VIENI, NASCONDIAMOCI PIU’ VICINI
La performance Wir Wollen Nie Nie Nie dei Raum 305 si è svolta presso la casa del Teatro Ragazzi e Giovani in occasione del Fringe Festival.
Il Fringe è un festival di teatro off e di arti performative nato nel 2013, una vetrina e un punto di riferimento nazionale e internazionale per le compagnie emergenti.
In questi 10 anni, con l’intento di coinvolgere il tessuto sociale e urbano, ha allargato lo sviluppo della performance nei teatri, ma anche e soprattutto in spazi diversi rispetto a quelli consueti dell’offerta culturale e delle arti performative, portando gli spettacoli in birrerie, sale da ballo, stazioni, dimore storiche, mercati, club, locali, musei, piazze, gallerie d’arte.
Wir Wollen Nie Nie Nie ci mostra due corpi inseparabili e bloccati. La natura turbolenta del loro incontro crea un turbinio di immagini, movimenti ed emozioni che tocca, diverte e affascina. Sui gradini di una scala misteriosa che si trasforma continuamente in nuovi ambienti, i due esseri vivono attraverso un vortice di violenza, profonda fiducia e bizzarra poesia, spinti dalla paura della separazione. Un intruso disturba la loro intimità e solleva la questione di chi stia manipolando chi. I Raum 305 ci portano alle dimensioni di individualità, comunità e autenticità.
In scena qualche oggetto, tra cui una scala ed un vestito appeso. La luce diventa un ulteriore oggetto, un elemento drammaturgico, che crea movimento, sceglie cosa farci vedere e cosa oscurare. Tutto avviene all’interno della scena, lo spostamento degli oggetti viene velato solo dal buio, un buio che rimanda a ciò che l’individuo non mostra.
Spazio e tempo sono alla base del linguaggio della luce, un linguaggio creativo poetante. Sono anche le due dimensioni principali dello spettacolo. Il corpo è perno nello spazio. Paesaggio del linguaggio della luce.
(Da Gianni Staropoli sull’illuminotecnica)
Si tratta di una performance multidisciplinare, che coinvolge diverse arti, il circo, il teatro-danza di matrice tedesca, l’uso della marionetta, la poesia.
Il movimento si apre con una simbiosi dei due corpi, in cui gli arti si confondono in una danza contorsionista. Si alternano momenti di assolo dei performer, grazie ai quali possiamo scoprire l’individualità dei personaggi. Mentre uno si snoda al trapezio, l’altro manipola la marionetta abilmente e parallelamente ai movimenti del compagno. A questo ensemble vorticoso e caotico si aggiungono momenti di ripetizione, ossessione del movimento e contrapposizione, riconoscibili elementi della drammaturgia del tanztheater di Pina Bausch.
Gli artisti berlinesi tengono costante la tensione per tutta la durata dello spettacolo, insieme all’interessante maschera bianca che avvolge come una seconda pelle il loro volto. In momenti apparentemente intimi, in cui i corpi si avvicinano e la luce calda si espande, uno dei performer indossa l’abito nero come una copertura della propria essenza, un mascherare la propria autenticità. L’abito lungo e informe che non mostra la fisicità si sovrappone alle maschere bianche che i danzatori portano al volto e che di essi copre i segni particolari, rendendoli identici e senza personalità. La scala in scena diventa un nascondiglio, uno strumento per esplorare le possibilità del corpo, ma anche un modo per stare più vicini, un grembo da cui nascere insieme ed una metafora del piedistallo o dell’ascesa sociale.
I due corpi preparati posseggono una qualità di movimento che non cerca la bellezza, ma che si spinge al limite, al rischio del disequilibrio, e ciò all’interno di un flusso dinamico, contrapposto alla perfezione e alla pulizia dell’uso del feticcio che incontra sincronicamente le loro azioni.
L’oblio generato sprofonda nel silenzio espanso di queste parole della poetessa Else Lasker-Schüler, declamate da uno dei performer:
Weltende
Es ist ein Weinen in der Welt,
als ob der liebe Gott gestorben wär,
und der bleierne Schatten, der niederfällt, lastet grabesschwer.
Komm, wir wollen uns näher verbergen … das Leben liegt in aller Herzen
wie in Särgen.
Du! wir wollen uns tief küssen –
es pocht eine Sehnsucht an die Welt, an der wir sterben müssen.
Fine del mondo
C’è un pianto in questo mondo,
quasi come se il buon Dio fosse morto,
e l’ombra plumbea che s’infossa
grava come tomba.
Vieni, vogliamo nasconderci più vicini …
La vita giace in tutti i cuori
come nelle bare.
Tu! Vogliamo baciarci profondamente
il mondo pulsa di una brama che ci porterà alla morte.
Con la regia Philipp Boë
performance Jarnoth, Moritz Haase composition Thimo Pommerening
scenografie, costumi, marionette, Jarnoth, Moritz Haase
luci Jörn Nettingsmeier, Julia Lochmann
video René Ehrhardt
produzione Katja Haase
assistente coreografie Marijke Wagner
Graziana Di Stefano