Un teatro. Un sipario rosso sulla scena. Due luci.
Andrea De Rosa, ne La solitudine dei campi di cotone, ci pone già dall’inizio dello spettacolo davanti a un accadimento: due personaggi si incontrano nel mezzo di un cammino. Il cliente (Lino Musella) incontra il dealer (Federica Rossellini). Sulla strada del cliente, il cui ingresso avviene dalla platea, il dealer gli blocca la strada. Nasce così una riflessione sul commercio, sullo scambio, ma anche sul dare e sull’avere, sull’offrire e sul ricevere.
In un periodo storico in cui tutto diventa mercificazione (e l’arte non è esente da questo processo) Koltès individua sapientemente i meccanismi che sottostanno al pensiero dell’offerta, e li rende vivi. Offerta che non si intende solo nel senso di mercato, ma nel senso di offrire qualcosa a qualcuno.
De Rosa, regista visionario e sapiente soprattutto per quanto riguarda la classicità (pensiamo al Fedra del 2015 o alle Baccanti del 2017), riesce a trasportare vicinissimo a noi ciò di cui Koltès vuole parlare. Il testo pungente ma estremamente ricco e carico del drammaturgo, come di suo stile (pensiamo a Roberto Zucco, o a La notte poco prima della Foresta) viene infatti catapultato da De Rosa su un’attualissima riflessione sul teatro. Così come il pubblico va a teatro a vedere uno spettacolo, ci ritroviamo nel Cliente che si imbatte in un imprevisto nel suo viaggio. Possiamo vedere il cliente come un essere umano che incontra, forse per la prima volta, il teatro, e si chiede che cosa il teatro, essenziale e limpido mezzo di comunicazione quale è, possa offrirgli.
Così, in un dialogo composto da poche ma imponenti battute, quasi dei lunghi monologhi, ci si domanda quale sia il senso del teatro come luogo di scambio e mercato, come processo di offerta da un essere umano a un altro. Con una recitazione meccanica, millimetricamente precisa e cauta, come se si avesse tra le mani il più inestimabile bene esistente al mondo. Di fatto, dal dialogo tra il dealer e il consumatore mai viene alla luce l’essenza dello scambio, l’oggetto dell’offerta: ruota tutto attorno a delle parole ridondanti, quasi vuote, a lungo andare. Come disse lo stesso Koltès: “Direttamente non si può dire niente con le parole, si è costretti a dire dietro le parole”. E questo testo può essere ben considerato un manifesto di questa frase.
In maniera estremamente semplice e umana, De Rosa parla di una delle più elementari e antiche forme di essere: l’incontro. Che cos’è la vita, se non un insieme di incontri? E che cos’è, effettivamente, il rapporto tra un dealer e un cliente, tra un venditore e un consumatore, se non un incontro? E che cos’è, dunque, il teatro, se non un incontro?
Quindi, la scenografia: un teatro, appunto, un sipario rosso verso il fondo del palcoscenico, due luci su piantane che illuminano da molto vicino i personaggi. Dal primo scambio di sguardi dei due protagonisti, sembra quasi crearsi un campo magnetico di tensione, forza e coraggio: è ciò che, probabilmente, De Rosa (così come Koltès) vorrebbe dal teatro.
Matteo Chenna
di Bernard-Marie Koltès / traduzione di Anna Barbera / il dealer Federica Rosellini / il cliente Lino Musella / regia Andrea De Rosa / progetto sonoro G.U.P. Alcaro / disegno luci Pasquale Mari / assistente alle luci Andrea Tocchio / assistente alla regia Thea Dellavalle / assistenza ai costumi Bàste / organizzazione Paolo Broglio Montani / il costume di Federica Rosellini è di Tirelli Costumi SpA / produzione Compagnia Umberto Orsini