Dal 7 al 19 febbraio, sul palco del Carignano, è andato in scena Uno sguardo dal ponte, secondo testo di Arthur Miller a calcare le tavole di questa stagione dello Stabile dopo Il crogiuolo diretto da Filippo Dini. Ma se in quest’ultimo si respirava un’atmosfera quasi monumentale, vuoi per la messa in scena, vuoi semplicemente per il tema storico trattato, in Uno sguardo dal ponte l’azione si predispone ad un approccio decisamente più intimo, ed è su questa intimità, su queste interazioni ravvicinate tra i personaggi, che Massimo Popolizio, regista nonché interprete principale, sembra voler far leva.
Ambientato a Brooklin nella prima metà del secolo scorso, in uno scenario con atmosfere da Fronte del porto, il testo gira tutto intorno alla figura di Eddie Carbone (qui interpretato da Popolizio), scaricatore italoamericano che si ritrova a far quasi da padre alla nipote Catherine (Gaja Masciale) rimasta orfana. Quando i cugini siciliani della moglie Beatrice (Valentina Sperlì) arrivano da clandestini in America per lavorare e Eddie deve ospitarli in casa sua, la realizzazione tanto rimandata che Catherine è ormai una donna e non più una bambina sembra travolgerlo tutto d’un tratto, mettendo in atto un meccanismo di gelosia e preoccupazione che lo trascinano in una parabola discendente.
È questo, insieme al già citato Crogiuolo e al notissimo Morte di un commesso viaggiatore, ad essere uno dei lavori più conosciuti di Miller, un testo che ha dietro di sé una lunga serie di rappresentazioni teatrali, televisive, cinematografiche, radiofoniche, persino un adattamento operistico.
Conscio di questo notevole “curriculum”, Popolizio ne fa chiara menzione nel foglio di sala, usandolo come pozzo da cui attingere per la sua rappresentazione. Al riguardo scrive: “Credo possa essere interessante e ‘divertente’ una versione teatrale che tenga presente di tutti questi ‘figli’. Una grande storia, raccontata come un film, ma a teatro. Con la recitazione che il teatro richiede, con i ritmi di una serie e le musiche di un film”.
Di queste influenze cinematografiche se ne vede traccia nell’ampio uso espressionistico che la regia fa delle luci. Dalle silhouette dei lavoratori del porto con cui si apre lo spettacolo alla luce a cascata che talvolta avvolge gli attori separandoli dal resto, fino alle lucine natalizie che addobbano la scena nella seconda parte della storia, Popolizio sembra sfruttare questa pletora di tecniche d’illuminazione per simulare le inquadrature e le tecniche di montaggio, campi lunghi, primi piani, stacchi, dissolvenze. Ma questa è solo una metà della messa in scena, volta forse a dare quel già citato ritmo “da serie” alla storia. L’altra metà vede invece un ampio sfoggio della natura teatrale dello spettacolo. La scenografia mostra contemporaneamente un interno/esterno indefinito, dove il mobilio dell’appartamento dei Carbone si mischia allo sfondo del porto e alle antenne che spuntano dai lati del palcoscenico, creando un contrasto che permette l’intimità attraverso i “primi piani” dettati dalle luci ma mantenendo una dimensione proiettata verso l’esterno, metaforicamente e figurativamente. Lo stesso arredamento, cassettoni, tavoli, giradischi, è mobile, e viene spostato a vista dagli attori man mano che la rappresentazione procede. L’intero spettacolo viene introdotto ed interrotto in vari momenti da una figura quasi completamente esterna ai fatti, l’avvocato Alfieri (la cui funzione somiglia a quella di un coro greco, scrive il regista)che si rivolge in modo diretto e plateale al pubblico raccontandogli la storia. Gli stessi attori, una volta conclusasi una scena, non fingono di sparire con il buio ma si fermano per un istante sul posto, per poi uscire di scena senza troppi artifici.
Un misto di tecniche dall’immersivo allo straniante, che regolano il tono della storia e creano un buon ambiente in cui gli attori possono far vivere i loro personaggi.
E parliamo quindi dei personaggi. In primis di Eddie Carbone, attorno al quale, abbiamo già detto, gira tutta la vicenda. Ci si presenta il ritratto di un uomo estremamente ambiguo, lanciato fin dalle prime battute verso un destino tragico. Già dall’inizio si dimostra molto protettivo verso Catherine, storcendo il naso alla gonna per lui un po’ troppo corta che indossa e all’idea che vada a lavorare in un quartiere malfamato, ma queste dimostrazioni di cautela, dapprima semplici preoccupazioni che uno zio può avere nei confronti della nipote, vengono portate all’ eccesso quando il più giovane dei due cugini siciliani, Rodolfo (Lorenzo Grilli) si dimostra interessato a lei. Inizia qui una personalissima battaglia di Carbone che, convinto che il ragazzo stia circuendo la nipote per avere la cittadinanza americana, fa di tutto per convincerla a non sposarlo. E se da un lato rimane il logico dubbio che Rodolfo stia effettivamente ingannando Catherine, la preoccupazione del protagonista si trasforma sempre più in esasperata gelosia. Popolizio interpreta Carbone come un uomo curvo, dalla voce roca e dagli atteggiamenti sospettosi, e più la vicenda procede, più si fa curvo, la voce più gracchiante, arrivando alla fine della storia praticamente barcollando, come ubriaco della sua stessa gelosia.
Di che tipo di gelosia si tratti, se quella di uno zio che tiene troppo alla nipote o quella di un uomo che si è accorto che insieme a lui vive una donna e non più una bambina, questo non viene mai definito, ma nell’interpretazione di Popolizio lo spettatore può vedere l’una e l’altra cosa. Indipendentemente dalla natura del sentimento, comunque, esso è l’annunciata rovina del personaggio, al punto che sembra abbrutirlo fino all’inevitabile, tragico finale.
Tra le altre interpretazioni va fatto sicuramente un plauso a Raffaele Esposito nel ruolo di Marco, il cugino più grande, che ha moglie e figli da sfamare in patria e che verrà trascinato dall’abbrutimento di Eddie fino a sfociare nella violenza per vendicare l’onore della sua famiglia, in una scena con toni da Cavalleria Rusticana. Interpretazione aiutata anche dall’eccellente traduzione di Masolino D’Amico, che trasforma l’inglese degli immigrati in siciliano autentico, amplificando la verosimiglianza storica della vicenda.
La regia di Uno sguardo dal ponte di Popolizio dà quindi vita ad una rappresentazione che fa quello che deve fare, raccontando la storia in maniera diretta e concedendosi l’occasionale slancio stilistico qui e là, senza strafare, tenendo sempre come priorità la narrazione. Un buono spettacolo, che forse non lascia un’impressione indelebile nelle menti degli spettatori, ma si rivela comunque un’ottima messa in scena.
Edoardo Perna
di Arthur Miller
traduzione Masolino D’Amico
con Massimo Popolizio
e Valentina Sperlì, Michele Nani, Raffaele Esposito, Lorenzo Grilli, Gaja Masciale, Felice Montervino, Marco Mavaracchio, Gabriele Brunelli
regia Massimo Popolizio
scene Marco Rossi
costumi Gianluca Sbicca
luci Gianni Pollini
suono Alessandro Saviozzi
Compagnia Umberto Orsini
Teatro di Roma – Teatro Nazionale
Emilia Romagna Teatro ERT – Teatro Nazionale