26.01.2019 Fertili Terrreni Teatro – Torino
Specchio specchio della mie brame chi è la più bella di tutto il reame? (Jacob e Wihelm Grimm)
La bellezza è un’invenzione (che implica innanzitutto creatività) oppure è una scoperta (che implica innanzitutto contemplazione)? (Vito Mancuso)
Ho lasciato passare un po’ di tempo per far decantare nel mio corpo (archivio) l’esperienza di questo spettacolo prima di provare a lasciarne traccia attraverso un linguaggio altro, che per sua natura manifesta l’inevitabile corruzione di una “verità” che può essere restituita solo nella sua relatività e alterità.
Ed entriamo così a pieno titolo in uno dei temi fondamentali della nota fiaba: la costruzione dell’identità, attraverso l’interrogazione di una “verità” che si vorrebbe assoluta ma che non può che essere relativa. La fiaba che i fratelli Grimm hanno contribuito a rendere celebre, e di cui Emma Dante ci dà la sua personale visione, mette subito in evidenza come per “definire” l’identità/bellezza della matrigna sia necessario interrogare uno specchio/verità, proprio perché l’identità è “prima di tutto dialogica” come direbbe Andrée Grau. Inoltre lo specchio, interrogato, per poter dare una risposta sulla bellezza/identità della matrigna deve metterla in relazione a quella di tutto il resto del reame.
Specchio, specchio delle mie brame chi è la più bella di tutto il reame?
La domanda che la matrigna fa allo specchio ci pone nella concezione errata di credere che lo specchio sia detentore di una verità assoluta, così come assoluta sembrerebbe voler essere la bellezza della matrigna, tanto da far diventare la prassi quotidiana narcisistica dell’interrogazione dello specchio pura abitudine, dalla quale ci si aspetta la solita e assodata risposta.
Ma già nella domanda si svela un paradosso di fondo. Quello “specchio delle mie brame” dichiara una soggettività che sin da subito manifesta la parzialità di una verità che si vorrebbe assoluta e assodata, ma che in realtà non può esserlo. Quello specchio inoltre è il desiderio bramoso e illusorio di voler relegare all’eternità l’effimero.
Le scelte drammaturgiche di Emma Dante nel mettere in corpo questo momento tra la matrigna e il suo specchio evidenziano alla maniera di Dante, ironica e potente, questo paradosso. Primo fra tutti il paradosso di genere, così la femminilità della matrigna si esplicita nel suo doppio maschile attraverso un processo che capovolge l’identico della forma (il trucco e i costumi) nell’opposto della sostanza (la biologia dei corpi).
Questa è la chiave di lettura di tutto lo spettacolo: tutto è capovolto. L’alto è il basso e il basso è l’alto.
La dimensione della verticalità contrapposta all’orizzontalità per distinguere il buono dal cattivo, usata quindi in termini etici, si manifesta però capovolta rispetto al sentire comune. Così ciò che tende all’alto, al cielo (a Dio) non è puro e innocente ma è la massima manifestazione della malvagità, così come la dimensione del bello e del buono si manifesta in una sua orizzontalità a stretto contatto con la polvere (lo sporco), la terra. La casa dei nani per esempio si ottiene abbassando a terra l’arco di volta che poco prima rappresentava la casa della matrigna. La Matrigna si svela in tutta la sua malvagità innalzandosi sui trampoli. Il primo incontro tra Biancaneve e il principe si ha attraverso uno scivolone che porta entrambi a terra, l’uno sull’altra, fondendoli in un unico corpo che richiama volutamente un potenziale di fertilità (che è inoltre proprio della stessa terra) contrapposto al fondersi di quel procedere identitario tra la matrigna e il suo specchio che manifesta da contro uno sterile autoerotismo. Interessante la figura del cacciatore che, incarnando in sè aspetti negativi (è mandato a uccidere Biancaneve) e positivi (decide alla fine di salvarla) si muove con un’andatura particolare che lo porta in alcuni momenti ad accasciarsi al suolo e in altri ad innalzarsi al cielo, fino ad arrivare quasi in punta di piedi.
Ma torniamo alla relazione Specchio/Matrigna quella a mio avviso più riuscita dal punto di vista estetico e drammaturgico. Il maschile dello specchio non è una trovata di Dante perché appartiene alla fiaba, ma la sua originalità sta piuttosto nel come viene presentata questa relazione matrigna/specchio che da un’identità organica si sdoppia in un’alterità altrettanto organica. Questa idiosincrasia identitaria tra specchio e matrigna è data proprio da quell’immagine iniziale. Dal fondo della scena, attraversando la soglia di quell’arco che abbassandosi diventerà la casa dei nanetti, si manifesta un’entità che non è ancora né specchio né matrigna ma la fusione di entrambi.
Questa entità come la Dea Kalì avanza con 4 braccia, che sorreggono 4 angoli tutti diversi di una cornice dorata destrutturata, di nuovo vediamo il particolare collegato al molteplice. L’evocazione della Dea Kalì rimanda a una femminilità manifestazione terribile, aggressiva e non materna propria della stessa natura della matrigna. Gli angoli vengono sciolti, liberati da quel filo invisibile che li teneva insieme, lo specchio si “apre” e l’entità prende forma e comincia a manifestarsi e costruirsi nella sua identità/alterità. La perizia tecnica dei gesti simultanei, il gioco del dialetto volutamente incomprensibile, ma che sottolinea un’identità precisa, richiamano la cifra stilistica di Dante e concorrono a rendere unico e pienamente compiuto questo momento.
Per me lo spettacolo finisce qui, a parte le precedenti considerazioni sull’alto e il basso, la piéce si conclude nel suo inizio che racchiude in sé tutta la sua compiutezza. Di una Biancaneve evidentemente stanca che non è all’altezza della precisione chirurgica dei corpi portati allo stremo attraverso azioni forsennate a cui Dante ci ha abituato, dello sputacchiare una mela in faccia a dei poveri bambini voluti sul proscenio e coinvolti con un gioco di domande e risposte, solo per ricordarci che lo spettacolo è a loro destinato, non vale la pena parlare. In altre parole tutto il resto è noia:
• L’abito da sposa
• La mela
• Biancaneve
• I nani
• Eolo
• Il cacciatore memore di uno specchio in frantumi
• La preminenza delle arti performative rispetto a quelle rituali (escluso il momento specchio/matrigna nel quale invece l’equilibrio dei due aspetti è emblematico).
• Lo scivolone, non del principe su Biancaneve, ma di Biancaneve sull’intrattenimento da oratorio nei confronti dei bimbi spettatori
• Il <come se> per superare l’imbroglio della finzione per un rapporto mistico di fiducia con lo spettatore che viene disilluso
Ecco, di tutto questo è meglio non parlare.
Così uno spettacolo che poteva essere “fertile” rimane “sterile” come la relazione che più convince all’interno della pièce quella tra la matrigna e il suo specchio. E nella <memoria> risuona l’eco di una domanda:
La bellezza è un’invenzione (che implica innanzitutto creatività) oppure è una scoperta (che implica innanzitutto contemplazione?
Come dire l’identità si crea o si svela, si scopre? Ciò che è certo è che è imprescindibile dalla relazione con l’altro ed è così che il basso e l’alto, proprio nel loro capovolgimento e alterità, concorrono insieme alla definizione di un sé ben preciso.
- Testo e regia Emma Dante
- Scene e costumi Emma Dante
- Con Italia Carroccio, Davide Celona, Daniela Macaluso
- Luci Gabriele Gugliara
- Compagnia Sud Costa Occidentale
Nina Margeri