ROMPERE IL GHIACCIO – OHT | OFFICE FOR A HUMAN THEATRE

“Come può l’acqua, per la sua forma e la sua propensione rapida a cambiare di stato, adattarsi a chi come l’uomo ha aspirazioni di permanenza?

Il Festival delle Colline Torinesi, durante il triennio che si sta per concludere, ha messo al centro del suo focus artistico la tematica del viaggio. Ora si propone di riflettere su una nuova questione: i confini e gli sconfinamenti.
All’interno di questa tematica si inserisce lo spettacolo Rompere il ghiaccio di Filippo Andreatta/Spazio Oht andato in scena alla Fondazione Merz il 3 e il 4 novembre.
Il paesaggio naturale e l’invadenza dell’uomo sono elementi ricorrenti nel  percorso artistico di questo regista.
Era infatti protagonista del suo spettacolo Curon/Graun il campanile del paese di Curon in Val Venosta, sommerso, dopo la seconda guerra mondiale, per la costruzione di una diga. Nessun attore, esclusivamente la centralità e la sacralità del paesaggio.
Anche lo spettacolo 19 luglio 1985 trattava il tema ambientale, ripercorrendo la tragedia avvenuta nell’abitato di Stava, un comune del Trentino Alto Adige, dove, a causa di un’inondazione dovuta al cedimento degli argini dei bacini di decantazione della miniera del monte Prestavel, morirono duecentosessantotto persone.

In Rompere il ghiaccio si intrecciano nel vero senso della parola il paesaggio naturale, fatti personali della vita dell’artista e fatti storici realmente accaduti.
Filippo Andreatta ci racconta parte della storia dei suoi nonni: Enrico ed Elsa, classe 1905 e 1908, la loro infanzia, la condizione da figlio illegittimo del nonno e il loro amore.
Nonno Enrico, dipendente presso la Tipografia Mercurio di Rovereto, avrà l’occasione di contribuire alla realizzazione del Libro imbullonato del Futurista Depero, uno dei primi libri d’artista moderni e una pietra miliare nella storia del graphic design.
Un amore quello tra Enrico ed Elsa che si scontra con le vicissitudini del tempo; Enrico verrà infatti mandato al confino a San Severino Lucano in provincia di Potenza per le sue idee di stampo comunista. Da quel momento inizierà un lungo carteggio tra i due innamorati volto a ridurre quella distanza che li separerà fisicamente ma che non scalfirà i loro sentimenti.

Così come Elsa ed Enrico sono separati dal confino fascista così il ghiaccio Grafferner, linea di demarcazione che separa la frontiera austriaca da quella italiana, lentamente si scioglie e ciò che pareva inamovibile e indiscutibile lentamente cambia.
L’esistenza del concetto di confine come linea netta è legata al periodo di costruzione degli stati nazionali quando i ghiacciai erano ritenuti validi spartiacque per delimitare i territori delle nazioni.
Nel 1919 Austria e Italia scelsero come spartiacque naturale il ghiacciaio Grafferner sul monte Similaun a 3.606 metri d’altezza. Durante gli anni del fascismo questo confine è stato più volte tracciato ma soltanto negli anni ’70 del secolo scorso i cartografi hanno colto alcune discrepanze. Il ghiaccio si stava sciogliendo e con esso la linea di confine.
In risposta a questo disordine, dovuto all’instabilità della natura, tra il 2005 e il 2009 l’Italia ha firmato alcuni accordi con Austria e Svizzera stabilendo che i confini dei ghiacciai sono dei moving borders confini instabili, frontiere non permanentemente fissate ma che variano a seconda dell’erosione e dei cambiamenti climatici.

Partendo quindi dalla mappa Cantino, uno dei primi esempi di mappa nella quale le località sono collocate sulla base della loro latitudine, Filippo Andreatta rompe il ghiaccio con il pubblico costruendo la scena nel corso dello spettacolo.
Vengono aperti quattro piccoli tavoli quadrati e due poco più lunghi rettangolari. In scena l’attrice Magdalena Mitterhofer, artista alto atesina che rispecchia appieno il dualismo e bilinguismo di questa popolazione alpina, ripone sui tavoli le lettere dei nonni del regista scritte durante gli anni del confino. Una performance che nasce come tale e si conclude come esposizione che il pubblico può visitare.

Magdalena canta lo yodel, canto usato dai contadini per richiamare le bestie al pascolo e qui campionato in diretta.
La sua voce si mescola con le immagini dei nonni del performer, con la loro mappa delle stelle, con il suono del vento in cresta alla montagna.
Filippo Andreatta si ispira alla drammaturga e collezionista d’arte Gertrude Stain che scrive del teatro come fosse un paesaggio. Non soltanto un luogo dover poter osservare e ascoltare ma un punto di vista diverso sul mondo. Dove l’uomo non è al centro dell’universo ma è parte di esso, dove la storia non è una sola egemonica, ma cambia a seconda delle carte geografiche a cui si fa riferimento.

La dimensione politica in questa performance è molto potente.
In primis la storia di nonno Enrico, comunista costretto al confino, la dittatura fascista, il libro Imbullonato di Depero Futurista.
Secondariamente la questione dei confini territoriali da sempre importante e dibattuto tema politico.
Anche lo scioglimento rapido dei ghiacciai e il surriscaldamento globale sono temi sempre più attuali e di importante rilevanza sociale.
Filippo Andreatta cavalca questi temi con leggerezza, uno sguardo disincantato che può sembrare a tratti quasi freddo, ma che nasconde invece una sensibilità e una grande ricerca dei contenuti.
Per vedere le cose con miglior chiarezza, a volte, occorre guardarle da una certa distanza.

Rompere il ghiaccio ci porta a riflettere su come in poco tempo la cartografia dei confini sia cambiata per l’azione irresponsabile dell’uomo. Al contempo, se proviamo a spostare il nostro punto di vista, possiamo osservare come noi esseri umani siamo così rigidi e presuntuosi nel voler fissare dei limiti, dei confini dove questi non esistono.
Come può l’acqua, per la sua forma e la sua propensione rapida a cambiare di stato, adattarsi a chi come l’uomo ha aspirazioni di permanenza?

Questo spettacolo mette in dubbio il nostro antropocentrismo, ci suggerisce delicatamente di provare a spostare il nostro baricentro.
Tuttavia rimane un po’ la sensazione al termine della rappresentazione che l’impasto ottenuto, creato da questi elementi intrecciati tra di loro, non si sia del tutto amalgamato, che sia stato lasciato tutto un po’ in sospeso, in attesa di un esito che non arriva.

Ciò nonostante, uscire dalla sala con delle questioni che ronzano in testa è una delle prerogative a cui è chiamato il teatro.
La scena, lontana dalle esigenze di analisi definite, ha quella libertà narrativa e creativa di cogliere segni, contaminare linguaggi e dar spazio a questioni e considerazioni profonde che non sempre hanno delle risposte.

Daniela Cauda

regia, testo e scena Filippo Andreatta
con Magdalena Mitterhofer
suono e musica Davide Tomat
assistente regia Veronica Franchi
scenografo associato Alberto Favretto
costume Ettore Lombardi
video Armin Ferrari
responsabile allestimento Letizia Paternieri / Orlando Cainelli
suggerimenti astrologici Mona Riegger e Astro*Intelligence
amministrazione e produzione Laura Marinelli
promozione e cura Laura Artoni
fotografie Claudia Pajewski

produzione OHT
co-produzione MAXXI museo nazionale delle arti del XXI secolo
co-realizzazione Romaeuropa festival
residenza artistica Centrale Fies art work space
con il contributo di Fondazione Caritro, Provincia Autonoma di Trento

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