In occasione della 24a edizione del Festival delle Colline Torinesi è andato in scena al ‘Teatro Astra’ di Torino, il 16 giugno, Tito Rovine d’Europa, il nuovo spettacolo di Michelangelo Zeno con la regia di Girolamo Lucania (già collaboratori per lo spettacolo Blatte, in cartellone nella stagione 2017/2018 del TST).
Lo spettacolo è ispirato al Tito Andronico di William Shakespeare, considerata la tragedia più brutale dell’autore inglese, e dalla rilettura di Heiner Müller Tito Fall of Rome che chiedeva al lettore di compiere l’operazione: «dismember/remember», cioè distruggere per ricordare, uno dei temi principali di questo dramma; inoltre, parte della troupe, come ha raccontato il regista a Mezz’ora con…, ha intrapreso un viaggio attraverso le ‘rovine’ d’Europa, che ha ispirato i vari componenti e ha fornito materiale utilizzato in seguito per la scenografia (come le fotografie di Vittorio Mortarotti) e per la drammaturgia.
Tito rovine d’Europa è un percorso frammentato e frammentario e l’immagine che si ha dello spettacolo, riportando le parole del giovane regista, non è quella di un «palazzo uniforme, ma è un collage di parole, non sempre coerenti». Allo spettatore è pertanto restituita una visione dell’Europa, post guerre mondiali, decadente e fratturata, testimonianza di distruzione e disfacimento di città, di valori, di rapporti e di ideali.
La frattura si può già avvertire tramite lo spazio scenico: il proscenio, uno spazio rettangolare delimitato da residui di una cinta muraria, è occupato da pochi e selezionati oggetti, aggiunti di volta in volta sul terriccio presente in scena e costituisce, tramite un approccio realistico, metonimico e simbolico, il luogo della rovina. A completare la scenografia vi è un telo bianco su cui vengono proiettate le immagini utilizzate per visualizzare al meglio il luogo dell’azione e per rendere cosciente lo spettatore della condizione attuale di alcune zone di città come Berlino, Varsavia, Buchenwald, Teufelsberg e Dresda. Alle spalle del telo vi è una parete riflettente posta in obliquo che serve a restituire profondità alle immagini facendole sembrare un tutt’uno con la scenografia. Quando il telo cade le immagini vengono proiettate direttamente sullo specchio e figure e personaggi vengono duplicati, creando nuovi significati e pregevoli giochi di luce: le vetrate della cattedrale di Dresda avvolgono l’intera scena.
In queste rovine si esibiscono, notevolmente, gli attori che adottano un tipo di recitazione apparentemente spaesata e sembrano essere trasportati dagli eventi in maniera quasi inconsapevole, in una sorta di danza confusa e spasmodica, come di mosche che cercano inutilmente di uscire da una stanza chiusa. La confusione e la deriva di un sistema di valori morali, simboleggiati dalla mosca, ha il proprio culmine nella scena dello stupro di Lavinia da parte di Demetrio e Chirone. Nella tragedia shakespeariana è finalizzata a vendetta personale, mentre qui, adattata in una discoteca dai bassi potenti e sparati, non è presente quell’intenzione: vittima e carnefici non si conoscono e non possiedono nemmeno nomi propri, le ‘rovine d’Europa’ sono costituite anche dalla spersonalizzazione e disumanizzazione degli individui abbandonati a loro stessi e alla loro condizione.
Condizione dalla quale gli individui non possono fuggire e, sulle macerie e le tombe di ciò che vi è stato, gli eventi sembrano doversi ripetere, sempre nelle stesse modalità, nell’eco nietzschiana dell’eterno ritorno, a partire dai tempi dell’antica Roma, passando per il XVII secolo fino ad arrivare ad oggi e anche oltre: Tito e Tamora mangiano di fronte a questo panorama desolato (NOW – oggi), chiedendosi e chiedendoci, senza giri di parole, «How long is now?».
Tito rovine d’Europa richiede allo spettatore di fare un viaggio (il fluctus, uno dei temi del FDCT24) metafisico nella memoria di una popolazione, nel dolore di un continente, un dolore collettivo che diventa dramma generazionale, in un conflitto ricorrente tra i padri e i figli, che quasi si contrappone allo spettacolo Something About You (di Francesca Garolla con la regia di Alba Maria Porto, vincitore anch’esso del Bando ORA!, in scena l’8 e l’11 giugno al Cubo Teatro) che investiga le memorie di una donna e della sua famiglia, dramma intimo e familiare.
Riccardo Ezzu
di Michelangelo Zeno
regia Girolamo Lucania
con Jacopo Crovella, Christian Di Filippo, Luca Mammoli, Arianna Primavera, Dalila Reas, Rocco Rizzo
musiche originali e sound design Ivan Bert
video art Riccardo Franco-Loiri
fotografia Vittorio Mortarotti
scenografia e costumi Elisabetta Ajani
fonica e programmazione sonora Pietro Malatesta
light design Alessandro Barbieri
organizzazione Martina Tomaino
comunicazione Claretta Caroppo
progetto grafico KC / Rubra
Social Media Idina Cortesi
assistente scenografia Francesca Cataldi, Tiziana Pellerano
assistente costumi Federica Argentero
realizzazioni scenografiche Angelica Zagaria & Elisa Acquafresca
partner CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia, Goethe-Institut Turin
una produzione Cubo Teatro, Teatro i, FCT/TPE
Il progetto è realizzato con il sostegno della Compagnia di San Paolo, nell’ambito del Bando ORA! Produzioni di Cultura Contemporanea