HANDLE WITH CARE – FUNA

Archivio emotivo di memorie mai vissute

Nell’ambito della seconda edizione del Nice Festival Torino, con una fitta programmazione durante l’intero mese di dicembre, è andata in scena la prima nazionale dello spettacolo Handle with care del collettivo femminile FUNA presso il Café Müller, teatro polivalente nel centro di Torino. Il festival propone una selezione di lavori di artisti e compagnie di calibro internazionale che spaziano dal circo al teatro, fino alla danza e alla musica dal vivo. Il tema di quest’anno è quello dell’identità e delle differenze, che trova nel circo contemporaneo la massima espressione dell’autenticità: concetto molto presente nella ricerca di FUNA. Il collettivo, nato a Napoli nel 2018, si muove tra la danza e il circo contemporaneo, le discipline aeree, la danza verticale e il teatro fisico al fine di ampliare i confini espressivi nel rapporto tra corpo, voce e spazio. Le performance sono spesso concepite per spazi scenici non convenzionali e outdoor come musei, luoghi pubblici, aree ex-industriali.

Dal dialogo con le tre coreografe ed interpreti Maria Anzivino, Ginevra Cecere e Viola Russo, è emerso che questo primo studio è stato concepito e pensato come un site specific per gli spazi del Café Müller a seguito di un problema tecnico che ha ostacolato la messa in scena del progetto precedentemente proposto.

“Avevamo immaginato di portare tutt’altro, una carrucola umana a una corda in tre, ma trovate nello spazio abbiamo capito che non era realizzabile e ci siamo reinventate facendoci ispirare dallo spazio” (Ginevra Cecere)

Fiduciose del processo e aperte a nuove possibilità “abbiamo lavorato su un concept visivo e su un materiale corporeo che potessero essere messi in scena in diversi spazi senza perdere di significato”, aggiunge Maria Anzivino, portando tutto il bagaglio multidisciplinare e sperimentale di cui si nutre il collettivo. Un bagaglio pieno di esperienze, proprio come quel sacco trascinato a fatica da uno dei primi corpi che intravediamo attraversare il corridoio di luce a lato della scena. Sarà una scena perlopiù buia che lascia intravedere solo qualche porzione di spazio e di corpo alla volta. Fin dai primi minuti, viene svelato un doppio livello di narrazione tra l’ampio spazio che divide il palco dal pubblico ed il palco stesso, livelli che si moltiplicheranno esponenzialmente attraverso un raffinato uso dello spazio e della luce.

Nessuna porzione di spazio viene risparmiata: pavimento, pareti, palco, corridoio laterale e in un certo senso anche il soffitto con l’uso di corde che si trasformano ora in lampadario, ora in imbrago per la danza verticale. Le luci, spesso vere e proprie torce nelle mani delle performer, svelano nuove sezioni di corpo, nuove prospettive e si muovono nello spazio disegnando traiettorie da seguire per lo sguardo del pubblico, come interruttori che si spengono e riaccendono a distanze spaziali e temporali differenti.

“Era proprio quello che volevamo arrivasse al pubblico, nelle sue molteplici possibilità di interpretazione, quasi a ricreare una confusione e una non cronologia” (Viola Russo)

Sono tre corpi messi a nudo, che si mostrano nella loro singolarità e collettività trasformandosi in un unico corpo come fasi di vita della stessa donna, archivio della memoria sua e delle generazioni passate. Questi corpi abitano uno spazio intimo privo di riferimenti, incarnando le vulnerabilità nascoste del loro universo interiore.
Siamo nella nostra realtà, frammentata e sfuggente ma allo stesso tempo sospesa in una dimensione onirica fatta di istanti evocativi come ricordi lontani un po’ sfocati.


Quel pesante sacco, metafora di tutto lo spettacolo, si ritrova ora appeso magicamente come una pentolaccia. Ben presto il pavimento si riempirà di spazzatura di plastica ma altresì di quelli che sembrano essere residui di festoni e coriandoli: i corpi si ritrovano “immersi in un mare che ti culla e poi ti vuole ingoiare” (Viola Russo). La danza si fa meno irrequieta ed individualista in questo grande marasma: wake up and dance ci suggerisce la canzone che accompagna i loro corpi, le uniche parole che vengono esternate. E così si riaccendono le luci e ci svegliamo dal sogno.

“Ci piace pensare ad Handle come un progetto che si adatta ai luoghi che lo ospitano, proprio come è successo a noi quando poi l’abbiamo creato. […] Handle è stato un processo creativo delicato, faticoso, meraviglioso. Cercare di instaurare una connessione 360° e riporre una reale fiducia nell’altro senza violentarsi artisticamente nel profondo e senza cedere ad egocentrismi sono state alla base della costruzione di Handle ed è per questo che dico meraviglioso perché desta meraviglia perché per me è abbastanza raro” (Maria Anzivino)

Handle with care ci invita ad accettare l’impossibilità di riuscire a cogliere i dettagli dei nostri ricordi più lontani, a meravigliarci anche quando tutto sembra sconnesso e a prenderci cura delle nostre fragilità.

Giorgia Ponticello

Regia e Coreografia Maria Anzivino, Ginevra Cecere, Viola Russo
Musiche originali Julia Primicile Carafa
Produzione FUNA
Coproduzione Blucinque
Con il sostegno di Fondazione CirkoVertigo e ArtGarage

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