Un borborygmus è un segnale molto forte proveniente dal nostro interno, ciò può comunicare tutto e niente e presenta un bisogno di comunicare, dallo stomaco, una sensazione vitale. Su questa linea si muove l’interpretazione di Rabih Mroué, Lina Majdalanie e Mazen Kerbaj. Un discorso basato sul ritmo, sulla ripetizione, sull’inconscio, su ciò che comunichiamo e non comunichiamo in relazione alle nostre vite che porta ad esporci, mettendo in luce ed in scena paure, angosce e modi di essere nascosti, il più delle volte, nella relazione con il mondo esterno. Questo spettacolo coincide con una serie di scene che passa per segmenti visivi e musicali che hanno come base il suono, il disturbo e la ripetizione per palesare la condizione recondita dell’uomo.
In scena si presentano degli episodi che delineano in modo diverso tutto ciò che nasce da dentro, che si cela ad un primo contatto con l’esterno che, desideroso di esprimersi, viene considerato di troppo. La performance realizza un requiem per la vita, un concerto senza voci e strumenti convenzionali, che scandisce il tempo come lo scorrere dell’esistenza che si intreccia ad altre; a questo rimanda il significato dei metronomi in scena che “scandiscono” il tempo della vita e che se suonati insieme, anche in momenti diversi, seguono lo stesso rintocco.
Un’unione di parole che si presentano come visione introspettiva di ognuno di noi, da quello che abbiamo fatto a quello di cui abbiamo paura, con il ritmo scandito dalla ripetizione di una singola parola che segue la musicalità preponderante di Verdi, delineando quello che fa parte dell’esperienza umana, nel bene e nel male. Un discorso che ricorda il borborygmus per il continuo “senso di fame” nel dire la propria esperienza, tramite, appunto, parole che delineando azioni, creando un legame tra attore e pubblico, fra un “Io attoriale” che si relaziona, unendosi e allontanandosi in momenti divergenti, con l'”Io spettatore” in una giostra di emozioni e sensazioni che evidenziano con pessimismo leopardiano la profonda infelicità dell’uomo, il sentimento di sofferenza palesato in scena dal continuo fallire della vita.
Quindi un pensiero che oscilla tra vita e morte, tra la caducità vitale e la piena speranza di cambiare, essere qualcun altro basandosi sul passato. Vi è un’oscillazione particolare tra felicità e mortalità che passa nel discorso del brindisi continuo per chi può ancora brindare ma è lontano; attraverso la rievocazione dei fumi dell’alcool il brindisi è, successivamente, per chi non è più in vita ed è qui che inizia un lungo elenco di defunti, di chi ha brindato nella vita, seguiti dal motivo della loro morte, manifestando una situazione che rasenta il grottesco come caratteristica chiave della performance della vita, di questa continua “recita” di cui parla William Shakespeare: “Tutto il mondo è un palcoscenico, donne e uomini sono solo attori che entrano ed escono dalla scena”. Ma qui si evidenzia l’impronta pessimistica di chi vuole pensare, ricordare ma che ha dimenticato, continuando a fare azioni che sa che lo comprometteranno. Un pensiero che comporta fastidio, alcune volte anche imbarazzo, che si manifesta nello spettacolo con i continui rumori che danno un senso di alienazione disagiante verso alcuni importanti input visivi e sonori.
I tre attori sono come noi, anzi sono noi, ma non un noi pubblico, un Noi essere umano, un Noi che medita, sbaglia e vuole essere labile con le proprie paure e la propria morte, con quello che eravamo e potevamo essere. Un Noi umano.
“Da piccolo ero un’idiota, ora sono un attore” Mazen Kerbaj
Roberto Iacuzio
scritto, diretto e recitato da Lina Majdalanie, Mazen Kerbaj, Rabih Mroué
disegno luci e audio, direzione tecnica Thomas Köppel
luci Arno Truschinski
musica della prima scena La Forza Del Destino – Ouverture di Giuseppe Verdi
prodotto da HAU Hebbel am Ufer, Walker Art Center (Minneapolis)
coproduzione Mousonturm (Frankfurt), Wiener Festwochen
sostenuto dalla rete Alliance of International Production Houses del Federal Government Commissioner for Culture e da the Media e Rosa Luxemburg Stiftung – Beirut Office