti.

Uno spettacolo che mostra vite vere e umane dietro i volti degli eroi che, conosciuti nella loro apoteosi, rischiano di rimanere appesi come quadri e lontani dalla concretezza della vita reale.

Marta Cavalliere

testo di Claudio Fava
un Progetto di Simone Luglio
con Simone Luglio e Giovanni Santangelo
regia Chiara Callegari
voce Fuori Campo Luca Massaro
scene e costumi Simone Luglio
musiche originali Salvo Seminatore
disegno luci Massimo Galardini
Emilia Romagna Teatro Ert / Teatro Nazionale
in collaborazione con Knk Teatro
progetto realizzato con la collaborazione
di Teatro Metastasio e Collegamenti Festival

STUDIO SU PICCOLI RITI – JULIE ANNE STANZAK

Nel 1973, a Wuppertal, in Germania, nasce il Tanztheater Wuppertal. Il nome della compagnia, che include il termine “Tanztheater” (in italiano “teatrodanza”), è stato fondato da un gruppo di coreografi, tra cui spicca il nome più noto di Pina Bausch. Il termine indica progetti artistici che si differenziano dalla danza classica e moderna, includendo elementi recitativi teatrali e con l’intenzione di produrre opere con precise finalità drammaturgiche. Oltre alla percezione corporea che il danzatore dovrebbe acquisire fin dai primi tempi, Pina Bausch richiede ai membri della compagnia un’interpretazione personale del movimento, sostenuta dalla contrapposizione tra fragilità e forza. In questo luogo di ricerca artistica, nel 1986, Julie Anne Stanzak, danzatrice di danza accademica, partecipa a un provino con la compagnia che le permetterà di lavorare con Pina Bausch in modo permanente, partecipando alle opere più note e continuando a lavorare con la compagnia ancora oggi.

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UNA COSA ENORME – FABIANA IACOZZILLI

Nel profondo silenzio amniotico

In una fresca serata di fine novembre il palco dell’Off topic s’irradia di fasci di luce caravaggeschi; riecheggia il suono del silenzio, punteggiato da rumori di vita quotidiana e sentimenti sinceri.
Cinquanta minuti di puro teatro fisico ripulito dalla parola, tuttavia mai stonata nei suoi sporadici interventi, vengono sostenuti da una prova d’attore eccezionale. Lo spettatore è agganciato alla scena in continua attesa di quel che accadrà, coinvolto in un flusso continuo di occasioni per riflettere.
Fabiana Iacozzilli dipinge delle vere e proprie immagini in movimento animate da Marta Meneghetti e Roberto Montosi, due interpreti trasparenti e luminosi che si consegnano al pubblico con onestà. È a partire dalla stessa carne dei performer che scaturisce un’emotività mai sovradimensionata, in una lucida operazione di cruda realtà.
Al contrario l’allestimento metonimico ingigantisce ed enfatizza alcuni elementi della scenografia, rendendoli nella loro sproporzione portatori di un forte significante.
Così, a una dimensione genuina e sensistica della recitazione si contrappone una messa in scena iperbolica e icastica.

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ZELDA. VITA E MORTE DI ZELDA FITZGERALD – PICCOLA COMPAGNIA DELLA MAGNOLIA

Un letto. In esso si esaurisce il trattamento scenico (una scenografia metonimica, stando alla definizione di R. Jakobson), che oltre a suggerire l’ambiente si pone come singolare elemento di gioco: quello che dentro l’universo rappresentativo è avvertito come costrizione, da un punto di vista recitativo incentiva un minuzioso lavoro attoriale. Dalla staticità del corpo, Giorgia Cerruti libera una tempra fervida e trepidante che, grazie a una dimestichezza del mestiere teatrale ormai consolidata, riesce a dosare e incanalare senza perderne il controllo.

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IL MOSTRO DI BELINDA – CHIARA GUIDI E VITO MATERA

È andato in scena, alla Casa del Teatro ragazzi e giovani, Il mostro di Belinda di Chiara Guidi e Vito Matera nell’ambito del progetto Tra infanzia e voce, realizzato insieme all’Università di Torino. Lo spettatore prende inconsapevolmente posto in uno spazio che poi, con l’inizio dello spettacolo, si trasformerà nella casa della Bestia.

Lo studio sulla voce operato da Chiara Guidi ci è evidente sin dai primi istanti: voce e testo ci invitano a “sentire”. In questo, la vista e gli altri sensi, sono inizialmente esclusi.

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TABULA RASA – DORIANA CREMA

La luce e il corpo

È contenuta in questa tabula rasa la sintesi degli ultimi trent’anni di lavoro di Doriana Crema. Qui viene scritta un’estetica primitiva dello spazio e l’artista lo fa dialogando con la luce ideata dall’autore luci Gianni Staropoli . C’è il buio, la feroce notte, il raggio che disegna forme sagomate, c’è il dentro e il fuori, c’è l’esterno con i suoi suoni di traffico automobilistico e di aeroplani che attraversano il cielo, che si mescola all’interno.

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LA NOTTE – PIPPO DELBONO

Due punti di vista per uno stesso spettacolo a cura di Bianca Ferretti e Gabriele Corbo

La notte di Pippo Delbono alla Fondazione Merz è per lo spettatore una camminata lenta e inquieta in un corridoio pieno di quadri. 
Pochi e semplici ‘colori’ ne costituiscono la tavolozza: due sedie, una chitarra elettrica, un microfono su asta, un leggio e un plico di fogli destinati a spargersi a terra, intorno all’attore, come fossero pezzi di Storia lasciati cadere nell’oblio.

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IL RISVEGLIO – COMPAGNIA PIPPO DELBONO

Al teatro Astra è andato in scena, tra qualche contestazione, lo spettacolo Il risveglio di e con Pippo Delbono e la sua Compagnia.

L’attore comincia parlando di sé, di alcuni momenti della sua vita e della sua giovinezza.

Racconta di un amore che l’ha provato nella salute del corpo e della mente, tracciando un percorso che introduce il pubblico allo spettacolo vero e proprio.

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PAGINA – lo spazio dell’immaginazione

Festival delle Colline Torinesi. Fondazione Merz. 1 e 2 novembre 2024. Giovanni Ortoleva e Valentina Picello danno origine a Pagina, spettacolo in cui le parole del libro di Italo Calvino Il cavaliere inesistente si fanno vive e tangibili.

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