Vivere in eterno in un luogo dove non accade mai nulla, sempre in attesa, in un limbo, in cui la monotonia fa da padrone della quotidianità, oppure accettare una crepa nel nostro muro invalicabile e protettivo di abitudini che lascerà oltrepassare l’ignoto?
I Maniaci d’Amore (Francesco d’Amore e Luciana Maniaci), dopo “Il desiderio segreto dei fossili” tornano a Petronia, luogo nel quale hanno costruito il loro immaginario, nel loro nuovo spettacolo “Petronia”, prodotto dal Teatro Stabile di Torino. Petronia è un paese immobile, fatto di pietre e attese, dove non accade nulla. Il paragone con qualche paesino del meridione si palesa subito. Quei paesini di pochi abitanti, lontani da tutto, dove tutti si conoscono e lavorano in uno stesso posto; le donne siedono alle porte in attesa di un passante che può far notizia, ma questo non arriverà mai, oppure che guardano canale cinque la domenica pomeriggio. Dove il tempo sembra essersi fermato, rendendo eterni e desolati questi posti, dove l’unica attrattiva può essere le carte che volano al bar sport con l’insegna cadente. Circolarità dell’esistenza, noia, apatia, ma in fondo gli abitanti sembrano essere contenti così, magari anche rassegnati. Petronia richiama questo, ma può assurgere anche più in grande a metafora di un mondo, forse contemporaneo, che si è bloccato, immobile per l’eternità, privo di spinte, ideologie, senso per cui vada la pena fare qualcosa. Il motivo si è perso e il senso non sta più nella cosa, ma nell’aspettare questa cosa che non arriverà mai. Aridità dei sentimenti. Mondo di burattini che lavorano e lavorano, prigionieri delle proprie abitudini della settimana, in attesa della ricorrenza del paese sempre uguale ogni anno. Unico svago è il social network o la puntata di “Beautiful” che non finisce mai. Complementare è anche la grossa città, che non arresta il tempo, ma va a ritmi troppo veloci, dove la fretta piomba come macigno sulle persone e le cose sfuggono di mano, non si afferrano più, fluide corrono via. L’unica salvezza apparente è fermare tutto, è Petronia, tentazione che rende allo stesso tempo prigionieri della lentezza, quasi a echeggiare la febbre del sonno del Sudamerica di Gabriel Garcia Marquez.
Vivere in eterno in un luogo dove non accade mai nulla, sempre in attesa, in un limbo, in cui la monotonia fa da padrone della quotidianità, oppure accettare una crepa nel nostro muro invalicabile e protettivo di abitudini che lascerà oltrepassare l’ignoto?
Circolo vizioso che spegne le coscienze.
A Petronia vivono due sorelle, Pania e Amita, che consumano i loro giorni vuoti seguendo un eterna serie tv, che dura da secoli. Pania è da sempre incinta e non partorirà mai; Amita sogna che l’amore, o almeno la morte spezzi la calma nauseante della sua vita. Stanche della loro vita priva di azione, ma narcotizzate e assuefatte da questo torpore. E’ l’unica vita che conoscono. Il cortocircuito lo può innescare solo un fattore esterno, estraneo a quel mondo e così avverrà quando il protagonista della serie tv sarà risucchiato nel mondo di Petronia da un bacio sullo schermo da parte di Amita. Ecco il fattore di disturbo, colui che può infrangere le regole prestabilite di quel mondo e donare il caos, a donare equità, a far sorgere il senso della vita, l’azione o la perturbazione si attiveranno. Ecco che i figli a Petronia cominciano a nascere e le persone potranno finalmente morire. E’ stato ridato il senso ultimo dell’esistenza, la morte.
Finale di difficile interpretazione che ci mostra un bambino. Si potrebbe pensare alla vita che ha ripreso il suo corso, che si sia svegliata dalla sua immobilità, dal torpore e ha ripreso a girare la suo ruota. L’amore che trionfa attraverso il bacio e la serie tv che finalmente finisce in armonia, dove tutti si mettono d’accordo e il protagonista attraverso il bacio ad Amita riesce a tornare nel suo mondo.
Quindi tornando al paragone precedente del paesino del meridione, o del mondo tutto in stato di apatia e monotonia, si può supporre che tramite l’immaginazione e l’evasione con l’amore che fa da amalgama al tutto, si ottenga un cambiamento che infranga quel muro di abitudini corrosive che ci portiamo dietro come fardello e allo stesso tempo nostro scudo protettivo. Oppure l’avvento di un bambino, del nuovo, di colui che può ancora sperare e avere l’opportunità di immettere nuova linfa vitale al mondo. Bambino che è un messia profano, che può donare un nuovo scopo alla vita.
Petronia è uno spettacolo suggestivo, ma non riuscito. Non si afferra del tutto dove vuole condurre: questa nostra interpretazione dovremmo chiamarla più supposizione, perchè non ci è chiaro il senso ultimo. E’ suggestivo nel creare un mondo immaginario, comico nella sua assurdità, in cui possiamo intravedere caratteristiche della nostra contemporaneità. Forse un po’ frettoloso nella scrittura di alcune parti e troppe cos lasciate all’interpretazione dello spettatore. Tutto giocato sulla comicità del personaggio di Amita, interpretato da Francesco D’amore che spicca per la sua recitazione rispetto agli altri due attori. Uno spettacolo che ha delle potenzialità, ma non sfruttate o meglio evidenziate a sufficienza. Quello che ci resta è il rammarico come se una partita si fosse potuta vincere e invece la si è sciupata malamente.
Emanuele Biganzoli
Uno spettacolo scritto, diretto e interpretato da Francesco d’Amore e Luciana Maniaci
e con David Meden
scene: Stefano Zullo
light designer: Fabio Bonfanti
Produzione: Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
Maniaci d’Amore