Dal 25 al 27 ottobre 2023, al Teatro Astra di Torino, va in scena Il Terzo Reich, installazione audiovisiva di Romeo Castellucci, accompagnata dalla colonna sonora di Scott Gibbons. L’opera, che ha debuttato nel 2021, è ospite della programmazione della 28esima edizione del Festival delle Colline Torinesi.
Il Terzo Reich prevede la proiezione dei sostantivi della lingua italiana, uno ogni ventesimo di secondo. Il risultato è la violenta e frenetica successione di parole scandite dai colpi incalzanti dell’accompagnamento musicale, composto principalmente da rumori bianchi.
La videoinstallazione è introdotta dall’apertura del rito: la coreografa e ballerina Gloria Dorliguzzo esegue una danza alla fioca luce di una candela che lo spettatore percepisce appena e avverte, più che osserva. I suoi movimenti sono accompagnati dal rumore dei vestiti che indossa, stoffe impermeabili che ricordano le coperture dei vestiti da macellaio, ma intorno a lei il silenzio e l’oscurità. Allo spezzare della colonna vertebrale presente in scena e centro del rito di accensione del linguaggio, come una coltellata inflitta alle spalle, la prima parola. “Cosa”.
Inutile cercare di leggere i vocaboli che ci colpiscono, in quanto una delle intenzioni del regista è proprio “comprimere lo sguardo sul punto critico di fusione, poco prima dell’aggancio percettivo, nello sfarfallamento che sfugge alla netta distinzione dei singoli termini”, come riporta il sito ufficiale della compagnia Societas. Castellucci trova l’ispirazione nella LTI, la Lingua Tertii Imperii, crittogramma del filologo Klemperer ad indicare il distacco della lingua del nazionalsocialismo dalla misura umana. La linea di distacco nell’opera di Castellucci è la quantità delle parole, non la qualità.
I ritmi serrati dell’installazione non permettono pause e lo spettatore, lasciato da solo nell’oscurità della sala dopo il rito propiziatorio di Dorliguzzo, avverte l’inquietudine crescere all’aumentare del ritmo di proiezione. Il pubblico è obbligato ad una comunicazione forzata e violenta che non può evitare ed è costretto al centro di una vera e propria guerra dove sono le parole ad essere rappresentative dell’aggressione. Sono prive del loro significato, riproposte nella loro serialità meccanica – questo concetto è ben presente quando vocaboli etimologicamente simili vengono riprodotte in successione, così come fossero caratteri costruiti in serie in fabbrica.
Non mancano gli espedienti per trattenere l’attenzione dello spettatore, le parole sembrano in qualche misura coreografate a ritmo di musica, si alternano in base alla quantità di lettere presenti nel sostantivo creando giochi ipnotici.
Durante la seconda parte della proiezione, sopra lo schermo, ecco accendersi e spegnersi quella che sembra essere una lampada a led da esterno, che si muove goffamente, sorretta da una figura non visibile nel buio – che all’accensione delle luci in sala si scopre essere un braccio meccanico. Appare come una distrazione, la luce intermittente localizzata completamente fuori dallo spazio scenico si muove su e giù senza grazia e non permette di comprendere se è governata da un umano – magari la Dorliguzzo si esibisce in una coreografia in quota? – o se attaccata ad una corda. E il pubblico cade in quella che è una trappola, spettatori come falene che sbattono sulla luce non trovando una soluzione al quesito, che non arriverà comunque.
L’installazione termina come è iniziata, con il graduale rallentamento dei caratteri fino al buio completo.
Interessante notare come la replica del 25 ottobre non si sia chiusa con gli applausi, come di solito si usa a teatro. Non credo sia attribuibile esclusivamente al fatto che non fossero presenti attori o attrici in scena, perché dopo cinquanta minuti di stimoli così violenti, il ritorno al silenzio e la visione delle persone che riprendono a popolare la luce ancora vibranti dal tremore delle frequenze, con numerosi quesiti riguardo l’opera appena visionata, spinge a rimanere attoniti e fermi. In sala, c’è anche chi non ha resistito ed è uscito durante la rappresentazione e chi, sopraffatto dagli stimoli stroboscopici, chiedeva “BASTA”, una richiesta che si perdeva tra i martellanti suoni di Gibbons.
La visione de Il Terzo Reich lascia smarriti, scossi dalla violenza che bombarda lo spettatore per l’intera videoinstallazione. Ci si chiede perché, ma non è necessario capirlo, è qualcosa che succede e basta, e forse Castellucci ci offre “la lezione della spaventosa, indicibile e inimmaginabile banalità del male“.
Vittima. Frutto. Orizzonte.
Elisa Comandù
di Romeo Castellucci
Suoni di Scott Gibbons
Coreografia di Gloria Dorliguzzo
Interpretazione Gloria Dorliguzzo, Jessica D’Angelo
Realizzazione video Luca Mattei
in collaborazione con Giulia Colla
Consulenza informatica Alessandro Colla
Direttrice di produzione: Benedetta Briglia
Promozione e distribuzione Gilda Biasini
Tour: Caterina Soranzo
Direzione Tecnica: Eugenio Resta
Tecnico video e luci: Rocìo España
Produzione Societas