Conversazione davanti a un caffè con Andrea Zardi, danzatore, ideatore e regista dello spettacolo Nòstoi/Viewroom, nonché referente all’interno del DAMS di Torino del team di ricerca per gli esperimenti neuroscientifici sulla ricezione della danza in collaborazione con il NIT (Centro Interdipartimentale di Studi Avanzati di Neuroscienze). Lo spettacolo di danza contemporanea andrà in scena venerdì 18 novembre alle Fonderie Teatrali Limone di Moncalieri.
Andrea, come hai vissuto l’esperienza della residenza?
A dire il vero, inizialmente quella di Nòstoi è stata una residenza “non-residenza” perché i lavori sono iniziati con la sola concessione gratuita degli spazi del Teatro Gioia di Piacenza: una suggestiva sala polivalente nata nel contesto del restauro della Chiesa del Sacro Cuore, le cui prime tracce risalgono all’anno Mille. Da questa prima settimana di confronto e studio sono germogliati i primi venticinque minuti dello spettacolo, presentati in una restituzione pubblica il dodici giugno scorso. Si è trattato certamente di un approccio al movimento con ancora poco tessuto narrativo. La residenza è arrivata grazie all’inclusione nel festival organizzato dall’Istituzione Musica Teatro di Moncalieri e lo spettacolo è stato completato grazie al sostegno e alla collaborazione del Teatro Trieste 34. Per me è stata la prima esperienza di questo tipo con così tante persone: in passato mi sono dedicato soltanto a soli o duetti, per Nòstoi/Viewroom sono al mio fianco i quattro danzatori Claudia Passaro, Maria Novella Tattanelli, Mattia Mele e Stefano Scarnera. Certamente è emersa moltissima energia, nel momento in cui si è creato un team di lavoro affiatato e che procedeva nella stessa direzione creativa. Devo ammettere, però, che danzare all’interno di ciò che si crea in alcuni momenti diventa alienante, a causa di tutto quello che ruota attorno allo spettacolo in sé e per sé.
Lo spettacolo tratta il tema del ritorno ed è ispirato alla figura di Ulisse: di tutte le rappresentazioni iconografiche hai scelto Il ritorno di Ulisse opera di De Chirico.
La mia non vuole assolutamente essere una rilettura, né tantomeno una riscrittura del mito. Il mio punto di partenza per gli studi coreografici è sovente un supporto visivo, forse in virtù della mia formazione legata alla storia dell’arte. Trarre ispirazione da un’immagine significa poter leggere una storia in mille maniere diverse, senza il vincolo di un testo scritto. Perché proprio De Chirico? L’artista ha scelto di collocare Ulisse all’interno di una stanza, in un ambiente domestico, dove tuttavia si compie un viaggio. Ne emerge un contrasto che sfocia in un ritorno. Sono proprio il tema del ritorno e della nostalgia i cardini attorno ai quali si articola lo spettacolo. Cinque persone che si interrogano, si muovono e danzano restituiscono altrettante visioni diverse del ritorno a casa.
Come entrano, dunque, in relazione cinque corpi con il ritorno, la nostalgia e una stanza?
Questa per me è una delle domande più difficili alle quali rispondere perché in fondo si tratta di spiegare “come lo realizzo”. Parto sempre dal presupposto che il corpo del danzatore debba essere fisicamente e tecnicamente preparato, il che non vuol dire che debba trattarsi di danzatori puri. Credo, però, che l’unica via per approcciare temi concreti e, dunque, per lavorare a una idea sia la stessa di quando ci si mette ad un tavolo a scrivere qualche cosa. Si tratta di fisicalizzare un concetto senza essere pantomimici; solo a quel punto si può costruire la drammaturgia. Il lavoro sulla fisicalizzazione è stato pertanto maggiore rispetto a quello strettamente coreografico. Il materiale coreografico è in gran parte mio, ma con questo approccio numerosi elementi sono frutto della creatività e della riflessione dei danzatori. Il meccanismo funziona nel momento in cui si sono grande intesa e una direzione chiara e determinata. Ed è proprio questo l’enorme vantaggio e, allo stesso tempo, lo scotto del lavorare con gruppi formatisi appositamente per un progetto e non con una compagnia stabile. Perciò, sì, ciascun corpo ramifica nuove relazioni. Curioso è stato un episodio verificatosi durante la prima restituzione pubblica: ad un certo punto dello spettacolo uno dei danzatori non era coinvolto nell’azione, ma a causa della mancanza di quinte mi era impossibile farlo uscire di scena; la soluzione è stata quella di farlo raggomitolare appoggiato al muro fino al momento del suo successivo ingresso. Al termine della performance sono stati moltissimi gli spettatori che mi hanno chiesto quale fosse il significato di quel corpo appartato, perché ne avevano letto degli spunti drammaturgici invece della pura e semplice esigenza tecnica.
Ritorno e Nostalgia: le tue radici sono piacentine, ma ora vivi a Torino. Quanto c’è della tua esperienza nello spettacolo?
Il fatto che la richiesta e la residenza siano state a Piacenza, in realtà, è stato un puro caso. Sono scappato dieci anni fa dalla mia città e quando sono ritornato ho trovato persone pronte ad accogliermi e interessate al progetto che stavo portando avanti. Si potrebbe dire, allora, che il ritorno è stato per me un nuovo punto di partenza, con la constante volontà di andare avanti senza fermarsi mai. Questo c’è di me in Nòstoi.
Lucrezia Collimato
Nòstoi/Viewroom
Venerdì 18 novembre 2016
Fonderie Teatrali Limone, Moncalieri (TO)
Ideazione e Regia: Andrea Zardi
Esecuzione: Andrea Zardi, Maria Novella Tattanelli, Claudia Passaro, Stefano Scarnera, Mattia Mele
Luci: Andrea Gagliotta
Foto Credit: Danila Corgnati
Grafiche: Andrea Cammi
Teatro Trieste34 – Piacenza
In collaborazione con Teatro Gioco Vita – Piacenza
Istituzione MusicaTeatro Moncalieri / Fonderie teatrali Limone – Moncalieri (TO)