La grande sfida lanciata da Interplay
Qualche giorno fa è stato avviato il “piano b” di Interplay, Festival Internazionale di danza contemporanea. L’evento, che quest’anno compie venti anni, non si è lasciato abbattere dall’emergenza mondiale e fino al 30 maggio ha programmato una serie di streaming live, video recensioni ed incontri virtuali, sperando di poter attuare l’altra metà del progetto, la sezione in urbano, posticipandola tra settembre e novembre.
L’appuntamento del 26 maggio è stato introdotto da Alessandro Pontremoli, membro della Commissione Consultiva Danza del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e docente presso l’Università di Torino, con un’intervista al coreografo olandese Arno Shnitmaker, autore, appunto, della prima performance presentata, If You Could See Me Now.
Il lavoro dell’artista, come anch’egli ha spiegato, si concentra soprattutto sul dialogo tra pubblico e rappresentazione, osservatore e performer.
I tre danzatori in scena partono dagli stessi punti fissi, da movimenti comuni, ma ciascuno li interpreta diversamente, presentandosi nella loro individualità. Ed è in tal modo che permettono allo spettatore di creare egli stesso un’esperienza ed una storia tutta personale, che parte dalla propria interiorità.
If You Could See Me Now si basa sulla continuità ed il movimento perpetuo: i performers non si fermano mai e rallentano solo in pochi e brevi istanti. Sembrano quasi posseduti dalla musica elettronica che dà l’impressione di esplodere dai loro stessi corpi.
L’opera oltre che con i corpi gioca anche con le luci, che diventano protagoniste insieme agli artisti. Le ombre, la vista di sole parti del corpo e l’illuminazione ad intermittenza si combinano perfettamente con la danza ripetitiva e la musica, creando un lavoro integrale che riesce a trasformare la percezione del tempo e dello spazio.
Il tema di Interplay di quest’anno è la sfida. Anche se è stato scelto prima della diffusione dell’emergenza pandemica, mai come ora appare idoneo e attuale.
E se in If You Could See Me Now la sfida è quella della danza perpetua, ripetitiva ed ipnotica, nella seconda coreografia presentata, Trial di Tu Hoang, si tratta di una vera e propria gara tra individui.
Il coreografo vietnamita infatti mette in scena una quotidiana dinamica relazionale, creata da un duetto armonioso e in perfetta sincronia.
È un incontro, un conoscersi che in breve si trasforma in una competizione, in un ballo per imporre la propria supremazia ed ottenere la vittoria.
Così la rappresentazione si pone come specchio delle relazioni individuali, sociali e mondiali della contemporaneità, fatta di gare di potere e conseguenti barriere di odio.
Si tratta di una realtà che allontana e non unisce e che mai come ora dovrebbe esserci ormai chiara.
Si può dire che ciò che manca alle due performance, quindi, in questo momento, sia solo il contatto diretto con il pubblico. Perché se riescono a trasmettere tanta passione attraverso uno schermo, per ora ci è dato solo immaginare cosa possa accadere dal vivo.
Ma questo è un piano b e oggi ne abbiamo bisogno. Di questo come di tanti altri piani b.
Interplay, come altre realtà, ha accettato la sfida e ci ricorda quanto sia importante rivendicare sempre il diritto all’arte.
Carlotta Di Marino
If You Could See Me Now
Coreografia Arno Schuitmaker
Tecnica Vincent Beune
Drammaturgia Guy Cools
Musiche Wim Selles
Disegno Luci Vinny Jones
Costumi Inge de Lange
Danzatori Stein Fluijt, Ivan Ugrin, Kim Amankwaa
Trial
Di Tu Hoang
Danzatori Tu Hoang, Tuan Tran