Fin dal 1954, quando comparve sugli schermi il film della MGM diretto da Stanley Donen e candidato a 5 premi Oscar, 7 spose per sette fratelli è uno dei musical più rappresentati e tra i più amati in Italia.
Debuttò a Broadway nel 1982 con una non proprio fortunata produzione. Ne erano protagonisti Debby Boone nel ruolo di Milly e David Carroll in quello di Adamo. Dopo 15 previews, chiuse i battenti con solamente 5 performance.
In seguito ha avuto svariate compagnie che lo hanno portato in tour negli Stati Uniti ma non è mai ritornato a Broadway.
In Italia ha avuto due produzioni di grande successo, quella del 1998 realizzata dalla Compagnia della Rancia con Tosca e Raffaele Paganini, poi ripresa per altre stagioni con altri protagonisti, e quella del 2014 al Sistina con la direzione di Massimo Romeo Piparo interpretata da Flavio Montrucchio e Roberta Lanfranchi.
L’ultimo allestimento italiano, in scena da martedì 22 a domenica 27 febbraio al Teatro Alfieri per la stagione “Fiore all’occhiello” di Torino Spettacoli, è stato affidato alla regia e alle coreografie di Luciano Cannito, in una produzione Fabrizio Di Fiore Entertainment con Roma City Musical e Art Village.
La direzione musicale è stata curata da Peppe Vessicchio, le scene sono firmate da Italo Grassi, artista che lavora nei maggiori teatri d’opera del mondo mentre Silvia Aymonino firma i costumi di questa nuova produzione, ha al suo attivo diversi film e tantissimi spettacoli di Opera e Balletto.
Il sipario si apre e siamo in Oregon, nel 1850: in una fattoria tra le montagne vivono i sette fratelli Pontipee.
Adamo, il fratello maggiore, ora cerca una moglie che si occupi della loro casa. Conosce Milly e tra loro scocca il colpo di fulmine, si sposano e partono per la fattoria.
Arrivati a casa Pontipee, Milly ha una sgradita sorpresa: dovrà prendersi cura non solo del marito, ma anche dei suoi sei rozzi e grezzi fratelli. Milly mette in riga i sei ragazzi e progetta di unire i sei cognati con le sue amiche del paese.
L’occasione propizia si presenta nel corso di un ballo- momento clou delle spettacolo- in cui i sei fratelli Pontipee, puliti e ben vestiti, danno prova della loro abilità.
La vicenda poi si complica con il rapimento delle sei ragazze prescelte, il litigio tra Adamo e Milly, la caduta della neve.
Nei panni di Milly e Adamo ci sono Diana Del Bufalo e Marco Bazzoni, da tutti conosciuto come Baz; una coppia divertente ma in più momenti ho visto il comico di Colorado e l’influencer svampita concorrente di LOL 2 al posto di Milly e Adamo.
Per il pubblico più affezionato alla pellicola del 1954 ci sarà da storcere il naso di fronte a questo duo insolito.
Una differenza di altezza invertita , un Adamo più basso, bonaccione e meno virile rispetto al mastodontico Harold Clifford Keel, una Milly fuori dagli standard ma che si adatta bene al gruppo delle sette sorelle designate come spose.
Diana Del Bufalo ha un compito molto difficile e importante a pochi mesi dalla scomparsa della vera Milly, ovvero Suzanne Lorraine Burce alias Jane Powell.
La testardaggine e la dolcezza di questo personaggio così piccolo-almeno nella versione cinematografica visto il metro e 80 della Del Bufalo- ma così determinato, porta in primo piano il rispetto verso la donna che non va trattata come una schiava dentro le mura domestiche. Milly fa proprio questo nella storia di Sette spose per sette fratelli: riesce con carisma, sorriso e grande umiltà a farsi accettare in una famiglia rozza e poco organizzata, portando ordine, etichetta e di conseguenza anche l’amore prima tra i fratelli e poi con Adamo.
E in questa rivisitazione testuale, dove i personaggi intramontabili di Milly e Adamo si sono adattati agli attori Baz e Diana e non viceversa, facendolo diventare a tratti di genere comico, il tema è rimasto in primo piano benché l’obiettivo di Cannito fosse di svecchiarlo e renderlo più moderno.
Un musical basato su freschezza, brio e allegria a cui non mancano delle piccole parti più drammatiche che risultano il tallone d’Achille soprattutto di Adamo.
Non è stato sempre possibile ritrovare questi elementi se non nelle movimentate coreografie. E questo a causa di una regia poco dinamica soprattutto nelle scene parlate o quelle con i soli due protagonisti.
Non si capisce se la responsabilità risieda nella regia, impossibilitata a spingere oltre sulla interpretazione dei due protagonisti, o se i due attori non sono stati adeguatamente diretti.
I veri capisaldi di questa produzione sono stati essenzialmente la presenza di un ensemble molto dinamico, 22 giovani performer, e la eccellente orchestra Sesto Armonico condotta da Marco Attura: particolarmente interessanti gli arrangiamenti di Wonderful, Wonderful Day e Sobbin’ Women – anche se dispiace poter ascoltare soltanto il tema di June Bride e non l’intera canzone.
Uno spettacolo dal grande impatto visivo, ovviamente anche grazie a una dettagliatissima e ricca scenografia e a una particolare cura dei costumi, ma giocano un ruolo primario le coreografie di Cannito, dal gusto accademico e con numerosi richiami alle danze di carattere, indubbiamente il vero punto di forza dello spettacolo.
La componente puramente recitativa appare così meno curata e lievemente frammentaria rispetto all’impianto coreografico e musicale.
Anche nel finale, il virtuosismo dell’ensemble non ha fatto altro che mettere ancora più in evidenza la staticità dei due protagonisti la cui presenza in alcuni attimi di queste scene finisce per rallentarne il ritmo.
Altro caposaldo di questa produzione è la scenografia di Italo Grossi che unisce alla tradizione del villaggio country dell’Oregon, dove si svolge la vicenda, delle influenze che spesso si notano nei film di Quentin Tarantino. Un esempio è ben rappresentato dalla divisione in “capitoli” delle scene tra primo e secondo tempo, scandite da due pannelli che scendono sul palco ogni fine scena, sui quali vengono proiettati i titoli della storia che andrà a svolgersi, i titoli di testa e quelli di coda, escamotage dal richiamo cinematografico.
Come tutti i musical alle prime uscite c’è ancora bisogno di un po’ di rodaggio ma il prodotto finale conquista e lo spettatore passa due piacevoli ore con il sorriso stampato dietro la mascherina.
Regia e coreografia: Luciano Cannito
Libretto: Lawrence Kasha & David Landay
Liriche: Johnny Mercer
Musica: Gene de Paul
Canzoni aggiunte: Al Kasha e Joel Hirschhorn
Traduzione: Michele Renzullo
Scene: Italo Grassi
Costumi: Silvia Aymonino
Direzione musicale: Peppe Vessicchio
Con 22 interpreti (danzatori, cantanti, attori), Orchestra dal vivo
Produzione: FDF Entertainment | Roma City Musical | Art Village
Noemi Verrone