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HANNAH – SERGIO ARIOTTI

Nella Sala Pasolini del Teatro Gobetti è andato in scena lo spettacolo Hannah.

Il monologo, che vede la drammaturgia di Sergio Ariotti, è interpretato da Francesca Cutolo. L’intento è quello di raccontare la storia di Hannah Arendt, filosofa e politologa tedesca che ha concentrato i suoi studi sui meccanismi dei totalitarismi, risalendo alle cause ed evidenziando le conseguenze di certi eventi storici.

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ELOGIO DELLA VITA A ROVESCIO – DARIA DEFLORIAN

Andare avanti per inerzia. «Aveva creduto nella sua bontà connaturata, nella sua umanità, ed era vissuta di conseguenza, senza mai fare del male a nessuno. Si era sempre impegnata, indefessamente, a fare le cose nel modo giusto; tutto il suo successo era dipeso da questo, e lei avrebbe continuato così per sempre».[1] Conservare lo stato delle cose. Finché non c’è un rallentamento e si rompe qualcosa. «Di colpo, fu assalita dalla sensazione di non aver mai davvero vissuto in questo mondo. […] Anche da bambina, per quanto indietro si spingesse la sua memoria, non aveva fatto altro che subire».[2]

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SAHARA – CLAUDIA CASTELLUCCI

L’essenzialità è una condizione nel teatro sempre difficile da maneggiare, ma è proprio ciò che Claudia Castellucci fa, alla sua quinta presenza al estival, insieme alla compagnia Mòra. In Sahara riduce il teatro al grado zero, in scena ci sono solo tre elementi: corpo, luce e suono.

La scena iniziale delinea già l’atmosfera che accompagnerà tutto lo spettacolo: la platea e il palco sono immersi nel buio e nel silenzio quando la luce di una torcia inizia ad illuminare un attore sullo sfondo. Non appena il palco diventa più visibile, si nota la presenza di sei attori in uno spazio completamente vuoto, i loro vestiti sono rovinati, hanno colori tenui e di tonalità di marrone. Questi sono i colori protagonisti dello spettacolo: sembra di trovarsi in un deserto, intorno a loro non c’è nulla, la luce è di un colore caldo e le immagini non sono del tutto nitide, c’è del fumo che rende l’ambiente “opaco”, come se fossero immersi nella polvere o nella sabbia. 

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THEBES: A GLOBAL CIVIL WAR – PANTELIS FLATSOUSIS

Libano, Repubblica Democratica del Congo, Bosnia, Grecia. Quattro performer, quattro lingue, quattro nazionalità, unite da un passato (e spesso un presente) di guerra civile, di massacri tra vicini, di case e intere famiglie bombardate e distrutte. E proprio di questa sofferenza parla Thebes: A Global Civil War di Pantelis Flatsousis, presentato al Teatro Astra all’interno del Festival delle Colline Torinesi 2024/25.

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USODIMARE – VALERIO BINASCO

Anche quando sveste i panni del personaggio, Valerio Binasco sale in scena con quella naturalezza, nel senso di autenticità e profondità in cui la intende Carlo Cecchi, che dice la realtà (sempre secondo la sua accezione di gioco reale) del suo teatro. 
Il corpo scenico – concreto e nervoso – è, in un modo quasi sensuale (il teatro è un fatto anche “erotico”), attratto dal palcoscenico, dal luogo fisico in cui sta agendo. La sua presenza concitata, vibrante e dinamica, incarna quel tipo di teatro – che non incontro di frequente – molto poco concettuale (nel senso di priorità data all’elaborazione intellettuale) e capace, invece, di verità: ciò che Binasco fa sulla scena viene fuori come liberazione di quella «bestia teatrale» che abita la sua anima. Come qualcosa di visceralmente sentito.

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Thebes: A Global Civil War

Appena entri nella sala, una scena piena di abiti sparsi sul pavimento cattura l’attenzione; sembra quasi una rappresentazione del caos e della disorganizzazione, oppure un simbolo di identità perdute e dimenticate. Questa immagine è un’introduzione a un viaggio emotivo e interiore che ci apprestiamo a vivere con lo spettacolo. Senza una sola parola di dialogo, la scena con gli abiti sparsi crea un’atmosfera di confusione e domande senza risposta. La prima domanda è: cosa vogliono dirci questi vestiti?

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SENZA TITOLO – ROMEO CASTELLUCCI

L’individualità è per definizione il complesso degli elementi di caratteristica ed esclusiva pertinenza del singolo. Attualmente, cosa ci pone come individui all’interno della collettività? Una tematica complessa, che ci viene mostrata nell’elaborazione dell’installazione performativa Senza Titolo di Romeo Castellucci all’interno della Fondazione Merz. La sala che ospita l’azione è completamente bianca, per non concedere distrazioni allo spettatore, ed è presente un fumo che rende austero il luogo. Al centro della sala è collocata una sbarra d’oro sospesa, che viene colpita dai capelli dei diversi performer, generando così un suono. Appena si entra l’azione è già iniziata, probabilmente mai finita, perché l’azione non prevede una conclusione ma una ciclicità e un continuo sostituirsi di persone che compiono il medesimo gesto. Sono le prime impressioni a rendere la sala un luogo dal tempo altro.

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THEATRE OF DREAMS.HOFESH SHECHTER COMPANY-

ph Alessandra Lai

IL SOGNO E LA VEGLIA

Lo spettacolo inizia  con le luci in platea ancora accese ,velocemente il pubblico se ne accorge, ed è subito silenzio!

Un danzatore ci accompagna in questo viaggio, scivolando dal fuori al dentro, così come il gioco dei sipari avrà lo stesso leitmotiv, creando visioni cinematografiche ricche di dettagli.

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IL FUOCO ERA LA CURA – SOTTERRANEO

Nel momento in cui vige sempre più la cultura del disimpegno e del disfacimento intellettuale, la compagnia del Sotterraneo al teatro Astra mette in scena Il fuoco era la cura dove l’elogio dell’Arte in tutte le sue forme s’impossessa dello spazio scenico; dalla recitazione al ballo, dal cinema al teatro, con la letteratura come punto di riferimento alto. Come afferma il filosofo Ferraris, la verità non esiste se non viene registrata. Quando ogni impronta di sapere e di civiltà viene data alle fiamme l’umanità diventa vulnerabile all’affermazione di regimi autoritari. Questo, secondo il capitano Beatty (Radu Murarasu), per un principio di uguaglianza fra individui che libera dal peso di un pensiero complesso, in un futuro distopico che stimola l’immaginazione dello spettatore.

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