Tutto è voce.
Vivere lo spettacolo di Chiara Guidi significa lasciarsi cullare, lasciarsi guidare nella storia dalle voci dei personaggi che la animano. Un curioso tubero, dalla voce limpida e sveglia. Un bulbo più roco, dei rami secchi con voce frusciante e un ragnetto dalla voce giovane e dispettosa. Un Tiresia-talpa con voce saggia e antica e un Creonte-uccello dalla voce profonda. Una roccia con voce avvolgente.
E infine – o forse innanzitutto – la voce suadente della Sfinge e quella squillante di un giovane.
Il lavoro sull’utilizzo espressivo della voce, di cui Chiara Guidi fa uno degli elementi portanti delle sue creazioni, si vede tutto in questo Edipo. Una fiaba di magia, in scena il 23 e il 24 ottobre alla Fondazione Teatro Ragazzi e Giovani, nel contesto del Festival delle Colline Torinesi.
Tutto parte infatti con un respiro affannato.
Da dove viene? è il pensiero dei più piccoli. Oh guarda, è lì dietro di noi, qualcuno sussurra alla madre. Un ragazzo, zoppo – forse ferito di guerra? forse malato? – si muove tra il pubblico, si issa a fatica al proscenio e sale sul palco.
C’è nessuno? chiede – la sua voce è la prima a parlare.
C’è nessuno, ho detto? Posso farti una domanda?
Parla con l’enorme parete di roccia grigia, ormai è chiaro. Non ottenendo risposta le parla in un altro modo, sollevando un cartello bianco.
Chi sono?
La roccia, che altro non è che la Sfinge, finalmente si svela, gli risponde con voce enigmatica, soave e perfida al tempo stesso.
Inizia così, lo spettacolo vero e proprio. Con un enigma, quello che la sfinge porge a Edipo. Una domanda che non dice, non nasconde, ma traccia. E’ sicuro il ragazzo di voler rispondere, di non voler scappare? La sua fame di verità è così forte che avrà il coraggio di rischiare e tentare di indovinare? La Sfinge lo avvisa: forse farebbe meglio a scappare; la verità fa male, la sua ricerca può essere dolorosa. Quanto più facile sarebbe ignorarla, ignorare le domande che ognuno si pone!
L’enigma però ha aspettato il ragazzo quanto il ragazzo ha aspettato l’enigma.
Il ragazzo risponde ed ecco che la parete di roccia si trasforma in un leggero velo – Maya? – e il ragazzo può entrare nel territorio della sua domanda, dove troverà le risposte che cerca. Tuttavia, ancora prima di iniziare la sua ricerca, questa sembra già terminare: il ragazzo si addormenta.
La ricerca però continua nel territorio svelato dalla Sfinge: buffe creature si muovono in una terra arida, desolata, alla ricerca anch’esse di una verità, di un fuoco che possa scaldare quelle terre e renderle di nuovo fertili.
I temi di Edipo vengono trattati tutti: appare Creonte, l’indovino Tiresia e il servitore-asino a testimoniare, si narra dell’uccisione di un re, i rami si fanno coro. La storia sofoclea è raccontata tuttavia con una delicatezza e una semplicità sorprendenti. Persino il tema del matrimonio con la propria madre – quello che sembrerebbe il meno adatto da raccontare a un bambino – viene sviscerato con innocenza, riconducendolo ai racconti delle religioni della Madre Terra: il seme, nato dalla terra, cresce e germoglia dentro di lei, sua madre, generando una pianta e altrettanti semi che faranno lo stesso. Madre e sposa, figlio e sposo.
Il teatro di Chiara Guidi diventa un’arte capace di parlare di morte e delle più insidiose domande esistenziali – Chi sono io? – attraverso metafore che catturano i bambini e stupiscono gli adulti. Parla a entrambi, non attraverso fredde spiegazioni o nozioni date, ma raccontando una storia.
Occorre quindi chiedersi chi siano gli infanti, i ragazzi a cui è rivolto tutto questo, che visione Chiara Guidi ha di loro. La tensione che la muove nelle sue creazioni parte forse dalla sua stessa definizione di infante, infans, colui che vive prima del linguaggio e che, senza linguaggio, è capace di andare al di là delle apparenze attraverso le immagini, attraverso un immaginario che si muove e che fermenta come fermentano le figure che animano questo racconto.
In teatro però sono presenti anche adulti che, al termine del racconto, si chiedono: come si risolverà il finale? L’Edipo di Sofocle, scoperta la verità, non ha modo di goderne, non può vedere la sua terra rinascere e il fuoco della verità scaldarla: si accecherà anche qui?
Chiara Guidi spiazza tutti e introduce un tema che Sofocle, nel suo teatro, non poteva prevedere. L’Ananke, il destino, non è più inesorabile, non governa la vita dei singoli, non è immutabile. Cambiare tutto questo è difficile, richiede uno sforzo notevole, ma non più impossibile. La chiave per riuscirci, secondo Chiara Guidi, è una: il perdono. Se, dopo aver scoperto la verità, dopo aver visto nel ragazzo non un semplice giovane ma un assassino, per di più del proprio stesso padre, si è disposti a perdonare, lì sta la possibilità di rompere il filo del destino, di scucire quanto già cucito su misura per noi. Un perdono non unilaterale, ma bilaterale: è Edipo che deve essere perdonato, ma è sempre Edipo che deve perdonare se stesso.
La chiave della ricerca – e forse della vita – è accettare la propria fragilità e i propri errori.
Accettare e perdonare.
Micol Sacchi
Ideazione Chiara Guidi in dialogo con Vito Matera
con Francesco Dell’Accio, Francesca Di Serio, Chiara Guidi, Vito Matera, Alessandro Bandini
e con le voci di Eva Castellucci, Anna Laura Penna, Gianni Plazzi, Sergio Scarlatella, Pier Paolo Zimmermann
Musica Francesco Guerri, Scott Gibbons
Scena, luci, costumi Vito Matera
Prosthesis Istvan Zimmermann e Giovanna Amoroso – Plastikart studio
Realizzazione scene Laboratorio Scenografia Pesaro – Trecento Lidia
Fonica Andrea Scardovi
Cura Elena de Pascale
Produzione Societas
Coproduzione ERT / Teatro Nazionale