Il Primo Omicidio, ovvero Caino di Alessandro Scarlatti è in scena per la prima volta all’Opéra de Paris, a Palais Garnier dal 22 gennaio al 23 febbraio. L’oratorio a sei voci, composto a Venezia nel 1707, fu “scoperto” da René Jacobs nella biblioteca del Conservatoire de Bâle e registrato nel 1998 proprio sotto la direzione del direttore d’orchestra e controtenore belga, che interpretava anche la voce di Dio, alla testa dell’Akademie für alte Musik. Per la prima moderna all’Opéra de Paris ritroviamo René Jacobs, questa volta con la B’Rock Orchestra. Questa esecuzione sa restituirci la musica austera e allo stesso tempo dolcissima di Alessandro Scarlatti, a cui si accompagna il libretto di Antonio Ottoboni, che coniuga precisione e sobrietà del vocabolario con immagini di estrema bellezza.
Regia, scenografia, costumi e luci sono di Romeo Castellucci, una delle figure maggiori del teatro italiano e internazionale. I suoi spettacoli declinano una drammaturgia plastica che lascia un segno profondo nella memoria degli spettatori. Per l’Opéra de Paris ricordiamo la sua messa in scena di Moses und Aron, l’opera incompiuta di Arnold Schönberg, che condivide con Il Primo Omicidio la fonte anticotestamentaria: un’opportunità di riflettere sulle origini del male e sulla capacità delle forme operistiche di costruire una drammaturgia adatta a trasmettere un tale mistero. L’oratorio è un genere musicale sacro non destinato alla scena, ma non privo di una gestualità interna: potremmo dire che si trova tra l’opera e il concerto. Castellucci raccoglie la sfida di curarne la messa in scena partendo da un ascolto profondo, non colto né culturale, come specifica lui stesso, attraverso il quale l’opera penetra. Da quella ferita nascono le visioni dolenti che l’artista porge al pubblico.
L’oratorio si divide in due parti: per Castellucci esse compongono due universi differenti, separati da un vuoto abissale, che lo spettatore è chiamato a colmare attraverso personali visioni e significati. La prima parte tratta di ciò che avviene prima dell’omicidio ed inizia con Adamo ed Eva che cantano la colpa all’origine della cacciata dall’Eden; il soprano Birgitte Christensen, che interpreta Eva, è capace di toccare corde profonde negli ascoltatori con l’aria Sommo Dio. Gli interpreti si muovono su una scena nuda, assumendo di volta in volta posture ieratiche ispirate alle tele dei secoli XVI e XVII, con una lentezza che incanta. Linee orizzontali e verticali, blu, verdi e rosse, evidente riferimento a Mark Rothko, emergono da uno sfondo flou. All’improvviso, cala come una ghigliottina l’Annunciazione e i santi Ansano e Massima di Simone Martini e Lippo Memmi, capovolta, a tracciare un parallelo tra Eva e Maria, tra l’Angelo e il Serpente.
La seconda parte sorprende con la sua scenografia realistica: ci troviamo in un prato, forse il terreno di Caino, che è agricoltore. Abele invece è allevatore. Si tratta di una differenza fondamentale, che muove la vicenda. L’offerta che Dio accetta è infatti quella del figlio cadetto che offre un agnello, mentre rifiuta i prodotti della terra del primogenito. Dio ha sete di sangue, afferma Castellucci nel programma di sala. Caino è il primo nato e sarà anche il primo omicida. Il bel duetto La fraterna amica pace, tra Kristina Hammarström nel ruolo di Caino e Olivia Vermeulen in quello di Abele, precede l’assassinio, atto che conduce il mondo ad una regressione. Da quel momento i cantanti scenderanno nel golfo mistico e in scena ci saranno le “figurine” dei personaggi, interpretati da bambini, con le loro bocche mute che cantano in playback, a rappresentare una sineddoche dell’umanità. L’universo ludico infantile prende vita e pensiamo all’ipotesi antropologica del gioco come derivazione di cerimonie religiose. Molte domande emergono: Caino era cosciente di quello che faceva mentre compiva il delitto? Qual è la responsabilità di Dio, in tutto questo?
La scrittura musicale di Scarlatti turba e commuove, il libretto di Ottaviani è un distillato di raffinata retorica, la direzione di René Jacobs è delicata e puntuale, i cantanti si rivelano tutti all’altezza dei loro ruoli, i bambini sconcertano sia quando riescono ad essere precisi sia quando non lo sono. Infine Castellucci, con la sua megalomania che è allo stesso tempo sincera umiltà, si mette al servizio di tutto questo costruendo per i nostri occhi una successione di visioni fulminanti che attraversano l’inconscio. Nel finale la volontà divina accorda ad Adamo ed Eva la possibilità di prolificare: l’umanità continuerà. E continuerà il dolore, la lacerazione infinita dell’innocenza perduta, dell’impossibilità di tornare indietro.