Per il seminario In Atelier, Processi creativi e dinamiche di relazione nelle “compagnie d’arte”, la sala piccola della Casa del Teatro Ragazzi e Giovani di Torino ospita la performance che corona la lectio mattutina Tra voce e infanzia tenuta da Chiara Guidi presso l’Aula Magna della Cavallerizza Reale. Il contesto raccolto e intimo permette di percorrere il viaggio narrativo a partire dalle primissime sensazioni teatrali della protagonista in una palestra di scuola elementare, per passare attraverso le esperienze giovanili di due coppie di fratelli Chiara e Paolo Guidi, Romeo e Claudia Castellucci: la futura Socìetas Raffaello Sanzio. Si procede per grandi domande, ci si interroga sullo statuto delle altre arti dentro a quell’enorme scatolone che è il teatro: il metodo di lavoro prevede la costante relazione con esse attraverso un percorso in cui il fare precede sempre il concetto. La ricerca di Chiara Guidi è mossa ancora oggi dall’essenza del desiderio del trovare una forma che dia luce all’urgenza, urgenza di comunicare insita in quella dimensione preverbale della voce, tipica dell’infante. Il suo teatro si nutre di azioni dimenticate, nascoste nel fondo del “tra”, il campo di forze abbracciato dai due punti fondamentali voce e infanzia. Nella cultura infantile la voce è linguaggio in quanto suono prima di diventare parola; ogni azione porta a un suono disarticolato. Le domande che scaturiscono da tali considerazioni sono, dunque: qual è la necessità che mi porta ad aprire la bocca e a dire? Qual è l’urgenza di uscire sul palcoscenico? La voce non è tecnica ma puro voler dire, è manifestativa. Chiara Guidi, in una michelangiolesca metafora descrive la ricerca della voce giusta come la scelta del marmo giusto.
Nel buio della sala, due sono state le rivelazioni che più hanno catturato la mia curiosità e che maggiormente mi hanno permesso di entrare in punta di piedi dentro il quadro filosofico che la Guidi stava dipingendo davanti agli occhi del pubblico, o meglio, davanti alle sue orecchie: una prima sorprendente immagine è quella della voce-che-non-c’è, ovvero tutta quella parte di voce che non arriva diretta al pubblico, perché resta alle spalle dell’attore, o va oltre la platea, dove gli spettatori non rivolgono il loro sguardo. Ed è proprio questa la parte della voce che fisicamente, in modo tangibile spinge e sostiene l’altra, quella che arriverà alle orecchie del pubblico; proprio come l’Isola-che-non-c’è, la voce-che-non-c’è è la forza che vivifica la narrazione e l’emozione, è il luogo che rende possibile la narrazione. L’altra è un’immagine altrettanto materica, ancora più illuminante: Chiara Guidi afferma che ad un certo punto del suo percorso ha “visto la sua voce camminare davanti ai suoi occhi” e lei la conduceva, la dirigeva, non su di una linea, ma nello spazio intero, perché non solo la voce è spazio, ma ogni suono, ogni parola è un piccolo spazio a sé che vive ed è carico di significato ed emozione.
Chiara Guidi ruba, ruba voci, fin da bambina, fin dalla palestra della sua scuola tutta coperta di nero, senza più canestro, senza più pareti, immersa nel nero. Cerca di fare sua ogni voce che la colpisce, la ruba, la studia, la allena, la imita, finché non la riproduce ed essa diventa personaggio. L’allenamento è fondamentale per poter reggere un’intera ora di spettacolo. Lo strumento fonatorio deve essere allenato, deve essere portato sino al limite per poterlo superare, sino al punto in cui la laringe sanguina nella strenua ricerca di nuove possibilità. Soltanto in questo modo dalla voce possono fiorire i personaggi, come il papà di Buchettino e il pubblico può lasciarsi rapire dai suoni, come fanno i bambini, che non ascoltano per l’ennesima volta una storia che conoscono a memoria, ma seguono attentamente la voce della nonna che racconta, lasciandosi trasportare dalle atmosfere e dalle suggestioni che suscita. La mia personale curiosità avrebbe, forse, voluto poter assaggiare qualche momento di spettacolo in più, avrebbe voluto conoscere più personaggi, per poter godere del maggior numero possibile delle sfumature di quel meraviglioso strumento che è la voce, la voce materica, la voce-che-non-c’è.
Chiara Guidi e la sua Voce ci hanno fatto ritrovare l’infante nascosto in noi, ne hanno riacceso la voglia di racconto e hanno portato l’attenzione dell’adulto, seduto in platea, all’ascolto. In fondo si cresce continuando a porsi domande, sempre più grandi e il segreto, forse, sta proprio nel non trovare le risposte.
Lucrezia Collimato