Ha svegliato nervi e cuore!
Per dissotterrare il sentimento e farci udire l’urlo di dolore, l’immedesimazione (dell’attore nel personaggio e dello spettatore nel personaggio) è l’unica via percorribile?
Non riesco ad abbandonarmi al sentimento: ecco, forse, la dimensione politica di Cenci. La denuncia è fortissima, certamente. Ma se per pungolare le coscienze e scuotere gli animi fosse sufficiente la cronaca dei fatti (il “che cosa”) allora perché ricorrere a quello strumento, potente e pericoloso, che è il teatro? Basterebbe un testo ben scritto sulla storia di Beatrice Cenci. Il punto è che qui a essere politico è il “come”, cioè il modo in cui Piccola Compagnia della Magnolia sceglie di restituire la vicenda sulla scena.
Attinge dalla realtà dei riferimenti che sintetizza in forme tipiche, tutte giocate sulla manifestata finzione di ciò che sta accadendo. Straniato e straniante a tratti, lo spettacolo non consente allo spettatore di accedervi emotivamente fino in fondo: una parte di lui non può che restare vigile, distaccata, sollecitata a ragionare criticamente. La crudeltà – nel senso artaudiano – non può coincidere con l’illusione di realtà (non si cerca una verosimiglianza, una riproduzione mimetica, della violenza). Ad essere perturbante – e necessario – è l’accento grottesco e spiazzante di cui quella realtà, tragica nella sua dimensione storico-sociale, è nutrita sul piano della rappresentazione. Proprio laddove quel tragico è sospeso e arricchito di elementi aspri e contraddittori, sopraggiunge la riflessione intima e profonda su quella ferita che si vuole scalfire. Un lavoro che decostruisce, sfronda, e nel farlo affila la lama, che arriva a noi decisa e tagliente.
La scena si svela per quello che è, e cioè luogo degli attori. Non pretende di contenere la vita, non è questo il compito del teatro. Maschere, microfoni e cambi di costume a vista: si sceglie di mostrare la convenzione del gesto teatrale, e funziona.
Funziona perché in questo sapore esplicitamente finto si riconosce l’autenticità di un teatro che non cerca rifugio nel formalismo esteriore, che non si compiace e, anzi, si mostra sempre un po’ derisorio nei confronti di se stesso.
Non appena mi avvicino empaticamente – nel senso di “soffrire con” – la mente è richiamata dalla presenza dell’attore-portavoce, ben riconoscibile anche dentro l’universo rappresentativo, che non coincide mai del tutto con il personaggio/tipo: c’è uno scarto, una qualche sfasatura, che gli impedisce di entrare nella parte fino alla punta dei capelli (Mejerchol’d), di perdere se stesso, di confondersi.
Attraverso questa lucida, e ben calibrata, distanza critica, la drammaturgia d’attore sorveglia l’impatto emotivo dei fatti, e delle parole con cui questi sono testimoniati, per tirare fuori un sottotesto che costringe lo spettatore a mettere in discussione ciò che gli viene presentato. Come in Hotel Borges (2023), lo sguardo registico di Giorgia Cerruti, di cui spicca in questo lavoro la forza attoriale, si conferma interessato a porre l’attore nelle condizioni migliori per esprimersi artisticamente, affinché possa far emergere il proprio temperamento e la propria lacerazione.
Torino, sera del 15 ottobre 2024, pagina di diario:
Esco dal Teatro Gobetti. Con me porto il punto di vista della Compagnia, nitido e pungente. Forse è questo che mi interessa di un attore: la sua presenza (corpo-mente) oltre il personaggio, oltre il testo, oltre la rappresentazione.
Il canto mi accompagna a casa.
Lara, lallara, lallara, lallallà
Lara, lallara, lallara, lallà
Te possino dà tante cortellatePe’ quante messe ha dette l’arciprete
Chiara Ceresola
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È andato in scena Cenci, il debutto atteso della Piccola Compagnia della Magnolia, che con attenta e rispettosa regia ha saputo restituire una testimonianza sulla storia della famiglia Cenci.
Beatrice e Lucrezia sono unite non da un legame di sangue ma da un destino violento dove l’ingiustizia regna spavalda. 1599, questa è la data che ci ricorda i fatti, ma lo fa portandoci in un Rinascimento contemporaneo che non può che far riflettere sull’oggi e sul domani.
Ad accompagnarci in questo dramma è la figura di Artaud, interpretato da Davide Giglio che riesce magistralmente a farci arrivare quel teatro della crudeltà:
Tutta l’umanità vuole vivere, ma non vuole pagarne il prezzo e il prezzo è quello della morte. – Antonin Artaud
Ma qui il coraggio di morire c’è, e anche quello di denunciare i soprusi e le violenze subiti dalla giovane Beatrice nel Rinascimento, un periodo così lontano ma con una storia così vicina, resa contemporanea dalla regia di Giorgia Cerruti, che interpreta Lucrezia lasciando trasparire la sua colpa, il silenzio e l’inconsapevole complicità con il marito, quella di aver lasciato correre sui vizi trascurabili di Francesco, fino a che l’amore per la figliastra le ha scosso la coscienza.
Il ritmo dello spettacolo incalza portandoci ad un finale crudo e senza fronzoli. I suoni prodotti dalla Cerruti sono come lame affilate e pugni nello stomaco, e i tre attori – Francesco Pennacchia, Davide Giglio e Francesca Ziggiotti – immobili sul proscenio, ci elencano i fatti: quelli accaduti e quelli che non dovrebbero più accadere!
Alessandra Lai
Uno spettacolo di Piccola Compagnia della Magnolia in co-produzione con Teatro Nazionale di Torino, CTB Centro Teatrale Bresciano, Sardegna Teatro, Scarti – Centro di Produzione
Presentato in collaborazione con TPE / Teatro Piemonte Europa e Festival delle Colline Torinesi
Con Davide Giglio, Francesco Pennacchia, Francesca Ziggiotti e Giorgia Cerruti
Suggestioni da Shelley, Artaud, Stendhal, Dumas, Camus, Mary Shelley, Neige Sinno, Virginie Despentes e dagli atti del processo contro Beatrice Cenci
Scrittura drammaturgica e Regia | Giorgia Cerruti
Regista assistente | Alessia Donadio
Visual Concept e Disegno luci | Lucio Diana
Maschere | Lucio Diana, Adriana Zamboni
Sound design e Fonico | Guglielmo Diana
Tecnico luci | Francesco Venturino
Costumista | Serena Trevisi Marceddu
Realizzazione costumi | Daniela Rostirolla
Danza storica | Monica Rosolen
Organizzazione | Emanuela Faiazza
Fotografie | Alessandra Lai