La stagione Live Show Cumiana ha ospitato presso il teatro Carena lo Stivalaccio Teatro, compagnia veneta da Scorzé (VE), proponendo una serata ispirata al teatro popolare e alla commedia dell’arte. Marco Zoppello e Michele Mori portano in scena un Don Chisciotte raccontato da due Comici Gelosi della seconda metà del ‘500: Giulio Pasquati, padovano, in arte Pantalone e Girolamo Salimbeni fiorentino, in arte Piombino.
Sul fondale una tela quadrata fatta di pezze color terra su toni marroni, rossi, aranciati. Poco più avanti, al centro, un vecchio e misterioso baule verde; verde speranza, come quella di salvezza che i due comici ripongono nel teatro e nella vita. Gli attori iniziano a recitare tra il pubbico, come si addice a quel teatro comico a cui piace disintegrare la quarta parete nelle due direzioni: non solo dal palco alla platea, ma anche dalla platea al palco.
Tutto ha inizio con una condanna a morte. E’ il 25 febbraio dell’anno 1545, siamo a Venezia e sua eccellenza l’Inquisitore dichiara i due comici colpevoli di aver inscenato sulla pubblica via uno “sconcio” spettacolo di commedia dell’arte in tempo di Quaresima, per di più senza aver pagato il plateatico. Ma i condannati hanno un ultimo desiderio: recitare una commedia. E’ concessa loro una sola ora di vita, poi la forca. Allora ecco che decidono di mettere in scena le buffe “imprese” del famoso hidalgo della Mancia e del suo fedele scudiero-contadino. Salimbeni nei panni di un Don Chisciotte toscano e Pasquati in quelli di un Sancho Panza veneto ripercorrono le avventure dei due celebri personaggi in un incalzare di episodi, conditi talvolta con qualche trovata inedita; laddove non si ricordano come va avanti la storia si inventano alcuni particolari, ma qualsiasi trovata va bene pur di ritardare l’esecuzione e assaporare qualche minuto in più di vita.
Prima di tutto urge il cosiddetto momento equino, ovvero la presentazione del nobile destriero, dell’immane quadrupede, della fiera bestia: Ronzinante, il ronzino “unigamba”, così classificato da Salimbeni. Come definire con altrettanta eleganza un fantoccio che ha per testa un grumo di pezza e per corpo un manico di scopa? Mai definizione fu più calzante. Dal canto suo anche Pasquati procura al suo Sancho l’asinello di rito: un modellino di cavallo a dondolo per nani da giardino. Una volta recuperata la cavalcatura più adatta, possono finalmente dedicarsi a imprese gloriose: combattono nel nome della dolce Dulcinea, in un mondo deformato, tra osti castellani e catini fatti elmi, tra giganti mulini a vento ed eserciti di pecore, “perché – come alla fine si rende conto Don Chisciotte – viviamo in un mondo in cui vivere non è che sognare” (La vita è sogno, Calderon De la Barca).
Di tanto in tanto l’inquisitore, quando nota che i due comici temporeggiano, interviene battendo il tempo. Ma i due guitti cialtroni si aggrappano a qualunque pretesto in modo da tirare la commedia per le lunghe; si inventano persino un nuovo capitolo del romanzo pur di rimandare la condanna. Grazie ai suggerimenti di un pubblico attivo e partecipe, ecco il capitolo inedito di Cervantes: la nuova avventura di Don Chisciotte contro il tremendo Gianni Morandi. Il marrano tiene nascosta Dulcinea nel comune di Napoli, ma verrà sconfitto dal cavaliere errante con un potentissimo schiaccianoci.
Con Don Chisciotte: tragicommedia dell’arte ci troviamo di fronte a quel teatro che sembra all’improvviso, ma non lo è. Marco Zoppello e Michele Mori seguono precisi codici comici della commedia dell’arte: se danno l’impressione di andare a braccio, in realtà sanno benissimo dove andare a parare e dove portare il pubblico. Curato nel dettaglio a livello tecnico, di movimento e di parola, lo spettacolo si regge anche su una drammaturgia ben pensata. A fianco al gesto, al ritmo, alle onomatopee incalzanti, ai lazzi e alle tirate, si pone un testo intessuto di citazioni come una ragnatela: da Dante a De la Barca, da Shakespeare a Leopardi e molti altri.
Perché però far raccontare il Don Chisciotte da due comici dell’arte? Il motivo di questa scelta è duplice. Innanzitutto la predisposizione naturale del romanzo di Cervantes alla messa in scena. Si tratta infatti di un testo dotato di dinamiche e meccanismi comici, che risultano assimilabili alla Commedia dell’arte, in particolare i due protagonisti possono corrispondere ad alcuni “tipi fissi”: da un lato troviamo Don Chisciotte, a metà tra un Capitano sognatore e un cieco Amoroso, che vive di letteratura e ama di un amore puro, platonico, idealizzato; dall’altro Sancho Panza, più simile ad uno Zanni, umile contadino e servo affamato, che punta al sodo per appagare i suoi bisogni primari (fame, sonno, sesso).
In secondo luogo la scelta è simbolica, strettamente legata ad un momento critico e di rinascita della compagnia lo Stivalaccio. Unici “superstiti” della compagnia originaria, Marco Zoppello e Michele Mori, si sono dovuti inventare uno spettacolo che permettesse loro di poter continuare a vivere di teatro. E allora, rimasti duo, perché non raccontare con Don Chisciotte e Sancho Panza le loro disavventure e magari farle raccontare da due Comici Gelosi condannati a morte?
Pasquati e Salimbeni rischiano la morte e cercano attraverso il pubblico di salvarsi la vita, si aggrappano a quello che sanno fare meglio: recitare, fingere, modellare e plasmare il pubblico, giocarci e prendersene gioco, metterlo in burla, ottenere consenso, plausi, approvazione, la grazia, la vita. Alla fine il pubblico applaude e i comici si salvano, vox populi, vox dei.
Alessandra Minchillo
Live Show Cumiana – Teatro Carena
22 dicembre 2017
Don Chisciotte: tragicommedia dell’arte
Produzione Stivalaccio Teatro
interpretazione e regia:
Michele Mori – Girolamo Salimbeni/Don Chisciotte
Marco Zoppello – Giulio Pasquati/Sancho Panza
soggetto originale Marco Zoppello
dialoghi Carlo Boso, Marco Zoppello
costumi e fondale Antonia Munaretti
maschere Roberto Maria Macchi
audio e luci Matteo Pozzobon