Il pubblico del Festival delle Colline è invitato alla Fondazione Merz ad un matrimonio molto strano che mescola vivi e morti, finzione e realtà, fiaba e politica. Lina Majdalanie e Rabih Mroué ci trasportano in una domenica di sole, nel 2016, in una piccola chiesa, in una piccola città della Polonia. Si tratta di un fatto realmente accaduto: la commemorazione del militare polacco e eroe nazionale Witold Pilecki. Ricordato in particolare per essersi infiltrato, durante la Seconda Guerra Mondiale, nel lager di Auschwitz, tre anni dopo la fine della guerra fu condannato a morte e trucidato per ordine del regime sovietico.
È la seconda volta che i due artisti libanesi salgono sul palco di questa edizione del Festival. Già hanno colpito gli spettatori con il loro Borborygmus. In pochi giorni sono riusciti a cambiare contesto e situazione, nonostante il trasferimento di alcuni temi: la memoria, il passato, la morte e soprattutto la storia e la politica.
Un altro elemento che hanno presentato in Borborygmus e reso prevalente in Sunny Sunday è quello dello storytelling: gli unici oggetti di scena sono due libri, alcuni fogli e una scrivania che prende la forma di una sorta di altare dove a turno gli attori svolgono il ruolo di narratore.
Così la Fondazione Merz si presta, ancora una volta, ad uno studio sullo spazio scenico. Un pubblico non seduto su comode poltrone di fronte ad un palco, ma su poche sedie disposte una dietro l’altra. Non esiste confine tra “gli invitati” e la messa in scena. Ecco ricreata l’atmosfera rituale di una cerimonia commemorativa in una piccola chiesa. Ma questa ritualità viene spezzata dal distacco riflessivo portato da immagini e parole di carattere documentaristico.
Majdalanie e Mroué partono, dunque, da uno spunto banale ed insignificante per analizzare e mettere a nudo un discorso complesso sulla classe dirigente polacca, la repressione, il rapporto del paese con la storia e il suo nazionalismo. Ma perchè due artisti libanesi dovrebbero sapere e poter parlare di tutto questo? Sono stati Marta Keil e Grzegorz Reske a coinvolgerli nel progetto e forse non avrebbero potuto fare scelta migliore. È davvero così lontano il Libano dalla Polonia? O dal resto dei paesi europei? Seppure con sviluppi differenti, il populismo, il nazionalismo, l’interferenza della religione nella politica, i miti storici e gli eroi nazionali purtroppo non hanno confini.
L’esperienza di Sunny Sunday si basa su un’ efficace azione di inversione di orientamenti. Gli attori realizzano un processo di stratificazione e di moltiplicazione dei punti di vista, ognuno dei quali mette in discussione l’altro. Non si sa più cosa sia reale e cosa no. Attraverso lo strumento della mitizzazione svelano questo stesso meccanismo che è proprio del nazionalismo polacco. Un uso della finzione come strumento politico per comprendere la realtà.
Il tutto accompagnato da una sottile e raffinata ironia, di cui i due artisti sembrano maestri, e dalle illustrazioni di Georges Khoury, che, traducendo situazioni, parole e soprattutto intenzioni in immagini, forniscono un ulteriore strato narrativo e punto di vista.
Insomma si può dire che il Festival delle Colline abbia fatto una coraggiosa ed opportuna scelta, artistica e politica, mostrandoci un teatro di ricerca come quello di Lina Majdalanie e Rabih Mroué. Due persone provenienti da una realtà che per noi è “l’Oriente” parlano di un luogo che per loro è “l’Occidente”. Due orientamenti, due punti di vista a suggerirci, ancora una volta, che i confini che ci separano non sono poi in fondo così forti.
Carlotta Di Marino
ideato, diretto e recitato da Lina Majdalanie, Rabih Mroué
curatori e drammaturghi Marta Keil, Grzegorz Reske (ResKeil)
consigli curatoriali Katarzyna Wielga
disegni Georges Khoury (Jad)
voce fuori campo Walid Raad
ringraziamenti speciali a Denise Ackermann, Asa Horvitz, Agnieszka Jakimiak, Marta Jalowska, Łukasz Jaskuła, Joanna Krakowska, Jens-Dag Kemser, Andrzej Leder, Karolina Maciejaszek, Szymon Maliborski, Agnieszka Morawińska, Aleksandra Muzińska, Fredy Peccerelli, Krzysztof Pijarski, Marie Rault, Zuzanna Rudzińska- Bluszcz, Hazem Saghieh, Magda Staroszczyk, Ines Weizman and Forensic Architecture, Frauke Wetzel, Theresa Wünsch e tutti i coproduttori
coproduzione HELLERAU – Europäisches Zentrum der Künste, Residenz – Schauspiel Leipzig, Performing Arts Institut Warschau
creazione supportata da Bundeszentrale für politische Bildung
ricerche a Varsavia con il sostegno di City of Warsaw
fotografie di Klaus Gigga