Finalmente l’Attore!
Da spettatrice teatrale, se raschio la superficie di certe rappresentazioni e provo ad indagarne i processi, mi capita di scorgere quel fare proprio dell’attore-burattino (e del regista-burattinaio). È una questione che ha a che fare non con il personaggio ma con l’attore. Smorzato e trattenuto, è appeso ai fili controllati dalla mano registica che – predisposto un disegno – li manovra dall’alto. Una riflessione che intenzionalmente estremizzo per giungere al punto: laddove il teatro si esaurisce in un compiacimento registico andrebbe, forse, ripensato. Se la regia si fa presenza ingombrante – cioè se riduce l’attore a mezzo esecutivo di un’idea aprioristicamente fissata – la premessa è verosimilmente quella di un teatro rigido e asettico.
Piccola Compagnia della Magnolia firma un lavoro vivo, a tratti anarchico, che anziché precisarsi macchinosamente si manifesta come urgenza artistica. A partire da una necessità espressiva la Compagnia edifica la sua creazione. Finalmente il Teatro! Neanche un accenno di intellettualismo o falsi manierismi. È presenza vissuta, essenziale e libera da abbellimenti. Tutto rifugge la menzogna.
Hotel Borges non cerca nella novità il suo senso, piuttosto recupera una certa tradizione teatrale (non solo Petrolini: anche Cocteau, Artaud e – mi pare – un’eco beniana derisoria e autoparodica) che coniuga ad elementi di grande freschezza creativa in un rapporto dialettico originale e coraggioso. Davide Giglio lavora con – e non per – Giorgia Cerruti e riporta l’attore al suo centro. L’intero spettacolo è pensato per questo corpo scenico: il personaggio prende vita dalla fisicità dell’attore, dalle sue mani nervose e dai suoi occhi disperati e infantili. Il mondo istrionico e onirico che Fortunello ci racconta è sinceramente sentito da Giglio, che se lo toglie di dosso e lo orienta verso di noi, seduti a pochi passi dal suo “Labirinto di Cnosso”.
Via le poltrone di velluto rosso! Nessuna «regalità di rayon» (cito Julian Beck, nemico per eccellenza della poltrona di velluto). All’Off Topic lo spazio è raccolto e le sedie scricchiolano. Non ci è consentito essere una platea gelida e assopita. Via la quarta parete! Alla Dario Fo, la “tenda” di demarcazione è squarciata. Davide Giglio ascolta il suo pubblico: Fortunello ci vede – anzi, ci guarda – e non ci taglia fuori. Si mostra e si racconta in un gioco quasi confidenziale che pur non precisandosi in slittamenti veri e propri – ma in una meno diretta, anche se non meno interessante, forma di interazione col pubblico – ci ricorda la nostra condizione di spettatori (attivi) di un accadimento teatrale. Via l’ordinaria rappresentazione! Di Petrolini non c’è soltanto la macchietta. Fortunello porta con sé il ridere amaro, il grottesco, la comicità corporea (“alla Totò”). Seppur entro il confine della rappresentazione – se con questo termine intendiamo l’attore che rimanda ad altro da sé – il Personaggio Fittizio nel senso più istituzionale viene meno: Giglio non confeziona né ingabbia Fortunello. Anzi, ricorrendo ad un sottile ma efficacissimo gioco con la finzione, si rivela nel suo essere attore. Un gioco tragico anche nelle sue punte più comiche, che conserva quel «ridere ridere ridere» di Gastone e recupera una forma di umorismo che viene da lontano, aderente alla vita molto più del solo tragico/solo comico.
Sono un tipo: estetico asmatico, sintetico, linfatico Amo la Bibbia, la Libia, la fibbia delle scarpine delle donnine carine cretine. Sono disinvolto. Raccolto. Assolto "per inesistenza di reato". Fortunello, Ettore Petrolini.
Via gli orpelli! Le linee di codice esterne all’attore sono al grado minimo. È Fortunello ad attribuire un completamento di significato tanto alla scenografia – appena accennata e disponibile al senso (Deleuze) – quanto alla musica (quel modo smanioso di canticchiare Meraviglioso di Modugno conferisce al brano accenti più amari e disillusi) e ai pochissimi effetti di luce (quasi il grado zero semantico, sufficiente a far vedere ed efficace nell’enfatizzare la centralità attorica). La spoliazione del “decorativo” sottolinea, per contrasto, una corda recitativa che è tutta sopra le righe e che Giglio restituisce attraverso una costante tensione corporea con cui trattiene, e poi rilascia, picchi di esasperazione per l’intera ora di spettacolo. I codici scenografico, sonoro e luministico fanno quindi da supporto all’attore, che rimane perno di un teatro che si rivela qui e ora nella sua semplicità (nel senso non di mediocrità ma di lavoro sul necessario): tolta “la bella scenografia” e “il bel costume” (un completo bianco che pare giungere direttamente dai palchi del Varietà) e tolto quel rigore stilistico accademico, resta un profondo lavoro attoriale, acceso da una scrittura/regia che sa ascoltare. Rifiutando forzature nella coincidenza attore-personaggio, Giglio non lima via le sue spigolosità (si percepisce un disinteresse rispetto a quell’entrare a tutti i costi in un’idea prestabilita di personaggio) bensì ne fa peculiarità espressiva – irrequieta e convulsa – in cui Fortunello può incanalare la sua intima fragilità.
Una fragilità sofferta e parodica che suscita il riso nel pubblico – un riso velenoso certamente – e al contempo ne pungola la mente: una forma di “brechtiano” divertimento genera interrogativi nella coscienza. Torno a casa con la mia «pietra d’oro nella testa»!
La terra sotto i piedi di Fortunello, sospesa la sua collocazione entro l’universo della “rappresentazione”, è icona del Teatro fertile che Piccola Compagnia della Magnolia incarna.
Meraviglioso
Perfino il tuo dolore
Potrà apparire poi
Meraviglioso
Chiara Ceresola
uno spettacolo di Piccola Compagnia della Magnolia
per la stagione Fertili Terreni Teatro
in collaborazione con Piemonte dal Vivo
scrittura e regia di Giorgia Cerruti
in scena Davide Giglio