PASOLINACCI E PASOLINI – SERATA CONCLUSIVA DELLA RASSEGNA LUCI SULLE ALBE

C’è un paradosso che chi si accosta al teatro da studioso o da appassionato si trova ad affrontare. Da un lato il fatto teatrale è fragile: si potrebbe dire che muore, non già dopo il parto, ma durante, per mezzo del suo parto, e addirittura perché nasca è necessario il suo dissolversi. Non tollera una storicizzazione perché di sé non lascia che tracce labilissime, poche scie. Eppure, e qui arrivo al paradosso, gli artisti più interessanti sono quelli che non vivono il singolo lavoro come un unicum concluso in sé, che si dissolve, ma come un tassello di un mosaico molto grande che ingloba e si nutre di altri lavori teatrali, di letture, cinema arte e soprattutto esperienze di vita, così che ogni atto artistico logora sempre di più quel confine tra arte e vita, fino a farlo sparire. Anzi col proprio operato mettono l’accento a quella e di congiunzione che diventa copula.
Arte è vita.

Sono questi i pensieri che ho un mercoledì mattina di fine novembre, mentre attraverso via Po per andare a Palazzo Nuovo, dove Marco Martinelli ed Ermanna Montanari terranno una lezione che apre una breve rassegna: Luci sulle Albe.
Oltre all’incontro all’università, la rassegna prevede la proiezione di due film di Marco Martinelli, ER e Fedeli d’Amore, laboratori per giovani attori alla Casa del teatro Ragazzi e si concluderà sabato 25 proprio al TRG con un lavoro scenico, Pasolinacci e Pasolini.
Questa rassegna organizzata in collaborazione con l’Università di Torino testimonia un lungo rapporto di amicizia stima e scambio tra la compagnia Teatro delle Albe e i docenti e gli studenti universitari.
E dà prova dell’università come un luogo poroso, permeabile in cui si crea un nutrimento reciproco tra artisti e studiosi, smontando ogni luogo comune su arroccamenti e chiusure dell’ambiente accademico: lo studio è cosa viva.

Da sinistra: Armando Petrini, Ermanna Montanari, Marco Martinelli e Mariapaola Pierini

Arte e vita, dunque. Quella di Marco Martinelli ed Ermanna Montanari, dura da quaranta anni, nasce dal loro amore di sposi e amore per il teatro. Da quando hanno dato vita alla compagnia Teatro delle Albe, coniugano una ricerca artistica rigorosa, complessa a un impegno civile che affonda le radici nei numerosi progetti nelle periferie con ragazzi ai margini.
Per un percorso che dura così a lungo, ed è ancora vivo e robusto occorre avere gli occhi fissi sulla fiamma del desiderio. Chi è stato a meditare davanti a un fuoco sa quanto può essere profonda l’esperienza, e occorre avere quelli che il fuoco lo alimentano: dei maestri ispiratori tenendo viva e alta la fiamma illuminano il cammino: tra questi, oltre a Carmelo Bene, Leo De Beradinis, Simone Weil, Don Milani, c’è Pier Paolo Pasolini. A lui è dedicato il lavoro in scena sabato sera.
Il lavoro nasce per radio 3, vede sul palco entrambi, Martinelli e Montanari, cosa rara. Di consueto in scena va solo Ermanna Montanari e gli altri attori della compagnia, Marco Martinelli è il regista. 

I due sono accompagnati dal compositore e contrabbassista Daniele Roccato, una collaboratore assodato della compagnia, che cura anche i live electronics. Tra le suggestioni musicali Bach, il gregoriano e la canzone Bella Ciao.
Si tratta di un lavoro semplice: spazio vuoto e leggìo a vista. Martinelli legge brani narrativi in cui ripercorre le principali tappe della loro biografia artistica intrecciandole all’amore e alla gratitudine per Pasolini. Un amore che non elude i nodi e le frizioni del rapporto con un artista come Pasolini che ha vissuto la contraddizione nella carne, e le cui fratture e i cui opposti non riesco mai a trovare soluzioni e sintesi.
Si sottolinea moltissimo la centralità del corpo in Pasolini, la necessità e il bisogno di scendere in campo affondando le mani nel fango, in un’avventura intellettuale e civile che ha nell’eros il suo cuore pulsante. Un eros inscindibile in Pasolini dal suo doppio, lagape pedagogico.
In questo modo le Albe ci mostrano quanto il poeta sia vicino a don Milani. Due figure in prima linea, mai al sicuro, sempre esposti al contagio, ci guidano e ci insegnano a vivere il corpo e a metterlo in relazione.

Ermanna Montanari affianca i racconti di Martinelli dando voce al Pasolini di Poesia in forma di rosaÈ impossibile restituire una descrizione delle esecuzioni di Montanari in scena. Per farlo devo contraddirmi. Ho iniziato dicendo che una storia del teatro è impossibile, eppure se l’atto teatrale nasce e muore nel suo farsi, continua a viverre  dentro il corpo – come fiume carsico – degli attori che ne hanno serbato memoria e ne danno il testimone.

Per me Ermanna Montani è la testimonianza della ricerca vocale nata con la maschera nella tragedia greca, da lì arriva a  Memo Benassi, da Benassi a Bene, e da Bene a noi, grazie a quest’attrice che dell’apparato fonatorio conosce ogni anfratto e tiene viva la ricerca sulla vocalità nella scuola che dirige a Ravenna, Malagola che ha sede in un palazzo storico che era in disuso.

Eppure, se questo lavoro sembra cucito alla perfezione per il buio del mezzo radiofonico, in teatro sembra perdere una parte della sua forza: a volte il volume della musica copre un po’ le parole di Marco Martinelli, il corpo che è centrale nei discorsi appare un po’ sacrificato da una versione radiofonica detta in sala.
Del Teatro delle Albe custodisco la memoria di due lavori molto riusciti: Va pensiero e Fedeli d’amore. Pasolinacci e Pasolini non è forse il punto di ingresso migliore nella loro storia per chi li vede a teatro per la prima volta.
Di una cosa però sono profondamente grato al Teatro delle Albe nel lavoro di sabato sera.
Hanno parlato dell’eredità di Pier Paolo Pasolini, un’eredità che va difesa e coltivata senza fare santuari intoccabili. Senza costruire quella memoria ingombrante e statuaria che diventa nostalgia negativa, e si staglia contro ogni possibilità di costruire un futuro più giusto. E bisogna difendere con forza attivisti del presente che svolgono impegno civile, difenderli dai continui tentativi di esautorarli, in nome di una nostalgia che è il cavallo di troia per il disimpegno, il miglior modo per non raccogliere l’eredità pasoliniana è volgersi a un monumento troppo grande così da avere la scusa per dare le spalle al futuro.
Alla fine della serata una ventata di teatro arriva turbinosa: tutta la sala si accende dai versi di Majakovskij lanciati da Marco Martinelli, e io ve li rimbalzo:

Ascoltate!
Se accendono le stelle,
vuol dire che qualcuno ne ha bisogno?
Vuol dire che qualcuno vuole che esse siano?
Vuol dire che qualcuno chiama perle questi piccoli sputi?

Progetto a cura di Armando PetriniMariapaola PieriniFederica Mazzocchi (Università di Torino, Dipartimento Studium, Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione, DAMS e CAM) 

in collaborazione con Albe / Ravenna TeatroFondazione Teatro Ragazzi e Giovani OnlusMuseo Nazionale del Cinema di Torino

comitato organizzatore: Fabio Acca (DFE), Leonardo Mancini (Studium), Federica Mazzocchi (DFE), Armando Petrini (Studium), Laura Piazza (Studium), Mariapaola Pierini (Studium), Elio Sacchi
(Studium), Matteo Tamborrino (Studium), Paola Zeni (Studium).

Giuseppe Rabita

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