Alla ricerca dei luoghi in cui le pagine di Marx diventano persone, spazi, accadimenti
Un’operaia addetta alle pulizie, tre operai metalmeccanici, un attore. In scena attrezzi e carrelli di una fabbrica di automotive e un megafono. Quanto è labile il confine tra finzione e realtà?
La compagnia bolognese Kepler-452 propone come spettacolo il risultato di un esperimento sociale e creativo: dare corpo a Il Capitale di Karl Marx. I registi e drammaturghi Enrico Baraldi e Nicola Borghesi consumano il grande classico di filosofia ed economia, poi la domanda sorge spontanea: dov’è il capitale oggi? In quali corpi si incarna? Chi danneggia fino allo sfinimento? La nostra Costituzione stabilisce che la proprietà privata assicuri una funzione sociale e sia accessibile a tutte/i. Ma esattamente qual è la funzione sociale dello sfruttamento, dei licenziamenti a tappeto, dell’abbandono? La riflessione critica attorno all’opera stimola la necessità di un’azione teatrale che prenda vita da un’azione reale. Dunque conciliare l’iniziativa artistica con il tessuto sociale attuale è l’inevitabile strada da percorrere per cercare la risposta. E la compagnia la trova in uno spazio, in donne e uomini che occupano quello spazio, nella fisicità di un ambiente e di persone: nell’autunno del 2021 Baraldi e Borghesi fanno il loro ingresso nella fabbrica occupata dal collettivo lavoratori GKN di Campi Bisenzio e chiedono alle/i occupanti la possibilità di vivere del tempo lì con loro al fine di raccogliere materiale per il prossimo progetto teatrale.
L’arco narrativo ripercorre le tappe fondamentali della vicenda: la mattina del 9 luglio 2021 422 lavoratrici e lavoratori vengono licenziate/i tramite email. Al di là delle vicende che riguardano il caso in sé (l’occupazione permanente, la creazione di una mensa e di un ufficio propaganda, la convocazione di assemblee, la resilienza, la proposta di un piano di reindustrializzazione), sul palcoscenico ciascuna/o racconta un pezzo di sé, di come la sua vita sia cambiata dopo aver perso il lavoro, del tempo trascurato e che si desidera riconquistare. Evidentemente c’è un sesto attore, antagonista della storia, di cui non si fa menzione, fin quando il flusso di coscienza di un operaio raggiunge il limite dell’esasperazione: il tempo.
Aleggia come una presenza fantasmagorica nell’atmosfera della sala, si impone come sostanza nociva e disturbante, almeno questa è la sensazione del pubblico, intossicato e stordito dal fumo presente sul palcoscenico durante i singoli interventi di Francesco, Tiziana e Felice, fino al monologo delirante di Borghesi.
Dialoghi e battute alternate creano momenti di unione e collettività; mentre la manipolazione e gli spostamenti degli oggetti, a loro volta, scandiscono il ritmo, rendono dinamica e interattiva l’azione e sanciscono i passaggi di scena (determinati anche da entrate ed uscite dispersive). L’allestimento scenico altro non è che una riproduzione della fabbrica, come è palesato dalle immagini e dai video proiettati sullo schermo a tendine che fa da sfondo, dagli attrezzi, arnesi utilizzati durante la fase di montaggio, e dalle uniformi.
Scenografia e costumi sono codici autentici e personali, eppure resi performanti. Esemplare il momento della “(s)vestizione” di Tiziana, la quale racconta la sua esperienza di donna e lavoratrice in un mondo di uomini. Additata come “quella”, senza nome né titolo né identità, prima era disprezzata dagli operai, i quali la consideravano una spia dei padroni; poi dai dirigenti, che quando si sono accorti della sua progressiva integrazione con i colleghi e del pericolo che tale integrazione avrebbe potuto costituire al loro potere di controllo, l’hanno relegata a pulire i cessi.
Tiziana quindi accompagna la confessione a precisi gesti: si toglie il gilet nero d’ufficio e indossa il classico abbigliamento da lavoro, l’uniforme catarinfrangente, mentre qualcuno da dietro spinge un carrello che trasporta straccio, scopa e sacco dei rifiuti.
Probabilmente il pubblico che viene vedere Il Capitale non è necessariamente un pubblico che frequenta assiduamente il teatro. Sarà un pubblico di cittadine e cittadini solidali alla lotta GKN. L’insurrezione GKN, oltre che essere un’esemplificazione di cosa voglia dire avversare il sistema oggi, non solo esce fuori dai confini territoriali, ma si estende anche in molti altri ambiti. Allora riunire la cittadinanza a teatro per parlare di GKN significa ri-stabilire quell’essenziale e concreto rapporto tra teatro e vita, quindi politica, che io credo le giovani generazioni richiedano e pretendano oggi. Riunire la cittadinanza a teatro per parlare di GKN significa potenziare quell’ormai tanto lontano (cronologicamente, o forse anche moralmente?) principio originario del teatro come luogo di istruzione, formazione ed educazione dell’individuo. Riunire la cittadinanza a teatro per parlare di GKN significa convocare un’assemblea con personalità attive, partecipi della cosa comune, predisposte all’ascolto.
L’azionariato popolare in questo modo si allarga orizzontalmente, non solo sul piano pratico dell’attività concreta, cioè rivendicando l’ “intervento pubblico qui ed ora” (l’appello finale che si legge sullo striscione steso in proscenio); ma coinvolgendo davvero tutte le parti, diventando una lotta di dominio pubblico esercitata in quanti più spazi possibili, anche quelli deputati alla valorizzazione culturale.
di Alessandra De Donatis
un progetto Kepler-452
drammaturgia e regia Enrico Baraldi e Nicola Borghesi
con Nicola Borghesi e Tiziana De Biasio, Francesco Iorio, Dario Salvetti, Massimo Cortini / Mario Berardo Iacobelli / Alessandro Tapinassi – Collettivo di fabbrica lavoratori GKN
luci e spazio scenico Vincent Longuemare
sound design Alberto Bebo Guidetti
video e documentazione Chiara Caliò
consulenza tecnico-scientifica su Il Capitale di Karl Marx Giovanni Zanotti
assistente alla regia Roberta Gabriele
macchinista Andrea Bovaia / Andrea Bulgarelli
tecnico luci e video Giuseppe Tomasi
fonico Francesco Vacca
elementi scenici realizzati nel Laboratorio di ERT
responsabile del laboratorio e capo costruttore Gioacchino Gramolini
scenografe decoratrici Ludovica Sitti con Sarah Menichini, Benedetta Monetti, Rebecca Zavattoni
ricerca iconografica Letizia Calori
produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale
si ringraziano Stefano Breda e Cantiere Camilo Cienfuegos di Campi Bisenzio