‘’Amleto aveva paura dei fantasmi, io della vita. Sono un masso piantato a terra. Sono io l’impedimento di me stesso’’
Platonov è un dramma in 4 atti scritto tra il 1880 e il 1881 da Anton Čechov all’età di vent’anni. Rimasto incompiuto, quest’opera venne pubblicata postuma prendendo il nome dal protagonista attorno al quale ruota l’intera vicenda. Sullo sfondo la campagna russa, dove Platonov, maestro elementare di 27 anni, si relaziona nel corso della sua esistenza con quattro donne: la moglie Saša, Anna Petrovna, Marja Grekova e Sof’ja.
Da qui parte la riscrittura moderna dello spettacolo di Liv Ferracchiati, regista e anche attore in scena, che ripercorre il dramma cechoviano sotto una lente che si distacca dalla lineare messa in scena e mira a trascinarci in una sensazione universale, condivisibile da chiunque osservi lo spettacolo. Sulla scena, per sottolineare il dualismo continuo fra testo teatrale e rilettura autoriale di Liv, riscontriamo dal primo istante uno spazio scenico configurato su due piani. Liv, posizionato a bordo scena, fuori dal perimetro del palco su un vogatore in legno che irrompe e apre lo spettacolo. Subito dopo i riflettori si accendono su quello che pare voler delineare il piano della ‘messa in scena’ vera e propria: Platonov, un brillante Riccardo Goretti, è disteso a terra. Squarciano la scena in modo sequenziale le quattro donne che ruotano intorno alla vita di Platonov. Questi è letteralmente accerchiato e in relazione al suo rapporto con ognuna di queste donne, che implicano una scelta, una strada da intraprendere, il dover fare un passo (letteralmente), vediamo configurarsi sotto ai nostri occhi la figura di Platonov dal punto di vista esistenziale e caratteriale.
Da questo disvelamento giocato argutamente attraverso il ricorso a puntigliosi dialoghi, costruiti su una forte intensità sconfinante in alcune scene nella nevrosi, emergono due richiami letterari: il Don Giovanni -in riferimento alle relazioni che Platonov instaura e disattende- e l’Amleto.
Amleto aveva paura dei fantasmi, io della vita. Sono un masso piantato a terra. Sono io l’impedimento di me stesso
E’ Platonov a pronunciare queste parole aprendo un varco attraverso il quale si presenta prepotentemente uno dei nuclei di fondo dell’opera di Čechov: l’esistenzialismo in relazione alla non attuabilità di una scelta, al non saper vivere se non paradossalmente non vivendo, restando in un limbo di decisioni-aspettative che verranno puntualmente disattese. La conferma arriva dallo stesso autore dello spettacolo, Liv Ferracchiati, tramite un’intervista che ci ha concesso all’incontro in occasione della presentazione del suo primo romanzo presso il Salone del libro di Torino. Eccone qualche brano.
E’ possibile riscontrare delle tematiche, da intendersi anche solo come un filo conduttore, presenti nella tua trilogia sull’identità , inerenti al tuo percorso teatrale autoriale, nella ‘’La tragedia è finita, Platonov ?
<< Principalmente NO, forse in qualche maniera c'è un discorso che si può legare, ampliando MOLTO il discorso, all’identità di Platonov: è un personaggio che non sa scegliere, non sa individuare nemmeno quelli che sono i suoi desideri. in qualche modo forse li sbaglia perché, almeno nella mia lettura, desidera diventare un Byron, un ‘’futuro ministro’’ ma poi in realtà si trova molto più a suo agio, ed è molto più sereno, quando suona la chitarra a casa con la moglie anche se sono cose che poi dice che lo annoiano. O magari quando si trova nel suo MICROcosmo. Come va nel MACROcosmo, quindi nella società, e più la società si amplia, più lui va in difficoltà. Questa NON-scelta, secondo me, deriva anche dalla sua inconscia incapacità di definirsi: scegliere una donna, fare una scelta vuol dire definirsi e lui non si vuole definire. Forse in questo possiamo riscontrare un tema similare ma sono proprio due lavori diversi, devo ammetterlo. >>
Liv ci offre una chiave di lettura estremamente chiara: Platonov perde il senso stesso della vita nell’azione, anche se esortato dalle quattro donne della sua vita a dover prendere una decisione egli si rinchiude in sé perdendo il senso dell’orientamento esistenziale e trovando l’unica via di fuga nell’indefinibilità
Nel lavoro c’è anche un forte richiamo a Nietzsche . Vengono infatti citati diverse volte nel corso dello spettacolo i concetti di apollineo e dionisiaco messi su un piano di continua lotta, proprio come avviene in scena attraverso la raffigurazione delle quattro donne, oscillando tra una dirompente forza vitale e caoticità del divenire (Maria Grekova per l’intero spettacolo esorta Platonov a vivere) e la costante fuga dall’imprevedibilità degli eventi tramite la stasi e la razionalità (l’inazione).
In ‘’La tragedia è finita, Platonov’’ lo spettatore diviene lo stesso lettore dell’opera teatrale attraverso uno sconfinamento dei due piani scenici. Ho voluto saperne di più a proposito di questa composizione e scomposizione identitaria domandando direttamente a Liv :
Nel tuo primo romanzo si parla di composizione/scomposizione identitaria, questo nucleo lo possiamo ritrovare o ha qualche influenza anche in La tragedia è finita, Platonov?
<< Diciamo che in maniera sotterranea e collaterale questo tema percorre la tragedia è finita, Platonov però non è centrale, è un lavoro a partire da Cechov e si parla più’ del rapporto tra un fruitore e un’opera d’arte, di come un'opera d’arte possa entrare davvero in connessione con un fruitore, in questo caso un lettore. Tratta di come questa composizione artistica entri come se fosse un organismo vivente nella vita di questa persona, di conseguenza anche i prototipi dei personaggi che conosce attraverso letture e riletture di quel testo teatrale creino dei parallelismi con le persone che poi incontra con l’ESISTERE di tutti i giorni. Quindi il nucleo tematico (composizione/scomposizione) è presente perché in maniera sotterranea continuo a parlarne ponendomi in scena nel ruolo del LETTORE, quindi un ruolo maschile>>.
Tutto questo è Platonov, tutto questo è Liv Ferracchiati che riesce a lasciare la sua firma autoriale con una riscrittura tagliente di un’opera teatrale così fluida, attraverso un approccio comunicativo che da un lato rievoca il flusso di coscienza alla Joyce ma d’altra parte porta in scena un’integrazione a trecentosessanta gradi con gli spettatori, man mano sempre più coinvolti e assorbiti nello spettacolo.
Giulia Cravanzola
di Liv Ferracchiati
con scene dal Platonov di Anton Čechov
con (in ordine alfabetico) Francesca Fatichenti, Liv Ferracchiati, Riccardo Goretti, Alice Spisa, Petra Valentini, Matilde Vigna
aiuto regia Anna Zanetti
dramaturg di scena Greta Cappelletti
costumi Francesca Pieroni
ideazione e realizzazione costumi in carta e costumista assistente Lucia Menegazzo
luci Emiliano Austeri
suono Giacomo Agnifili
lettore collaboratore Emilia Soldati
consulenza linguistica Tatiana Olear
foto di scena Luca Del Pia
Produzione Teatro Stabile dell’Umbria con Spoleto Festival dei Due Mondi