Rita Maria Fabris racconta Altissima povertà

Venerdì 14 ottobre è la giornata che conclude l’intensa settimana di incontri, conferenze, workshop e laboratori di In Atelier. Processi creativi e dinamiche di relazione nelle “compagnie d’arte”. Rita Maria Fabris testimonia il ritorno al corpo nell’esperienza di Virgilio Sieni e della sua creazione Altissima Povertà per la città di Torino, in un racconto mitologico di nascita, passione e resurrezione attraverso cui una dimensione macrostorica si incarna nel tempo.

Il progetto coinvolge settantacinque persone dai 10 agli 80 anni, riunite in famiglie danzanti e, dunque, lavoranti in quell’atmosfera di familiarità, di incontro di generazioni, che sola permette di portare avanti progetti utopici. Il lavoro si articola in proposte di danza rivolte ad una intera comunità che, in questo modo, si riappropria del corpo e della sua storia, per poter creare una storia nuova. La relazione familiare fa parte dell’espressione artistica di Sieni fin dal 2005 quando con Osso il coreografo porta in scena suo padre per creare un percorso di incontro con una persona con cui non riusciva mai a stare. Da questo momento germoglia un ampio ventaglio di produzioni per amatori o, come ama definirle Sieni, Persone Danzanti”.

Dalla collaborazione con Mariachiara Raviola e Rita Maria Fabris, nel contesto de La Piattaforma. Nuovi corpi, nuovi sguardi nella danza contemporanea di comunità, scaturisce, così, il lavoro di creazione e trasmissione del gesto di Virgilio Sieni dal titolo Altissima povertà. Le radici di questo tipo di lavoro sono da ricercare nella danza di comunità di matrice anglosassone che, importata in Italia come danza educativa nelle scuole da Franca Zagatti, ha trovato il suo nucleo fertile a Torino grazie alla tradizione avviata qui da Bella Hutter, con la sua grande sensibilità per il corpo. Sono proprio le pratiche del corpo a Torino che permettono l’affermarsi dell’espressione corporea. Sono dunque la città di Torino e la Galleria Grande della Reggia di Venaria che ispirano il progetto, il cui senso autentico non è costruire uno spettacolo, ma proporre un’esperienza duratura, che perpetua nel tempo le nuove relazioni.

Virgilio Sieni
Virgilio Sieni

Virgilio Sieni coadiuvato da otto assistenti accompagna nella creazione otto gruppi di lavoro, in modo da restituire le potenzialità dinamiche di quei corpi, per generare tredici nuclei coreografici da dislocare lungo la colonna vertebrale della Galleria Grande dello Juvarra in una restituzione simultanea. Sieni crea una sorta di mappa corporea e dello spazio circostante descritto dagli altri corpi, fondamentale per una dimensione dinamica del movimento. Un breve video ci regala un assaggio dell’introduzione che il coreografo fa in uno dei laboratori, durante il quale egli afferma che ciascun corpo deve dare notizia della sua presenza per arrivare ad una sintonia quasi empatica con l’altro in una dimensione di ascolto continuo. La coreografia nasce da tenui pressioni esercitate sul corpo e la memoria percorre un tragitto dal corpo dell’altro come origine del proprio gesto. In questa prospettiva lo spettatore non deve avere la presunzione di vedere tutto, bensì la sensibilità di farsi accogliere da ciò che gli risuona intorno.

Incontro di generazioni
Incontro di generazioni

Altro aspetto fondamentale de La Piattaforma è stata la relazione, non sempre priva di ostacoli, con enti e istituzioni, i cui punti fondamentali sono stati l’ascolto dei bisogni del territorio con particolare riguardo al depauperamento delle occasioni di natura culturale; la cura della formazione dei giovani in relazione al fenomeno della dispersione scolastica; l’esaltazione della ricchezza interiore dell’individuo; la bellezza delle persone e dei luoghi da riscoprire in forma extraquotidiana, in modo da entrare nei luoghi d’arte con intenti performativi e non di fruizione museale; infine, il concetto di comunità come senso di appartenenza che non sia accumunato dalla percezione di un disagio ma da un intento creativo comune. Ecco, allora il senso del procedere dal microcosmo del corpo anatomico al macrocosmo del corpo sociale, così che i partecipanti sentano la coreografia come un corpo vivente; le diverse età si incontrano in un unico corpo politico che lavora, nel corso dei mesi, in costante condivisione, in una dimensione conviviale che è espressione di un’urgenza esistenziale. La testimonianza diretta di Rita Fabris è fondamentale per comprendere come i nuovi sguardi si siano tramutati in nuove relazioni solide, durature, vivificatrici, portatrici di sincera felicità e la sua personale lettura dei quattro momenti corali della coreografia è altrettanto efficace: quattro stadi della passione di Cristo, la fustigazione, l’ultimo respiro, la deposizione e la corsa alla resurrezione, immagine dell’anelito dell’umano di ricongiungersi a qualcosa di altro.

 

Lucrezia Collimato

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