Andare avanti per inerzia. «Aveva creduto nella sua bontà connaturata, nella sua umanità, ed era vissuta di conseguenza, senza mai fare del male a nessuno. Si era sempre impegnata, indefessamente, a fare le cose nel modo giusto; tutto il suo successo era dipeso da questo, e lei avrebbe continuato così per sempre».[1] Conservare lo stato delle cose. Finché non c’è un rallentamento e si rompe qualcosa. «Di colpo, fu assalita dalla sensazione di non aver mai davvero vissuto in questo mondo. […] Anche da bambina, per quanto indietro si spingesse la sua memoria, non aveva fatto altro che subire».[2]
Questo sentire è ciò che accomuna le identità di Elogio della vita a rovescio, spettacolo di Daria Deflorian, attrice, autrice e regista. La sua carriera è strettamente intrecciata al mondo della letteratura, molti dei lavori con Antonio Tagliarini (con il quale Deflorian ha avuto un sodalizio durato quindici anni) sono ispirati a Annie Ernaux, vari sono gli sconfinamenti nei versi di Ingeborg Bachmann e di Pier Paolo Pasolini, nella prosa di Gabriel Gárcia Márquez o di Daniele Del Giudice. Per questo spettacolo, in scena al Festival delle colline di Torino, il punto di riferimento è Han Kang, scrittrice sudcoreana recentemente insignita del premio Nobel. Sul palcoscenico troviamo Giulia Scotti, corporeità misurata di una voce narrante che trova dei tratti identitari in In-hye, uno dei personaggi de La vegetariana. In-hye è al centro della terza parte del romanzo, è la sorella della protagonista e si ritrova profondamente turbata dalla scelta radicale di quest’ultima di rifiutare non solo il consumo di carne, ma qualsiasi contatto con essa. In-hye è costretta a sottostare alle scelte della sorella «[e] prima che Yeong-hy spezzasse quelle sbarre, lei non sapeva neppure che esistessero».[3] È il racconto di una presa di consapevolezza, durante la quale la narrazione prosegue con squarci di descrizioni paesaggistiche in cui prende corpo il pensiero martellante di aver subito tutto.
Han Kang descrive con spietato lirismo, in maniera tersa. Questa violenza del contenuto e aridità della forma viene resa in scena da Daria Deflorian con un palco bianco, scenografia minima ed essenziale. La prima battuta è il titolo a cui viene aggiunto un collegamento individuale che ci riporta subito al romanticismo occidentale, sentendo «I miei mesi con Han Kang» distogliamo l’attenzione dai ruoli sociali e famigliari, centrali per la società sudcoreana. Al centro c’è Giulia Scotti, sul palco l’identificazione tra un “io” e la sorella della vegetariana. Questo stretto legame viene raccontato attraverso parti del libro e racconti personali, si modificano le voci nello spazio, ma rimane la forte identità. Assistiamo ad un lavoro di scavo tripartito che è lo stesso che ha accompagnato Deflorian e Scotti nello studio dei libri di Kang, cioè la consapevolezza che sia necessario integrare La vegetariana con altri due libri. Per capire il legame viscerale tra sorelle è necessario leggere White book. Per comprendere la violenza, racconta Giulia Scotti nella terza parte dello spettacolo, è necessario leggere Atti umani, storia di una sparatoria a Gwangju, in Corea del Sud, nel maggio 1980. Ecco allora che ci è chiara l’origine della violenza asciutta della scrittura di Han Kang. L’alone di Storia che circonda la sua opera si fa tutto d’un tratto pesante. Sul palco viene sparso del sale, che in Atti umani assumeva un valore simbolico di cura nei confronti dei cadaveri vittime del massacro. Nella nostra memoria evoca il gesto di Scipione l’Emiliano che, dopo aver distrutto Cartagine, decide di eliminare ogni possibilità di ricrescita della città spargendo del sale. Questo si erge qui a simbolo della guerra, contemporaneamente gesto di cura verso chi non c’è più e consapevolezza dello stato delle cose di chi resta.
Durante l’incontro tenutosi al Circolo dei Lettori nei giorni dello spettacolo, l’autrice trentina legge gli appunti di lavoro. Una parte significativa di questi ha come titolo La Storia. Da Ingeborg Bachmann a Han Kang in cui Deflorian racconta che la sua prima passione non sono stati né l’arte né il teatro, ma la politica. Ricorda di quando da ragazza era profondamente convinta dell’esistenza di un’azione che potesse cambiare lo stato delle cose per tutti, una sorta di diritto alla felicità, al benessere economico per tutti. Racconta che a Bologna iniziò a versare nella brocca del teatro tutti i suoi desideri di cambiare le cose, e ora, ma in realtà nemmeno in quegli anni, non le piace il teatro politico. C’è un incontro, però, che ha cambiato la sua prospettiva. Durante gli anni che rappresentano l’apice della sua carriera Bachmann rilascia un’intervista, sono anche gli anni della guerra in Vietnam e le viene chiesto come mai non si occupasse della guerra e la sua risposta muove qualcosa dentro Deflorian. Bachman risponde che si stava occupando della guerra, quella che ogni giorno avviene dentro gli esseri umani. «Ognuno di noi viene ucciso, è stata, a ucciderlo, la crudeltà dell’altro».
Elogio della vita a rovescio si colloca circa a metà della programmazione del Festival delle colline e ne segna uno snodo importante. Gli spettacoli sono accomunati dall’attenzione sui confini, le zone d’ombra tra le persone e conseguentemente i conflitti, in questo il punto nodale è un’interpersonale quotidianità. La forza dello spettacolo, che è la forza della profonda riflessione sui testi, è la consapevolezza di una quotidianità pervasa da questa sofferenza violenta. Il destino di In-hye non è tragico e isolato, l’identità con l’io in scena è forte da subito, la consapevolezza di una vita vissuta passivamente si manifesta in modo pervasivo, emerge nell’attesa del sollevarsi delle serrande: un gesto quotidiano che diventa momento di esitazione e rivela la nostra comune vulnerabilità.
Questo senso di comunanza viene definito da Deflorian come la «comprensione molecolare della necessità dell’atto creativo». È proprio questo che le sta permettendo di concentrarsi con particolare attenzione su La vegetariana insieme alla sceneggiatrice Francesca Marciano e a un notevole gruppo di attori in scena (oltre a lei ci sono Paolo Musio, Monica Piseddu e Gabriele Portoghese), per la realizzazione di un adattamento teatrale che debutterà a fine ottobre a Bologna e sarà al Teatro Astra dal 28 gennaio al 2 febbraio 2025.
Beatrice Giacomazzi
Un progetto di Daria Deflorian condiviso con Giulia Scotti
Liberamente ispirato all’opera di Han Kang
Con Giulia Scotti
Collaborazione alla drammaturgia Andrea Pizzalis
Aiuto regia Chiara Boitani
Disegno luci Giulia Pastore
Disegno del suono Emanuele Pontecorvo
Direzione tecnica Alessio Troya
Regia Daria Deflorian
Produzione, organizzazione, amministrazione Valentina Bertolino, Silvia Parlani, Grazia Sgueglia
Comunicazione Francesco Di Stefano
In collaborazione con A.D., TeatroBasilica, Lottunico, Carrozzerie | n.o.t
Fotografie Andrea Pizzalis
Illustrazioni Giulia Scotti
[1] HAN KANG, La vegetariana, Adelphi, Milano 2016, p. 158.
[2] Ibidem
[3] Ivi, p. 141.