Ad un tratto, dal buio in cui sprofondo, delle lettere al neon, come una sequenza di Fibonacci, cominciano ad illuminare quell’oscurità con parole che assumono la forma di domande: Che cos’è la poesia? Che cos’è l’arte?
Immediatamente sento come la sirena di un allarme dentro la mia testa: Sono domande stupide! – mi dico. Ma nell’istante in cui lo affermo mi rendo conto che il problema non è la domanda ma l’impossibilità della risposta.
Il mio professore di letteratura del Liceo diceva che la poesia è “la puntiformità del grido” e che ogni volta che provi a parlarne la uccidi, e da lì cominciava una lunga parafrasi del testo che uccideva la poesia e una gran parte di noi.
Ecco il pensiero della morte che torna e prova a dare senso a “Noi” e agli artefatti che con ingenua illusione vorremmo come antidoto ad essa. Ecco il pensiero della Morte che dovrebbe farci godere maggiormente della Vita, della Natura ma:
“Godere la Natura! Sono lieto di dire che ho perduto del tutto quella facoltà. La gente ci dice che l’Arte ci fa amare la Natura più di quanto l’amassimo prima; che rivela a noi i suoi segreti; […]. La mia esperienza personale è che più studiamo l’Arte, meno ci importa della Natura. Quel che l’arte realmente ci rivela è l’assenza del disegno della Natura, le sue curiose asprezze, la sua straordinaria monotonia, la sua condizione assolutamente incompiuta. La Natura, è ovvio, ha buone intenzioni, ma, come disse una volta Aristotele, non sa realizzarle. Quando guardo un paesaggio non posso fare a meno di vedere tutti i suoi difetti. Comunque è per noi una fortuna che la Natura sia così imperfetta, perché altrimenti non avremmo affatto arte” – (Da La decadenza della menzogna – Oscar Wilde).
Ma quello che per Oscar Wilde è “vivace protesta”, “fiero tentativo di insegnare alla Natura a stare al suo giusto posto” per la compagnia El Conde de Torrefiel risulta un’insofferente costrizione e castrazione.
“In natura non esistono quadrati, né rettangoli, né quadrilateri. Tutto ciò che ha una forma quadrangolare è stato inventato. […] Vivo in una cornice persistente, che delimita e dirige continuamente le mie azioni e la mia attenzione. I cellulari, i libri e i televisori sono quadrilateri artificiali. Le carte e i passaporti sono artefatti quadrangolari che inquadrano l’identità. I cinema e i teatri sono grandi contenitori cubici che seducono lo sguardo e riducono il paesaggio”. – (Da Una imagen interior testo teatrale di Pablo Gisbert)
Da un lato in Una imagen interior si vogliono abbattere le pareti del teatro per ritrovare la comunità originale che si libera dalle catene dell’artefatto, ritrovando quell’intento di esistere sotto un cielo stellato. Ma il ritorno al quadro, come chiusura del cerchio, ci dice dell’impossibilità di tale intento, avendo ormai varcato una soglia dalla quale non si può più tornare indietro. Così il quadro iniziale ritorna nuovo e uguale in quest’impasse che trova uno spiraglio in quel tempo astratto del sogno, relegandoci però al ruolo di osservatori esterni, individualità che navigano da sole senza stelle a guidarle.
Più aderente al messaggio di Wilde la Ecloga XI degli Anagoor per i quali la vita esiste solo all’interno di quei confini, senza i quali non sappiamo nominarci, non sappiamo definirci, non sappiamo pensarci, così che, come dice Wilde, “dopo un accurato studio di Corot e Constable (o Giorgione ndr) vi vediamo cose che erano sfuggite alla nostra osservazione…”. Così il maschile e il femminile si incontrano su un fil di lama, “usciti” dal quadro non per liberarsi da un artefatto ma per condurre anche noi entro quei limiti identitari, è come ci prendessero per mano ma parlassero una lingua a noi sconosciuta che è difficile da abitare, quella della poesia, coscienti che, come si evince dal testo dello spettacolo …
“Alla poesia si rivolge l’accusa di non aver saputo salvare l’uomo. Ma gli accusatori, poiché non avevano compreso i termini reali della crisi dell’umano, a maggior ragione non potevano capire né l’uomo della crisi né l’uomo in generale, e perciò nemmeno la poesia… Una poesia ostinata a mediare l’immediabile, e che sperasse, se è lecito usare questa parola, come non sperando”.
Il mondo è andato in pezzi ma la protagonista, non senza una certa inquietudine, dice di “essere adatta”, di sapere come stare al mondo, su quelle macerie, in mezzo a quel “nulla” dove non vi è altro rifugio che la poiesis, riprendendo quel concetto greco ontologico del “fare dal nulla”.
Così il quadro che si delinea alla fine innalzandosi da terra e restando fluttuante ci vede spettatori esterni ma inglobati in un paesaggio fittizio che per questo diviene più reale della realtà.
Ed è così che arriviamo al terzo spettacolo, La trilogia delle macchine di Giuseppe Stellato. A questo punto all’uomo ormai annichilito, vittima della sua stessa creazione, non resta che ritrovare uno spazio cubico sempre più piccolo, come il ventre di un distributore automatico di merendine, in un rapporto sinergico dove non è più l’uomo a creare la macchina ma quest’ultima a generare l’uomo.
E ritorniamo alle parole di Una imagen interior, anche noi in un viaggio circolare, per ritrovare l’essenza di questo spettacolo: “Il letto in cui dormo è un rettangolo, le stanze, le porte, le finestre, gli edifici, sono rifugi quadrangolari che proteggono” proprio come quadrangolari sono la lavatrice di Oblò, il distributore di merendine e bibite di Mind the gap e il bancomat di Automated teller machine che compongono i tre momenti de La trilogia delle macchine.
E il testo di Gisbert degli El Conde continua restituendoci il senso di questo spettacolo altro, che forse è solo la naturale conseguenza di un percorso in cui il festival ci ha condotto:
“Ora, dopo secoli alla ricerca della forma perfetta, tutto quello che mi circonda è un grande artefatto quadrato, inventato per proteggermi dalla spontaneità della Natura. Un sistema di cornici artificiali che controlla le vite e limita la loro espansione. Ora, vedo come questa invenzione si alza in piedi, vedo come cammina a testa alta, vedo come si dirige verso di me, mi parla e mi dice: io sono più reale di te”.
“Arte” perciò intesa in un senso più ampio. Anche se, sempre nell’ottica di non voler/poter dare una risposta univoca, possiamo fermarci su un concetto espresso da Shakespeare nel Re Lear e ripreso da Morris nella sua introduzione al libro La scimmia artistica che dice: “l’arte consiste nel prendere cose banali e volgari per renderle oggetti degni di ammirazione”. Una suggestione che, alla luce di quanto detto, risulta senz’altro condivisibile.
Nina Margeri
Per i crediti degli spettacoli si rimanda ai rispettivi link
El Conde De Torrefiel – Una Imagen Interior – UNA IMAGEN INTERIOR – TPE Teatro Piemonte Europa (fondazionetpe.it)
Anagoor – Ecogla XI – ECLOGA XI – TPE Teatro Piemonte Europa (fondazionetpe.it)
Stabile Mobile/Giuseppe Stellato – Trilogia delle Macchine – TRILOGIA DELLE MACCHINE (OBLÒ / MIND THE GAP / AUTOMATED TELLER MACHINE) – TPE Teatro Piemonte Europa (fondazionetpe.it)