SAHARA – CLAUDIA CASTELLUCCI

L’essenzialità è una condizione nel teatro sempre difficile da maneggiare, ma è proprio ciò che Claudia Castellucci fa, alla sua quinta presenza al estival, insieme alla compagnia Mòra. In Sahara riduce il teatro al grado zero, in scena ci sono solo tre elementi: corpo, luce e suono.

La scena iniziale delinea già l’atmosfera che accompagnerà tutto lo spettacolo: la platea e il palco sono immersi nel buio e nel silenzio quando la luce di una torcia inizia ad illuminare un attore sullo sfondo. Non appena il palco diventa più visibile, si nota la presenza di sei attori in uno spazio completamente vuoto, i loro vestiti sono rovinati, hanno colori tenui e di tonalità di marrone. Questi sono i colori protagonisti dello spettacolo: sembra di trovarsi in un deserto, intorno a loro non c’è nulla, la luce è di un colore caldo e le immagini non sono del tutto nitide, c’è del fumo che rende l’ambiente “opaco”, come se fossero immersi nella polvere o nella sabbia. 

A questa idea di ritorno alle origini crea contrasto il suono, non c’è musica, ma rumori a tratti fastidiosi e disturbanti, di cui non si riesce a comprenderne l’entità: a volte sono rumori della natura come pioggia o rocce che si sgretolano, oppure rumori metallici e un’unica volta si riesce a distinguere una voce che pronuncia delle frasi. Questi suoni sono presenti per tutta la durata dello spettacolo, ma non si legano alle azioni compiute dagli attori, anzi c’è un distacco tra le due parti, solo poche volte il corpo segue il suono, la maggior parte del tempo quest’ultimo domina forse un po’ troppo, andando a sovrastare una scena già carente di elementi.

La luce, invece, a differenza del suono, si va ad unire ai movimenti degli attori. Grazie al contrasto buio/luce e con il palco mai del tutto illuminato, si crea un gioco di ombre, in particolare lo si può notare durante una scena dove il buio era protagonista e l’unica fonte di illuminazione era una luce mobile che pendeva dall’alto e che un attore muoveva seguendo il gruppo.

Ciò che lo spettacolo vuole mostrare non è del tutto chiaro, potrebbe essere l’accadimento delle cose nella vita di sei persone in un contesto come il deserto, fatto di momenti di collaborazione, ma soprattutto di momenti di solitudine sia del gruppo che si ritrova isolato in uno spazio vuoto, ma anche del singolo che nonostante la compagnia l’unico su cui può contare è se stesso e deve avere a che fare con i suoi pensieri che contemporaneamente possono essere salvezza e distruzione, da cui però non può scappare.

Lascia spazio a interpretazioni diverse, ma anche confusione e lo spettatore osservandoli potrebbe provare curiosità, empatia, ma anche distacco, indifferenza. Non c’è comunicazione verbale tra loro, solo tramite il corpo, non c’è uno sviluppo delle azioni, anzi con il tempo diventano monotone fino a risultare a tratti noiose. La lentezza generale dello spettacolo porta all’attesa, la stessa attesa che vivono anche loro nella speranza che qualcosa possa accadere. 

Silvia Revelli

Danza della Compagnia Mòra diretta da Claudia Castellucci

con Sissj Bassani, Silvia Ciancimino Guillermo de Cabanyes, René Ramos, Francesca Siracusa, Pier Paolo Zimmerman

Coreografia Claudia Castellucci

Musica Stefano Bartolini

Autore delle Luci Andrea Sanson

Abiti Woojun Jangt

Tecnica Francesca Di Serio

Direzione alla produzione Benedetta Briglia

Assistente alla produzione Valeria Farima

Amministrazione Michela Medri, Elisa Bruno, Simona Barducci

Produzione Societas, Cesena

Co-produzione TPE – Teatro Piemonte Europa / Festival delle Colline Torinesi

Con il sostegno di UBI Unione Buddhista Italiana, Triennale Milano Teatro

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