L’ANGELO DELLA STORIA – SOTTERRANEO

A spasso nel tempo, un viaggio nel paradosso

Il Festival delle Colline Torinesi, alla sua ventisettesima edizione, prova a fare i conti con la Storia, con lo spettacolo dell’affiatata compagnia fiorentina Sotterraneo, che consegna al pubblico una creazione originale a partire da una suggestione di Walter Benjamin: un angelo che vola con lo sguardo rivolto al passato, dando le spalle verso il futuro. Un angelo che vorrebbe fermarsi per riparare i disastri provocati dall’uomo, che invece è costretto a continuare la sua corsa spinto da una tempesta chiamata progresso.

Lo spettacolo, in scena al Teatro Astra di Torino, affastella con un ritmo incessante una serie di eventi – aneddoti storici, saltando temporalmente dal 10.000 a. C. fino al momento presente in cui va in scena lo spettacolo. Gli  spettatori infatti vengono invitati, poco dopo l’inizio, a programmare il timer del proprio cellulare -settato in modalità aereo, ma con la suoneria attiva- verso un ipotetico futuro che incontreranno cinquantatré minuti dopo.

Il viaggio nel tempo, attraverso una macchina invisibile, sembra essere guidato da un’apparente modalità random, ma le storie, nonostante la loro frammentazione, trovano qua e là punti di ri-congiunzione.

I fatti presentati, in un mix riuscito tra racconto e messa in scena, mostrano con evidenza quello che hanno affermato in maniera affine molti pensatori nel corso delle varie epoche – tra cui il filosofo Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Alessandro Manzoni e l’economista Warren Buffett- , che “quello che l’uomo ha imparato dalla storia, è che dalla storia l’uomo non ha imparato niente”. Gli errori si ripetono e mettere ordine fra le macerie ideologiche, ricomponendo i detriti lasciati indietro, non è possibile nemmeno ad un angelo, soprattutto perché, come si legge dalla scheda di sala, gli angeli non esistono.

La scena è dominata da un grande display sullo sfondo che segue le vicende scandendo le date degli eventi narrati dagli attori, tramite dei microfoni ben visibili. Il racconto è spesso intervallato o contaminato da azioni sceniche e brevi ed efficaci movimenti coreografici curati da Giuliano Santolini, anche attore in scena. La logica frammentaria, tipica del linguaggio post-moderno, mette sullo stesso piano aneddoti storici paradossali dalle origini più disparate. Non c’è un fatto più importante di un altro. Lo spettacolo sembra invitare lo spettatore ad avere uno sguardo d’insieme, pur cercando di far “affezionare” alle singole storie che vengono prese e riprese, con effetti talvolta comici. Il senso, se è possibile trovarlo, lo si deve ricercare nella stratificazione degli eventi.

Il ritmo dello spettacolo è forsennato e si concede solo saltuariamente delle pause,  sottolineate dal rallentamento delle azioni degli interpreti e dalla pulsazione delle luci di scena che si alzano e abbassano, come se anch’esse prendessero respiro.

Si passa dalle grotte preistoriche dove l’uomo incideva segni sui muri (quasi dadaisti!), al soldato giapponese nella giungla che, causa anche la guerra, perde la cognizione del tempo. Ci si stupisce degli esperimenti sul DNA di un coniglio fatto incrociare con una medusa e dei continui parti della regina d’Inghilterra, che metterà alla luce sedici figli in ventinove anni, per poter finalmente consegnare un erede al trono. Si rimane increduli di fronte al più grande suicidio di massa dell’età contemporanea dei membri della setta dei Seguaci del Popolo e davanti al dubbio dell’uomo russo se premere o meno il pulsante per il lancio delle testate nucleari contro la minaccia statunitense. Ci si diverte in maniera grottesca della morte dello stuntman Mike che si lancia con un razzo per dimostrare che la Terra è piatta e che inevitabilmente crolla al suolo, o di fronte ai nazisti addetti alla sistemazione delle piante nei campi di concentramento. La drammaturgia riesce abilmente, in un momento preciso dello spettacolo, ad unire futuro, presente e passato quando i timer dei cellulari del pubblico, precedentemente impostati, cominciano a suonare simultaneamente richiamando i presenti sull’ hic et nunc, mentre viene raccontato dagli attori il suicidio di Walter Benjamin per sfuggire dagli artigli del nazismo. Il suono in sala richiama il telefono dell’ambasciata, che avrebbe dovuto preparare i documenti che gli avrebbero permesso di espatriare e dunque salvarsi, che squilla a vuoto.  

Fra tutte le storie con protagonisti gli esseri umani compare anche una sintetica (auto)critica di antropocentrismo, scandita chiaramente da uno degli attori, quando viene affermata la possibilità di mettere in dubbio l’esistenza del rumore di un albero che cade in una foresta, se questo non è udito, e dunque testimoniato dall’uomo.

Tutto il materiale, dall’interessante scrittura di Daniele Villa, viene manipolato con l’onnipresente chiave dell’ironia, raggiungendo il pubblico che reagisce divertito alle sollecitazioni  della compagnia. La colonna sonora, che gioca anch’essa con i salti temporali, accompagna in maniera efficace l’interpretazione dei cinque bravi performer, Sara Bonaventura, Claudio Cirri, Lorenza Guerrini, Daniele Pennati e Giulio Santolini, che nonostante qualche piccola sbavatura, dimostrano un’intensa coesione di gruppo e un efficace utilizzo del corpo e della voce. Particolarmente esilarante la reiterazione delle interminabili danze nella corte cinquecentesca di Strasburgo o la storia -che si rivelerà essere falsa per il “dispiacere” del pubblico- dell’eredità milionaria in favore del gatto Tommasino, relegato infine a entità meramente narrativa. Quello che forse manca, in questo muoversi incessante sulla superficie degli eventi, è lo scendere talvolta in profondità e toccare le corde emotive dello spettatore. A volte ci si sente anestetizzati, come di fronte a uno schermo sul quale scorrono veloci le immagini più disparate, scevri da una reale partecipazione.

Quello che resta impresso negli occhi, dei pochi e interessanti oggetti di scena usati in maniera necessaria, sono una serie di coniglietti verdi che paiono saltellare liberi, pur essendo stati azionati dagli attori e un’enorme balena che si gonfia e sgonfia durante lo spettacolo, quasi a suggerire che la storia possa prendere forma, ma allo stesso tempo svanire, in base a come viene narrata.

La compagnia in un’intervista a proposito dello spettacolo afferma di non essere né militante né ideologica e che il suo desiderio è che il pubblico esca da teatro con un tarlo o con un dubbio in testa.  

Il pubblico intento a discutere rumorosamente fuori dalla sala al termine della rappresentazione sembra dimostrare che qualche dubbio o tarlo nella sua testa sia effettivamente rimasto.

È davvero “unico e irripetibile” ogni giorno della nostra storia?

In scena il 14 e 15 ottobre 2022 al teatro Astra di Torino

durata 1h20’

L’ANGELO DELLA STORIA

creazione Sotterraneo
ideazione e regia Sara Bonaventura, Claudio Cirri, Daniele Villa
in scena Sara Bonaventura, Claudio Cirri, Lorenza Guerrini, Daniele Pennati, Giulio Santolini
scrittura Daniele Villa

luci Marco Santambrogio
costumi Ettore Lombardi
suoni Simone Arganini
montaggio danze Giulio Santolini

responsabile produzione Eleonora Cavallo
assistente produzione Daniele Pennati
responsabile amministrative Federica Giuliano
promozione internazionale Laura Artoni

produzione Sotterraneo
coproduzione Marche Teatro, ATP Teatri di Pistoia Centro di Produzione Teatrale, CSS Teatro stabile di innovazione del FVG, Teatro Nacional D. Maria II
contributo Centrale Fies, La Corte Ospitale, Armunia
col supporto di Mic, Regione Toscana,Fondazione CR Firenze

Residenze artistiche Centrale Fies_art work space, Centro di Residenza Emilia-Romagna/La Corte Ospitale, Dialoghi – Residenze delle arti performative a Villa Manin, Armunia, Elsinor/Teatro Cantiere Florida, ATP Teatri di Pistoia

Credito Fotografico Giulia di Vitantonio courtesy Inteatro festival

Marco Monfredini

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