Stanza piccola, buia.
Al centro, una scrivania, una pila di diari, un microfono, un bicchiere d’acqua, due attori, una piantana, una videocamera, un libro, un registratore.
Dai nastri escono rumori, suoni, canzoni di un tempo, voci.
“Questo spettacolo inizia con un numero di magia!”
Siamo a teatro, questo è certo, ma non nel nostro: siamo nel teatro di Roberta.
Dopotutto, stiamo ascoltando la sua storia.
“Ho un teatro nella testa…”
Roberta si avvicina al microfono e racconta: il giorno in cui ha incontrato il dottor Spera, il suo psichiatra, quando le diagnosticò la depressione e le prescrisse una cura di antidepressivi.
Le parole escono chiare, ferme, in parte vengono filtrate dal microfono e in parte no; sullo sfondo dietro di lei appaiono ritagli di giornale, cartoline, vecchie fotografie, ricette di farmaci, biglietti del treno, immagini di momenti incollati su un albo e mostrati al pubblico dalla videocamera, forse per aiutare la narrazione, ma non per forza.
“Viaggio verso il pianeta G570”
Roberta ci porta con sé nel viaggio verso il suo pianeta, il pianeta G570. I ricordi dell’infanzia tornano alla mente di una donna adulta, il racconto più o meno piacevole di eventi passati si intreccia con l’esigenza, in parte richiesta dal dottor Spera, di cercare un motivo, una spiegazione del malore.
Una risposta c’è: qualcosa è indubbiamente cambiato in lei dalla morte della madre, che l’ha cresciuta con tutte le sue forze, a discapito della malattia che negli ultimi tempi la stava distruggendo; ma non è abbastanza, Roberta deve proseguire la ricerca.
La vera storia si svolge nel passato, negli eventi più recenti e in quelli lontani, che hanno segnato l’infanzia, l’adolescenza e la prima età adulta. Dal ricordo di amicizie insipide, di storie d’amore finite male, dalle amiche che fingono di non conoscerla, dagli aneddoti riguardanti sua madre, dai compleanni passati senza e con gli amici, con e senza il padre, dopo la sua morte: la storia, incisa nella mente di Roberta, viene in parte raccontata dai suoi diari (quelli che lo psichiatra le chiese di scrivere e quelli che lei stessa aveva già scritto) e dal registratore Geloso, modello G570.
La ricerca di Roberta parte proprio dalle sue relazioni: come le fa presente il dottor Spera, lei parla solo di amici “che sono partiti o che non sono rimasti”; dalle cattive conoscenze alle vicende familiari, le storie di Roberta non mancano certo della presenza di amiche e amici, ma si tratta sempre di persone distaccate, come poi è distaccata lei stessa.
Roberta è circondata da persone, ma è sola: ed è proprio la solitudine, questo senso di impotenza di fronte alla creazione di legami che rimangono a tutti gli effetti relazioni superficiali, che la porterà alla depressione.
Un ricordo puro nella sua semplicità (forse perché assai remoto) balena nella sua mente durante la ricerca: un gioco a cui giocava spesso insieme a Carla, sua grande amica d’infanzia.
“Il soffitto è caldo, caldissimo, milioni di milioni di gradi, la forza di gravità non esiste più, e siamo costrette ad aggrapparci agli oggetti per non finire su”
Roberta preme un tasto del G570 e dagli altoparlanti escono la sua voce e quella di Carla.
Regalatole da piccola, il registratore fu il suo piccolo palcoscenico dove poteva “esibirsi”, registrando a suo piacimento e sovrascrivendo con idee nuove e migliori; oggi Roberta cerca di preservare quella memoria, quel frammento della sua vita ritrovato per caso in un ripostiglio insieme ad un paio di bobine.
E, da come è iniziato, lo spettacolo termina con un numero di magia, “un numero che prevede uno psichiatra, degli antidepressivi, una pila di vecchi diari, vecchie fotografie, […] e un registratore modello G570 Geloso”.
Il testo dello spettacolo sta, come è ricorrente nella ricerca artistica della coppia Cuocolo/Bosetti, a metà strada tra la realtà e la finzione. Scritto dagli attori stessi, sigla la tredicesima parte dell’ “Interior Sites Project”, progetto di grande successo (del quale ricordiamo “The Walk” e “The Secret Room”).
In scena, Roberta Bosetti interpreta se stessa, azionando il registratore e “giocando” sapientemente con il microfono (ottenendo effetti particolari che contribuiscono alla narrazione); anche Renato Cuocolo è in scena: senza interagire nella storia verbalmente, è lui che manovra la videocamera, selezionando i frammenti di immagini da inquadrare e, a volte, spostandosi fisicamente dalla postazione di ripresa e avvicinandosi alla proiezione, come in cerca di un contatto.
“Roberta cade in trappola” è una storia bella, a tratti complessa e non sempre di facile comprensione, ma è vera: è la storia di Roberta Bosetti, l’attrice che, con sapiente equilibrio, “si interpreta”.
di Roberta Bosetti e Renato Cuocolo
regia Renato Cuocolo
tredicesima parte di Interior Sites Project
coproduzione IRAA Theatre e Il Funaro Pistoia
in collaborazione con Teatro di Dioniso
in scena alla Casa Teatro Ragazzi e Giovani
in replica l’8/06 e il 9/06