Tango macondo è un assemblaggio, un’operazione contemporanea che trova le sue radici nel mito.
I linguaggi si fondono tornando alla materia, un atto totale, un atto corale, tra realtà e surreale. Il sughero della Gallura sul palco: se ne avverte l’odore quando i danzatori alzano il vento. Il simbolo ed il rito emergono sempre. I linguaggi artistici si compenetrano, le forme narrative di Borges, Marquez e Cortazar pure. La scrittura, la parola incarnata ci portano in un viaggio di immagini e sensazioni. Lo spettacolo vive nell’opera di Niffoi, il venditore di metafore. Il protagonista Mataforu ed il suo amore Anzelina, ci cantano storie di piazza in piazza, compiendo un viaggio da Mamoiada a Macondo, racconti popolari sardi s’intrecciano alla sinuosità musicale creata appositamente da Paolo Fresu, accompagnato da Daniele Bonaventura e Pierpaolo Vacca. L’andi-rivieni di attori e danzatori sulla scena permette la continua tensione, in un’alternanza ordinatamente scandita da ritmo e curatela visiva.
I danzatori ricreano il deliro di riti intimi e collettivi, arcaici. la scrittura coreografica di Giovanni Di Cicco ben si amalgama al resto del paesaggio ritmico fatto di parole di carne e musica. Infatti la pedagogia di Giovanni Di Cicco contiene un ricco immaginario narrato in metafore, dando ad ogni movimento una pienezza di sensazioni, una visualizzazione. Il teatro danza che osserviamo non è didascalico in quanto evocativo, essenziale e mai aulico, i corpi alle volte rimangono tali ma posseduti da spinte interiori, e talvolta invece prendono qualità di movimento meno umane. Il caos sul palco sempre visivamente appuntato, viene collocato, calmato, liberato dalle sculture ed opere d’arte di Marcello Chiarenza. Figurazioni anch’esse simboliche e di drammaturgia della festa, su cui vale la pena soffermarsi: si tratta di strutture leggere che attraversano lo spazio e collaborano al disegno fantasioso che si va man man ricreando, una canna da pesca molleggia nell’aria pezzi di stelle, una tela da pesca baldanzosa le raccoglie.
Il disegno luci di Aldo Mantovani contempla colore ma monocromie, un rosso, un magenta, una luce fredda, una luce calda di un giallo paglia durante l’epidemia dell’insonnia, tratta dal romanzo di Marquez, Cent’anni di solitudine. Insomma, uno spettacolo complesso, stratificato, ma anche semplice, che ci riporta alla matrice, il rito. Uno spettacolo che arriva, accessibile, ma allo stesso tempo che rimane prezioso e fascinoso, nobile e popolare. Una gemma.
Graziana Di Stefano