[…] Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
Cesare Pavese- Verrà la morte avrà i tuoi occhi.
Il 6 novembre 2022 è andato in scena Ombelichi tenui, una riflessione sul fine vita. Per il lungo progetto coreografico, dalla durata di quattro anni, i due co-autori ed interpreti Filippo Porro e Simone Zambelli hanno collaborato con le tanatologhe Ana Cristina Vargas e Marina Sozzi.
Subito le maschere vengono tolte per rivelare i volti di Filippo Porro e Simone Zambelli. Il viaggio ha inizio. I due performer esplorano lo spazio, interagiscono con esso e tra di loro. Una sintonia iniziale fa presto spazio a una situazione più tesa. Quando l’uno uccide l’altro (e viceversa) si materializza un’ulteriore domanda: quali possibili comportamenti di fronte ad un corpo morto? Come toccare un morente?
Entrato nel foyer della Lavanderia a Vapore, il pubblico è fornito di alcuni sassi con i quali si chiede di rispondere ad una serie di domande sulla morte e sulla percezione degli spettatori riguardo ad essa. “Hai paura della morte? Hai mai pensato di voler morire? Vuoi che rimanga qualcosa di te dopo?”.
Lo spettacolo inizia quando due corpi con una maschera da animale (cavallo? ippopotamo?), andando a definire quasi una figura mitologica non decifrabile, entrano nello spazio performativo per modificare la scenografia data: blocchi di roccia bianca ed una tavola di legno chiara per cui decidono una nuova composizione rispetto a quella dell’incipit.
Ombelichi tenui ha l’abilità di porre lo spettatore di fronte a continue questioni alquanto personali legate alla sfera semantica della mortalità, per la quale, però, non è pensata una risposta univoca né certa.
Per l’intera durata i due corpi rotolano, si sollevano, si aiutano, si uccidono, l’uno si fa scudo dell’altro, litigano. Improvvisano in una ballata perfettamente in equilibrio, scaricando il proprio peso totalmente sull’altro. Giocano con gli oggetti di scena: una roccia si scopre commestibile durante la gara di chi la mangia tutta per primo. Il piano di legno diviene un tavolo vero e proprio su cui avviene questa competizione, per poi farsi bara. La danza da corteo funebre riporta al contesto africano, dove movenze ritmiche di tale portata sono una componente centrale per il rito funebre (una ballata per l’aldilà, proprio come recita lo stesso sottotitolo). In questo secondo caso l’immaginario di riferimento è facilmente rintracciabile in quello del rituale, causa del dialogo interculturale che sottende al progetto. Il funerale è pensato in qualità di momento di passaggio, permettendo di indagare non solo la ritualità nel contesto occidentale, ma anche le emozioni complesse e contraddittorie che possono accompagnare il lutto. Portando in scena il rapporto (e contrapposizione) tra collettività e individualità, il dubbio fondante è presentato: la morte può avere una dimensione collettiva? Si può trovare una dimensione condivisibile della morte?
Quando scende il buio e tutto scompare perdura solo l’accompagnamento musicale. Ma, quindi, cosa rimane? Ecco l’ultima domanda che lo spettacolo propone allo spettatore ora di nuovo solo in questo viaggio introspettivo.
Si nota, all’interno del progetto, la mancanza di una sceneggiatura leggibile che accompagni di più l’astante (come è emerso nella discussione con i coreografi successiva alla performance). La risposta ricevuta è che ciò qui viene portato sul palco è quanto più una voragine, una faglia ed è per questo che manca una “sceneggiatura” all’interno di questa narrazione fra due corpi fuori posto, che invece cercano posto.
Ombelichi tenui ci fa dono di nuovi immaginari a cui attingere per dare un senso al fine vita o al suo accompagnamento, in controtendenza rispetto a quelli proposti dalla società occidentale per cui la morte rappresenta a tutti gli effetti ancora un tabù.
La condivisione performativa dell’indagine personale, ma collettiva, di Filippo e Simone con Ana e Marina ci permette di scoprire un linguaggio diverso, che riguarda il corpo e non la parola orale o scritta e di guardare con occhi altri il tema esistenziale della mortalità.
di e con Filippo Porro e Simone Zambelli
suono Isacco Venturini
luci Gianni Staropoli
scene e costumi Silvia Dezulian
consulenza scientifica Ana Cristina Vargas, Marina Sozzi
consulenza drammaturgica Gaia Clotilde Chernetich
produzione AZIONI fuori POSTO
co-produzione C&C Company, Balletto Civile
con il sostegno di Komm Tanz_Passo Nord, progetto residenze Compagnia Abbondanza/Bertoni, Lavanderia a Vapore
progetto vincitore del bando AiR 2021 – Artisti in Residenza / Lavanderia a Vapore
in collaborazione con SOCREM Torino
Federica Siani