Il Festival delle Colline prosegue con il suo undicesimo spettacolo prodotto dalla compagnia stabilemobile. Lo spazio scelto è la Fondazione Merz, dopo Danza Cieca di Virgilio Sieni messo in scena tra il 20 e il 21 di Ottobre, e non è un caso che ad occuparsene sia proprio un museo d’arte. Quello che il pubblico vedrà questa volta non saranno corpi, ma tre oggetti: una lavatrice, un distributore di snack e un bancomat ATM. Può davvero raccontare qualcosa un trittico del genere?
L’unica figura che vediamo comparire in scena fin dall’inizio è Domenico Riso, performer e collaboratore artistico della compagnia, che dichiara di non aver mai avuto alcun tipo di esperienza attoriale. Sarà lui che nel corso di queste tre installazioni-performance compierà giusto qualche piccola azione, mostrando cosa si cela dietro al rapporto uomo-macchina. Un rapporto complesso, fatto di curiosità ed entusiasmo nello scoprirne i più strani meccanismi per poi giocarci come dei bambini. E forse questo gioco continuo non fa altro che trasformarsi piano piano in un abuso così forte da portare ad una spaventosa degenerazione: la lavatrice perde il controllo autodistruggendosi, il distributore consegna autonomamente oggetti inutili a non finire tra cui sabbia, riso e sassi, mentre il bancomat ci offre un osceno spaccato del mondo di oggi attraverso il suo schermo, sporco di inchiostro che fuoriesce dalla macchina.
Ognuno di questi blocchi, da 30 minuti ciascuno, propone tre tipologie di barriere differenti, barriere che vengono poste tra le macchine e il pubblico (nonché tra le macchine e il performer, che sarà per primo spettatore di tutte e tre le installazioni). Nel primo caso Giuseppe Stellato, ideatore del progetto (le cui primi due fasi, Oblò e Mind the Gap, sono già stati presentate alla Biennale di Venezia nel 2018), decide di inserire davanti alla lavatrice un piccolo “muretto” trasparente, che Domenico dipingerà di rosso con lente e precise pennellate. Quella linea rossa sarebbe dovuta essere la stessa che scorre nei video su YouTube: il pubblico sta dunque osservando una lavatrice impazzita come se stesse guardando un video? È un modo per dirci che siamo ancora una volta succubi della tecnologia?
“Il bello di questa performance è che ognuno può vederci sempre un significato diverso. Una volta un signore a Napoli guardando Oblò ci disse che aveva visto in quelle pennellate la fatica del lavoro manuale, in totale contrasto con la macchina dietro.”
In Mind the Gap, nome della seconda installazione della Trilogia, la barriera che viene costruita è sempre una linea: l’espressione “Mind the gap” è infatti il corrispettivo londinese di “allontanarsi dalla linea gialla”, la stessa striscia che rinchiude un distributore di snack e bibite nel suo spazio. Una macchina che si ritrova spesso nelle stazioni, aeroporti, metropolitane, uno strumento pubblico che viene usato molto, forse talmente tanto da farlo impazzire. O meglio: talmente tanto da confondersi addirittura con chi lo usa, l’uomo. Domenico non a caso alla fine di questa seconda installazione si inserirà all’interno della macchina per far capire questa inquietante confusione di identità.
– Giuseppe Stellato
Una confusione che scoppia nell’ultimo blocco. Il pavimento è appena stato pulito con la stessa precisione usata nelle pennellate rosse precedenti. È infatti questo pavimento bagnato la nostra terza barriera, meno chiara ed esplicita rispetto alle due strisce colorate.
Un’ ATM degenera così come degenera la privacy di ognuno di noi, quella che si pensa di poter proteggere nascondendo il pin delle proprie carte di credito durante un prelievo. Peccato che non basti un mocio per pavimenti per rendere tutto pulito, perché di splendente non c’è proprio nulla: lo schermo della macchina, ormai sporco di inchiostro (che il performer tenterà di rimuovere ancora una volta), proietta rapide immagini sulla politica di oggi per poi culminare con scene di guerra. La performance termina così lasciando il pubblico sbigottito e senza la forza di applaudire (e a chi poi?) di fronte a quelle terribili immagini. Immagini che sono state sempre e solo poste davanti a uno schermo, a una macchina.
Eppure rispetto a questi strani oggetti, continueremo a porci sempre le stesse domande: “Come funziona questo schermo? Cosa ci sta dietro?”, consapevoli di essere ancora dei piccoli bambini ingenui alla scoperta del mondo.
Angelica Ieropoli
Ideazione e regia Giuseppe Stellato
Performer e collaboratore artistico Domenico Riso
Musica e sound design Andrea Gianessi
Light design Omar Scala
Collaborazione alla drammaturgia per Mind the Gap Linda Dalisi
Production Brunella Giolivo
Organizzazione Francesca Giolivo
Produzione stabilemobile