Teheran vent’anni dopo la rivoluzione. Uno spaccato di società o meglio una società spaccata, piena di contraddizioni nella sua storia grande come in quella piccola di donne e uomini, e bambini che vanno a scuola. È difficile per noi capire fino in fondo quella parte di mondo, il Medio Oriente, con le sue terre devastate da guerre intestine e internazionali, contraddizioni religiose e civili, e ora ancora di più attuali. L’Iran repubblica islamica dalla fine degli anni settanta, è uno degli stati più influenti e potenti della regione, sebbene le contraddizioni, di una società sempre più chiusa e integralista, non si fanno attendere, aggravate ulteriormente dall’embargo occidentale. Tutto questo nello spettacolo non c’è, non viene detto, ma è come se trasudasse dalle pareti della scuola, lo si percepisce nascosto tra le parole sconsolate della gente. Persone che non ci stanno, persone che nel loro piccolo pongono domande per comprendere, capire qualcosa che non sta accadendo come dovrebbe. Le domande di una mamma al maestro, sono le domande della maggioranza di un popolo che vuole un Iran senza restrizioni.
Il regista iraniano Amir Reza Koohestani, da tempo molto apprezzato nella scena internazionale, mette in scena Summerless ,in seconda rappresentazione europea, alla ventitreesima edizione del Festival delle Colline Torinesi. Uno spettacolo in lingua farsi che vuole indagare i rapporti tra diverse generazioni, tra i figli che aspirano a un cambiamento, a una vita in una società diversa e a scoprire il mondo, e i padri troppo ancorati ad un sistema di controllo, che accettano perché hanno conosciuto solo quel sistema. Koohestani sceglie, come microcosmo per mostrare le trasformazioni che stanno avvenendo nella società iraniana, una scuola elementare. Un arco temporale di nove mesi, scandito in tre stagioni, il periodo scolastico, in cui appunto, come si intuisce dal titolo, manca il periodo estivo. L’estate viene evocata come tempo futuro, lontano, dove i nostri protagonisti non vivono perché la scuola è chiusa, un tempo di sogno, utopia di un futuro migliore.
Tre personaggi: una sorvegliante, un pittore e una madre. Il pittore in passato viveva con la sorvegliante, ma avendo intenzioni di vita differenti si sono separati. La sorvegliante viene incaricata di abbellire la scuola e creare laboratori. Non conoscendo altri, chiama il pittore e gli dà la possibilità di insegnare arte in uno dei laboratori e di dipingere il muro. Si intravedono le prime crepe. Lui accetta il lavoro per guadagnare qualcosa e riconciliarsi con la donna, ma non verrà pagato. Inoltre il muro deve essere ridipinto perché ha ancora delle scritte propagandistiche del vecchia dittatura. Parole che i bambini vedono continuamente, simbolo di una tara del passato che fa fatica a scomparire. Se si copre una crepa, mettendola da parte come cosa di poco conto, al minimo scossone si ingigantisce e poi crolla tutto. Così questi problemi si insinuano anche in un muro dipinto. Il pittore incontra una giovane madre in attesa della sua bambina nel cortile della scuola, le parla e si fa raccontare chi sia la sua bambina e il papà. Decide di dipingere la bambina con la madre e il padre. Costretto a cancellare il dipinto perchè si intravede ancora qualche scritta, decide di andarsene e continuare la sua vita da pittore in provincia. Una sua alunna crede di essere innamorata del maestro, ed è distrutta quando capisce che lui se ne va. Inoltre la madre, intravedendo sotto il bianco l’immagine di un uomo che tiene per mano la bambina, comincia a pensare che il maestro nasconda qualcosa. Voci aggravate dagli altri genitori. La quiete tornerà quando si chiarirà col maestro e quando ci sarà un incontro tra lui e la bambina, per farla guarire dai suoi problemi. Non mangiava più, voleva vedere solo il maestro. Come è cominciato in punta di piedi, lo spettacolo finisce altrettanto, con la bambina che spinge la giostra in cortile, sogno di uno stravolgimento delle situazioni, sogno verso un futuro, forse adesso un po’ più dolce.
Uno spettacolo semplice nel suo sviluppo, che volutamente non intende mostrare apertamente tutti i problemi di una società che non riesce a scrollarsi di dosso il passato. Il regista li cela sotto altre situazioni, sotto simboli e piano piano piano i drammi vengono alla luce, uno dopo l’altro, forse con ancora più forza. Siamo calati in una società dove la povertà delle strutture, come appunto le scuole, è diffusa, in cui i genitori non riescono a capire il motivo per cui pagare più tasse scolastiche, meglio più tasse in generale. Più welfare, più tasse diremmo noi. Una società che vuole farsi aperta, ma che grava i cittadini di limitazioni, addirittura i bambini nelle scuole, mentre queste nuove generazioni non le comprendono, aspirano a qualcosa di nuovo.
Amir Reza Koohestani ci mostra la speranza di un futuro forse migliore se certe limitazioni culturali saranno dissipate, e ci aiuta a spostare un poco più in là il nostro sguardo sull’Iran.
Emanuele Biganzoli
di Amir Reza Koohestani
regia Amir Reza Koohestani
scenografia Shahryar Hatami
costumi Shima Mirhamidi
video Davoud Sadri e Ali Shirkhodaei
musica Ankido Darash
interpreti Mona Ahmadi, Saeid Changizian, Leyli Rashidi
soprattitoli in italiano Laura Bevione per Festival delle Colline Torinesi/Fondazione TPE
produzione Mehr Theatre Group
coproduzione con Kunstenfestivaldesarts, Festival d’Avignon, Festival delle Colline Torinesi / Fondazione TPE, La Bâtie – Festival de Genève, Künstlerhaus Mousonturm Frankfurt am Main, Théâtre National de Bretagne, Münchner Kammerspiele, La Filature – Scène nationale de Mulhouse, Théâtre populaire romand