Per la stagione Buchi Neri, il Teatro Astra, dal 7 al 12 Febbraio, ha presentato Frankenstein, scritto e diretto da Filippo Andreatta, tratto dall’omonimo e iconico romanzo di Mary Shelley.
Lo spettacolo si apre con un fuoco vero, crepitante, che brucia direttamente nello spazio scenico.
La fiamma viene presa dal moderno Prometeo, portata simbolicamente agli uomini in una forma addomesticata, domata, non più fuoco che divampa ma focolare domestico. Ma questo piegare la natura porta ad un disastro ambientale, e la fiamma della conoscenza umana si trasforma in sofferenza.
In scena troviamo due attrici che danno corpo, ma soprattutto voce, al Dottor Frankenstein e alla sua Creatura e ai loro dolori. Il tema della Voce è ricorrente, è attraverso di essa che vengono espresse mostruosità ed umanità, appartenenti ad entrambi i personaggi.
Più che concentrarsi sulla trama del romanzo di Mary Shelley lo spettacolo pone l’attenzione sull’origine stessa della storia e dagli elementi che hanno ispirato l’autrice: nel 1815 l’eruzione del vulcano Tambora, con cenere e vapori, oscura il cielo.
Gli effetti sono devastanti, i raccolti scarsi, le epidemie serpeggiano e si registra un calo delle temperature che porterà successivamente a definire il 1816 “L’anno senza estate”. È in questo frangente che una compagnia, tra cui la stessa Mary Shelley, si ritrova bloccata a Villa Diodati. Per far passare il tempo, decidono che ognuno di essi scriverà un racconto dell’orrore per intrattenere gli altri. Ed è da un incubo di Mary Shelley che nasce il capolavoro.
Questa atmosfera cupa e gotica è fonte di ispirazione per poeti e pittori del Romanticismo e anche Turner e Friedrich dipingono quel cielo oscuro. Ciò che ricordiamo come una rappresentazione dell’animo umano e dello sturm und drang è in realtà frutto di quell’evento naturale. La Natura, nella duplice veste di madre e matrigna, è capace di ispirare e distruggere, di provocare cataclismi e di ispirare bellezze artistiche.
Il pubblico viene a conoscenza di tutti questi dettagli grazie a delle scritte che vengono proiettate su un telo che appare e scompare nel corso di tutto lo spettacolo, e che ricordano quasi le didascalie di un film muto.
La musica e i suoni che accompagnano la performance sono a volumi altissimi, i rombi dei tuoni sono eccessivi, e a tratti disturbanti. Ma è un disagio voluto, necessario, che crea l’atmosfera adatta per raccontare questa storia ed è un espediente che tiene lo spettatore contemporaneo, difficile da “spaventare”, sempre con il fiato sospeso, nella speranza che ad un suono esasperante non ne segua un altro. Anche la mostruosità della Creatura è resa attraverso voci distorte e suoni grotteschi, e non con l’utilizzo di costumi e trucco di scena.
L’ambientazione e l’utilizzo delle luci ricorda molto lo stile cyberpunk i cui temi principali, non a caso, sono gli innesti artificiali e il rapporto che l’essere umano ha con la scienza/tecnologia e la sua smania di potere e conoscenza che lo porta a modificare il corpo umano fino a renderlo grottesco, artificiale e mostruoso.
I punti di forza dello spettacolo risultano essere proprio l’utilizzo dei suoni, un’illuminazione che passa dalla luce naturale e calda delle fiamme a quella artificiale che quasi aggredisce gli occhi dello spettatore e una serie di quadri ipnotici che rendono l’esperienza sensoriale della performance profondamente immersiva e viscerale. Tuttavia, ciò avviene a discapito della prova attoriale delle due attrici in scena che, seppur valida, risulta essere schiacciata e quasi superflua ai fini dell’esperienza dello spettatore e della performance stessa, che si reggerebbe bene anche solo attraverso l’utilizzo della tecnica e le didascalie che raccontano la storia e che donano gli spunti di riflessione più interessanti.
Altra nota dolente è il finale, che risulta essere monco, come se lo spettacolo fosse stato spezzato a metà e non arrivasse alla sua naturale conclusione, tanto da lasciare il pubblico stordito e confuso, con un applauso che fatica a partire e lascia spazio a qualche silenzioso secondo di troppo.
Beatrice Taranto
Performance di Office for a Human Theatre
Scrittura di Filippo Andreatta
da Mary Shelley, Clarice Lispector
Regia e scena Filippo Andreatta
Con Silvia Costa, Stina Fors
Suono e musica Davide Tomat
Luci Andrea Sanson
Assistente regia Veronica Franchi
Responsabile allestimento Cosimo Ferrigolo
Costumi Lucia Gallone
Sculture di scena e automazione Plastikart studio
Busto di cera Nadia Simeonkova
Fondale dipinto Paolino Libralato
Tecnici Orlando Cainelli, Rebecca Quintavalle
Amministrazione Lucrezia Stenico
Sviluppo Anna Benazzoli
Fotografie Giacomo Bianco
Produzione OHT, TPE – Teatro Piemonte Europa, Snaporazverein (CH), OperaEstate Festival
Residenza artistica Centrale Fies