Venerdì 29 e sabato 30 ottobre 2022 alla 27esima edizione del Festival delle colline torinesi abbiamo potuto vivere l’esperienza immersiva e coinvolgente di The dancing public, il nuovo lavoro di Mette Ingvartsen. Già dal momento della nostra entrata in sala, l’artista ha voluto accoglierci personalmente e spiegarci come si sarebbe svolta la performance, rendendoci liberi di danzare con lei e interagire con chi ci circondasse, lasciandoci andare alla voglia irrefrenabile di danzare liberamente senza vincoli, senza freni e senza pregiudizi. Tutti aspetti che di recente, o negli ultimi tre anni almeno, sono stati soffocati e messi da parte a causa delle restrizioni. Ed è proprio per la scelta di portare uno spettacolo del genere in un momento come questo che abbiamo voluto intervistare Mette, che ci ha gentilmente concesso il suo tempo subito prima di iniziare il suo allenamento pre-spettacolo.
[l’intervista è stata svolta in lingua inglese e successivamente tradotta e adattata]
Per la 27esima edizione del Festival delle Colline Torinesi è la compagnia Motus ad essere scelta per la sezione monografica, dedicata ad artistǝ che hanno avuto particolare importanza nella storia sia del festival che del teatro italiano in generale. La compagnia porta in scena tre spettacoli, una rassegna di video e diversi film – in collaborazione con il Museo Nazionale del Cinema – oltre ad altri frammenti di spettacoli ed esperienze di vita, proiettati alla Fondazione Merz; a completare il panorama Motus, un’installazione fotografica di circa 10.000 scatti riguardanti i 31 anni di storia del gruppo, offerti come dono/souvenir al pubblico che varcherà le soglie del Padiglione di Torino Esposizioni.
Durante la 27esima edizione del Festival delle Colline Torinesi è andata in scena alla Fondazione Merz La trilogia delle Macchine ideata e diretta da Giuseppe Stellato, artista visivo e scenografo.
Lo spettacolo è decisamente interessante per la presenza in scena di “attori” inusuali. Dove nasce l’idea di far raccontare storie a delle macchine?
GS: Prima di tutto da una grande curiosità. Il mio lavoro da scenografo mi ha dato sicuramente la possibilità di vedere le cose da una prospettiva diversa, osservando la meccanica di alcuni oggetti quotidiani dall’interno.
Poi siamo stati invitanti nel 2018 alla Biennale di Venezia che proponeva un tema dal titolo Atto Secondo: Attore/Performer per presentare un’istallazione performativa, e in quell’occasione abbiamo presentato Oblò e Mind the Gap.
Siamo partiti dalla domanda: Cosa succede in teatro se a “raccontare” sono gli oggetti? Ci divertiva molto ragionare sull’idea che una macchina potesse essere allo stesso tempo attore e spazio, o per meglio dire scenografia, luogo, dove accade l’azione.
Ricordiamo che la trilogia è formata da tre quadri che hanno come soggetto tre macchine differenti: una lavatrice, un distributore di snack e bibite e un bancomat ATM. Come mai la scelta di utilizzare proprio questi oggetti?
GS: Il soggetto di Oblò prende spunto da quel video virale di qualche anno fa che girava su YouTube dove alcuni ragazzi mettono un mattone dentro una lavatrice e poi l’azionano, dando vita ad una sorta di autodistruzione che abbiamo trovato di una violenza indicibile.
Questo spunto ci ha dato la possibilità di riflettere in maniera differente sulla realtà, raccontando, in linea con la violenza del filmato di YouTube, un fatto di cronaca altrettanto violento: il corpo del bambino siriano ritrovato sulla spiaggia.
La foto di quel corpo ha avuto un’eco inimmaginabile su tutti i social globali. Per noi partire da quel soggetto di realtà è stato il pretesto per utilizzare un altro medium, in questo caso la lavatrice, che, come i social, ci costringe a prendere le dovute distanze da fenomeni feroci e cruenti come quello.
Quindi l’uso che fate dell’ironia è un altro strumento che utilizzate per prendere le distanze?
GS: Ah sì!!! Avete davvero colto degli elementi di ironia?!? Ci fa molto piacere, perché temevamo che il soggetto potesse essere troppo drammatico. Effettivamente dei momenti ironici ci sono e siamo contenti che li abbiate notati. Sono nati dall’improvvisazione e dal nostro genuino divertimento in scena.
Torniamo ai temi tratti dagli altri quadri…
GS: Per Mind the gap, frequentando spesso le stazioni dei treni, mi sono più volte ritrovato a guardare con interesse e stupore il distributore di merendine notandone il potenziale espressivo. Abbiamo cominciato a divertirci studiando i meccanismi interni delle macchine e come potevano essere utilizzati per raccontare delle storie. Abbiamo voluto esplorare la relazione del corpo di un performer che passa nella relazione con la macchina da essere mero spettatore a tecnico che dà il via all’azione.
Nelle prime due storie sono state usate due macchine di uso quotidiano ma una con una funzione privata (la lavatrice) e l’altra con una funzione pubblica (il distributore di merendine). Il terzo quadro è stato il naturale evolversi di un percorso che si andava via via delineando. Così nel Bancomat troviamo la sintesi delle due funzioni degli oggetti precedenti: un oggetto pubblico che conosce in maniera inquietante il nostro privato.
E tu Domenico, come ti sei trovato ad abitare una scena che era la protagonista assoluta rispetto al tuo agire satellitare?
DR: Va detto che io non sono un attore e in realtà neanche un performer. Io sono un tecnico, e mi sento molto a mio agio come “uomo delle macchine”. Conosco molto bene il loro funzionamento e so bene quello che possono fare. Per esempio molto del lavoro è stato fatto in scena durante improvvisazioni in cui montavamo e smontavamo le macchine scoprendone le varie possibilità comunicative. Interessante ci è apparso sin da subito il loro suono originale che abbiamo mantenuto in presa diretta durante gli spettacoli. Questo ci ha permesso di costruire un linguaggio vero e proprio sopra al quale abbiamo montato altre tracce audio che si andavano in alcuni momenti a sovrapporre e in altri ad affiancarsi istaurando un dialogo vero e proprio. Da questo incontro sono nate suggestioni che ci sembravano avere tanto da raccontare.
Come mai nel terzo quadro l’uomo delle macchine compare pulendo la scena invece che interagendo da subito con la macchina? Qual è il significato del pulire lo spazio?
Il terzo quadro nasce per completare una trilogia che, come dicevamo, si è andata delineando in maniera naturale e organica; quindi, ci piaceva l’idea di ricominciare ripulendo una scena che nel quadro precedente era stata sporcata da tutti gli oggetti che cadevano giù dal distributore. Inoltre, visto che nei primi due quadri avevamo simbolicamente tracciato delle linee di confine, la linea rossa di Oblò e quella gialla di Mind the gap, con questo gesto abbiamo anche voluto sottolineare la volontà, prima di marcare e poi di cancellare questi confini tra soggetto e oggetto proponendo una soluzione in cui il privato e il pubblico si trovano inglobati su uno stesso piano.
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Quella sera erano presenti allo spettacolo anche gli studenti della scuola del Teatro Stabile di Torino ai quali è stato chiesto come avessero percepito l’assenza di una narrazione umana.
I ragazzi hanno risposto di essere rimasti molto colpiti da come, nonostante l’assenza di un attore in scena, le macchine potessero comunque risultare tanto espressive. L’interesse dei ragazzi è stato catturato non solo dalle tematiche trattate ma in modo particolare dall’originalità della loro messa in scena.
Maria Alterno e Richard Pareschi spiegano la loro visione dell’ecodramma byroniano
Nella suggestiva area esterna della Fondazione Merz di Torino, i due giovani attori Maria Alterno e Richard Pareschi raccontano il processo creativo che li ha portati, dalle prime ricerche romantiche, ad una moderna versione dell’ecodramma byroniano.
Portano sulla scena del Festival delle Colline 2022 una nuova interpretazione del Manfred, esplorando con originalità la tematica complessa della crisi climatica in corso, tema attuale oggi come nell’Ottocento del Romantic Disaster.
Romeo Castellucci incontra il pubblico del Festival delle colline Torinesi. Il suo Bros, in scena alle Fonderie Limone il 29 e il 30 ottobre è infatti uno dei titoli di punta di questa 27esima edizione. Ustorio, crudele, potente, Bros è un’indagine sulla possibile violenza perpetrata dalle forze dell’ordine in quello iato, ahimè necessario – ogni ideologico pregiudizio è estraneo all’opera – per l’ordine pubblico, tra la persona e la divisa, il cittadino e l’istituzione.
Il Festival delle Colline Torinesi ci offre una diversa interpretazione del testo con il quale anche Carmelo Bene si è confrontato.
Nelle due serate del 28 e 29 ottobre 2022, presso la sede della Fondazione Merz,la compagnia Madalena Reversa ha messo in scena una rielaborazione complessa della rappresentazione del Manfred.
Un palco gremito ed un faro sul pubblico ci hanno introdotti allo spettacolo Hexploitation che le She She Pop hanno presentato lo scorso 25 ottobre al Teatro Astra. Una scelta inusuale quella di tenere le luci di scena accese, che si è rivelata, però, essenziale dopo aver compreso lo spettacolo per quello che era: un gioco, un dialogo che il gruppo espone sulla propria età e sul proseguimento di un’attività artistica in cui il corpo è assolutamente centrale.
Il punto di vista dei performer Sebastian Bark e Johanna Freiburg
Trascriviamo l’intervista, tradotta dall’inglese, che ci ha permesso di confrontarci con gli attori del gruppo di performer tedesco She She Pop. Abbiamo avuto il piacere di ascoltare il punto di vista di Sebastian Bark e Johanna Freiburg. Sono emerse questioni interessanti riguardo diversi temi esplorati nello spettacolo Hexploitation che ha avuto luogo al Teatro Astra in occasione della ventisettesima edizione del Festival delle Colline Torinesi.
Il Festival delle Colline prosegue con il suo undicesimo spettacolo prodotto dalla compagnia stabilemobile. Lo spazio scelto è la Fondazione Merz, dopo Danza Cieca di Virgilio Sieni messo in scena tra il 20 e il 21 di Ottobre, e non è un caso che ad occuparsene sia proprio un museo d’arte. Quello che il pubblico vedrà questa volta non saranno corpi, ma tre oggetti: una lavatrice, un distributore di snack e un bancomat ATM. Può davvero raccontare qualcosa un trittico del genere?
Dalla 27° edizione del Festival delle Colline Torinesi suggestioni sui tre spettacoli che all’interno della rassegna rappresentano il filone Teatro&Arte. Un viaggio nella poetica dell’umano attraverso il disfarsi delle comunità, la solitudine del maschile e femminile per una mancata redenzione, il perturbante e assordante silenzioso logos delle macchine. Un filo che unisce l’incanto in un crescendo di disgregazione.
“Vorrei renderti visita nei tuoi regni longinqui o tu che sempre fida ritorni alla mia stanza dai cieli, luna, e, siccom’io, sai splendere unicamente dell’altrui speranza”
(Andrea Zanzotto – IX Ecloghe)
“La luce del fuoco toglie spazio alla notte
e concede loro un tempo addizionale.
Un tempo per l’astrazione”.
(Da Una imagen interior testo teatrale di Pablo Gisbert)
In questo “tempo per l’astrazione” i pensieri si espandono, attraversano “regni longinqui” e poi ritornano come la luna di Zanzotto o come gli amori di Venditti.
In questo tempo addizionale mi ritrovo ad abitare i luoghi geometrici dei pensieri e come la donna vestita di bianco di Una imagen interior “considero me stessa una persona molto cerebrale”, la certezza della morte attraversa anche il mio corpo, per più di un secondo, ma che rimane comunque un tempo insufficiente.
“È impossibile pensare alla morte quando si ha fretta”.