È contenuta in questa tabula rasa la sintesi degli ultimi trent’anni di lavoro di Doriana Crema. Qui viene scritta un’estetica primitiva dello spazio e l’artista lo fa dialogando con la luce ideata dall’autore luci Gianni Staropoli . C’è il buio, la feroce notte, il raggio che disegna forme sagomate, c’è il dentro e il fuori, c’è l’esterno con i suoi suoni di traffico automobilistico e di aeroplani che attraversano il cielo, che si mescola all’interno.
“Ah! I have kissed thy mouth, Jokanaan, I have kissed thy mouth. There was a bitter taste on thy lips. Was it the taste of blood?… But perchance it is the taste of love….”
5 temi con variazioni | It takes one | Welcome two | Carte blanche
Giunto alla sua ottava edizione, Made4You, sotto la direzione artistica di Pompea Santoro, in collaborazione con il TPE, Paolo Mohovich e Palcoscenico Danza, è un progetto che spalanca le porte sul mondo della coreografia, quest’anno interamente dedicata all’Eko Dance Project. Tre giovani coreografi, ex danzatori dell’Eko Dance Alta Formazione e ora professionisti in compagnie di prestigio, condividono le loro creazioni sullo stesso palco: Simone Repele, Sasha Riva, Edoardo Cino e Tiziano Pilloni. Protagonista della serata, Fernando Suels Mendoza, figura di spicco del Tanz Theater Wuppertal di Pina Bausch.
We are nomads è una coreografia di Fernando Anuang’a. La performance esplora i temi della migrazione, del nomadismo e dell’identità attraverso il movimento e la musica.
Femminismo, diritti e continua lotta alla ricerca di sé stessi. Un viaggio d’amore e speranza, ma anche di realtà e ingiustizia. Tutto questo è Radici/Una cosa che so di certo, l’opera originale di Alba Maria Porto che ha debuttato al ventisettesimo Festival delle Colline Torinesi mercoledì 19 ottobre alle Lavanderie a Vapore.
Lo spettacolo procede in parallelo alternando presente e passato, passando dalla storia di due ragazzi d’oggi a quella di tre donne negli anni ’70 conducendoci in un viaggio nello spazio e nel tempo. Veniamo coinvolti dai cambi di luce, dai suoni e dai costumi, ma soprattutto dai temi che portano a interrogarci su argomenti quali l’appartenenza, l’identità, la famiglia.
Un tema sul quale si insiste particolarmente è legato al rapporto tra genitori e figli. Viene rappresentato attraverso gli occhi di un uomo (Mauro Bernardi) che vede crollarsi il mondo addosso quando scopre di essere stato adottato. Il suo è un rapporto conflittuale, non si è mai sentito veramente parte di quella famiglia, riesce solo a provare odio, soprattutto nei confronti della madre. Tutta la rabbia si manifesta in un dialogo col padre, che in realtà è un monologo perché sulla scena è solo e le sue crudeli parole vengono urlate direttamente agli spettatori, come se tra i padri che compongono il pubblico ci fosse anche il suo. Il rapporto però assume sfumature diverse quando a presentarcelo è la ragazza (Lydia Giordano). Il legame con sua madre è di amore puro, tanto forte che nel momento della sua morte lei si sente persa, bloccata nella casa d’infanzia, circondata da un cimitero di vecchi oggetti dai quali non riesce a staccarsi, ma più in generale si sente intrappolata in una vita che non è certa di volere. Non sa a chi rivolgersi; il padre è una figura assente, la cui presenza arrecherebbe solo maggiore confusione.
Sono le declinazioni del movimento e della postura, gli elementi su cui Giuseppe Muscarello vuole indagare nel suo lavoro “I PUPI – Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori…”
È andato in scena domenica 9 ottobre alla Lavanderia a Vapore di Collegno, nell’ambito del Festival Incanti, rassegna internazionale di teatro di figura. Il lavoro è stato seguito da un breve momento di confronto col pubblico. Muscarello, in questa sua coreografia, partendo dalla grammatica dei pupi siciliani di scuola palermitana, esplora il movimento in relazione al codice dello spazio. Il confine tra cavalleria e passione, tra il lottare e l’amare, sono il fulcro su cui si dipanano i dinamici quadri costruiti dai quattro performer presenti in scena.
Martedì 9 e mercoledì 10 novembre, per il Festival delle Colline Torinesi, è andato in scena alle ‘Lavanderie a vapore’ di Collegno, lo spettacolo Sonora Desert della compagnia Muta Imago, composta da Claudia Sorace (regista) e Riccardo Fazi (drammaturgo/sound designer).
«È la prima volta che realizziamo un lavoro dove non c’è il teatro, non c’è la performance, non c’è un evento dal vivo di fronte allo spettatore, ma c’è un’esperienza proposta direttamente su di te che la fai» dice Riccardo Fazi, che si è gentilmente fatto intervistare.
Il nuovo spettacolo dei Muta Imago è un’installazione allestita in tre diverse stanze. Cinque, se si prendono in considerazione anche la stanza di ingresso, in corrispondenza della biglietteria, e l’uscita, dove si depositano e si recuperano gli effetti personali riposti in appositi contenitori trasparenti.
«È una scommessa che richiede una disponibilità da parte di chi partecipa.»
“No, non conobbi mai l’invidia, mai! Di me chi avrebbe mai potuto dire che ero uno spregevole invidioso, un verme che si schiaccia sotto i piedi, un’impotente serpe che si ciba di polvere e di sabbia? Nessuno! Ed ora – lo confesso – invidio”. In queste parole, tratte dal breve dramma Mozart e Salieri di Puškin ed enunciate da uno dei personaggi, si racchiude probabilmente l’essenza di Livore, portato in scena alla Lavanderia a Vapore di Collegno dalla compagnia VicoQuartoMazzini. Lo spettacolo prende infatti spunto dall’ormai celebre rivalità fittizia tra i due compositori e, trasponendola ai giorni nostri, la utilizza come punto di partenza per esplorare il tema dell’invidia nel mondo contemporaneo. Non più quindi Mozart e Salieri, ma Amedeo e Antonio, due attori, uno di teatro sperimentale dai forti princìpi, l’altro già ampiamente inserito nella macchina della fiction e con una carriera in ascesa, anche grazie all’aiuto del suo agente e fidanzato Rosario. I due, entrambi coinvolti nella realizzazione di una serie tv su Mozart, si confrontano a casa di Antonio, nelle ore che precedono un’importante cena organizzata per lanciare definitivamente la carriera di quest’ultimo.
Una ricerca all’interno del mondo dei DSA
(disturbi specifici dell’apprendimento) è questo il tema dello
spettacolo “#44dono sospeso altrove” di Monica Secco portato in
scena alla
Lavanderia
a Vapore di Collegno dal 31 gennaio
al 2 febbraio 2020 dall’associazione ArteMovimento nel contesto del
progetto europeo Erasmus + “PerformAction”.
Cosa definisce l’identità di una persona? Basta venire al
mondo per essere visti? E se nessuno ci vede esistiamo lo stesso?
Fai vedere che ti dai importanza, e ti sarà data importanza, assioma
cento volte più utile nella nostra società di quello dei greci “conosci te
stesso”, rimpiazzato ai giorni nostri dall’arte meno difficile e più
vantaggiosa di conoscere gli altri.
(Alexandre Dumas – Padre)
1844 le parole di Dumas sembrano scolpite immortali senza
tempo, ed arrivare con la potenza dell’attualità sino a noi. Il bisogno di
farsi vedere per affermare la propria esistenza, restare sotto i riflettori per
non piombare nel terrificante buio della profondità del sé. Trovare nello
sguardo dell’altro l’autorevolezza di porci in esistenza.
Sara Pischedda con ironia e coraggio riesce a mettere il suo corpo a servizio della narrazione, raccontandoci di una “società dello spettacolo”, come la definirebbe Guy Debord, impegnata a mostrare corpi osceni caratterizzati da un’ostentazione sguaiata, irriverente, scandalosa.
Seduti nel buio della sala odiamo il riconoscibile rumore del proiettore cinematografico e su un red carpet fatto di luce bianca comincia a sfilare il contorno giunonico di una donna. Vestito attillato giallo fluo, scarpe a spillo, il corpo si muove a scatti sincopati assecondando i click e i flash non di fotografi, come ci aspetteremmo da un red carpet, ma quelli della fotocamera di un telefonino che scatta selfie in maniera crescente sempre più compulsiva.
Buio, i rumori dei click cessano. Questo silenzio dà allo
spazio una dimensione liquida. La luce cambia e in questo stato di ritrovata
placenta Pischedda comincia a spogliarsi, non in maniera erotica o sensuale, ma
come trasfigurando il proprio corpo che da umano a un certo punto ci appare
come materia plasmabile, feto che si dimena con fatica ma senza frenesia, assecondando i tempi
dilatati dell’attesa. Il respiro è all’unisono con il battito del cuore è alla
fine il corpo scivola via da quello stretto tubo giallo fluo. Non c’è dolore in
questo travaglio non è una vera è propria rinascita ma più un “ritorno al corpo
dove sono nato” un ritorno alle origini.
Il corpo che si manifesta in un nudo integrale come pura
bellezza non ha nulla a che vedere con l’osceno precedente. Un corpo morbido,
burroso, accogliente, non propriamente in linea con i canoni estetici che siamo
abituati a subire. Poi accade qualcosa di semplice ma al tempo stesso
straordinario, questo corpo a noi estraneo dichiara il suo nome. Un atto tanto
astratto ha in realtà un potere estremamente concreto, fisico, nel tracciare
confini identitari. Le parole di presentazione e i movimenti che le
accompagnano vengono ripetuti in maniera quasi ossessiva, come se passassimo più
volte un pennarello sulla stessa linea per accentuarne i contorni. I movimenti
si fanno sempre più larghi e il corpo tende a riempire l’intero palco.
Questo corpo importante che nella nostra società
contemporanea sarebbe invisibile probabilmente per mancanza di like, compie un
atto squisitamente politico e si riappropria del suo spazio nel reale, il suo
spazio trimensionale, occupandolo.
Ironica, intelligente, coraggiosa non per aver messo a nudo il suo corpo ma per aver portato alla luce, in maniera schietta e tremendamente sincera, paure e frustrazioni nel tentativo, una volta mostrate, di legittimarle all’esistenza. Così quei 120g che gravano come ipoteca sul presente, diventano la traccia di un destino quello che porta Pischedda ad indagare e ricercare attraverso la danza una conoscenza profonda del suo corpo nel lungo ed accidentato cammino dell’accettazione di sé, rendendo per questo il suo messaggio universale.
Senza sovrastrutture, fuori dagli standard, il corpo ritrova l’istinto alla libertà
P.S. non ci sono foto della nudità di questo corpo online a conferma di un bisogno di riappropriazione di una spazio reale che può essere visto e condiviso solo nell’intimità di un un incontro.
Nina Margeri
Coreografia e interpretazione Sara Pischedda
Suono Marco Schiavoni
Light design Stefano De Litala
Il blog degli studenti di teatro del D@ms di torino