IL FUOCO ERA LA CURA – SOTTERRANEO

Nel momento in cui vige sempre più la cultura del disimpegno e del disfacimento intellettuale, la compagnia del Sotterraneo al teatro Astra mette in scena Il fuoco era la cura dove l’elogio dell’Arte in tutte le sue forme s’impossessa dello spazio scenico; dalla recitazione al ballo, dal cinema al teatro, con la letteratura come punto di riferimento alto. Come afferma il filosofo Ferraris, la verità non esiste se non viene registrata. Quando ogni impronta di sapere e di civiltà viene data alle fiamme l’umanità diventa vulnerabile all’affermazione di regimi autoritari. Questo, secondo il capitano Beatty (Radu Murarasu), per un principio di uguaglianza fra individui che libera dal peso di un pensiero complesso, in un futuro distopico che stimola l’immaginazione dello spettatore.

Il titolo, fatto sgorgare dal nero dell’inchiostro di Ray Bradbury, verrà pronunciato anche dall’attore cinematografico Cyril Cusack e nel corso dello spettacolo da Radu Murarasu. La compagnia ispirandosi al celebre romanzo Fahrhenit 451, fedelmente ma con grande estro artistico fa uso di una scenografia semplice e minimale, con la divertente autoironia di un budget limitato.

La speranza risiede nel fuoco, che distrugge, ma soprattutto è momento di aggregazione, elemento scenico metaforico rappresentato da un faro posizionato al centro del palcoscenico, dove gli attori si radunano creando un cerchio, e privati dell’uso della parola si servono del proprio corpo per esprimere la ritualità di gesti comunitari (come il riunirsi in una danza che vuole citare l’arte di Matisse, e con essa il bisogno dell’uomo del ricordare la propria conoscenza).

Oltre il fuoco, elementi come libri, sedie, guerre e schermi riempiono lo spazio, garantendo un giusto connubio fra recitazione e intermezzi. I monitor di matrice brechtiana posizionati sullo sfondo del proscenio, proiettano frasi del romanzo e parole che portano lo spettatore ad una costante riflessione su ciò che osserva. In una scena in particolare, lo spettatore si ritrova a mettere in discussione le proprie conoscenze quando, come in un compito in classe, gli attori si siedono e provano a rispondere a domande a risposta multipla, rendendosi conto loro e il pubblico di quanto le proprie conoscenze siano inadeguate.

L’opera scenica rappresentata con la struttura di un libro, gioca con lo spettatore, e la tecnica degli attori fa si che tutto ciò non appesantisca la visione. Allo stesso tempo manca forse una reale interazione con il pubblico, perché questa è soltanto simulata. Nonostante questo, gli attori sin dal prologo cercano un contatto con gli spettatori, presentandosi alla platea con la propria identità creando un contatto diretto con l’Io individuo e non con l’Io personaggio. Questa vicinanza continua per tutta la durata per giungere con l’atto conclusivo a Montag (Davide Fasano), che rompe l’illusione teatrale correndo fra il pubblico.

Flavia Comi (Mildred), donna nevrotica moglie di Montag, con il suo visore a realtà aumentata, evoluzione degli schermi televisivi descritti nel romanzo di Bradbury, vive lo sviluppo dell’alienazione e di una società che porta all’isolamento. Il tema dell’isolamento è una costante dell’opera, in cui il tempo si blocca e accelera, creando con la condizione imposta dalle tecnologie un mondo alternativo fatto di pagliacci che ti mostreranno un unico aspetto della realtà nascondendoti agli orrori del mondo reale che ti circonda. Per citare un’affermazione del capitano Beaty: “Svuota i teatri e lascia solo i pagliacci. Se vuoi che qualcuno sia felice non dirgli mai che ci sono due aspetti di una questione”.

Unici personaggi che salveranno Montag dalla follia di azzeramento di ogni cultura convincendolo a nascondere dei libri sono Clarissa e Faber (Cristiana Tramparulo e Fabio Mascagni). Nel momento in cui il pompiere (in inglese Fireman che tradotto letteralmente sarebbe “fuoco uomo” in questo futuro distopico appicca gli incendi invece di spegnarli) Montag, protagonista della rappresentazione, cerca di leggere dei libri sottratti alle fiamme, però si lamenta di non capire nulla di quello che legge. Questo dovrebbe portare a riflettere come nella mancanza di un gesto come la lettura e quindi nella mancanza di ripetizione e reminiscenza di quel gesto che forma la conoscenza, ogni forma di sapere venga perduto o facilmente frainteso. Nell’ultima scena dello spettacolo il protagonista entra in contatto con un gruppo di individui che disperatamente cercano di leggere per ricordare a memoria il contenuto dei libri, per tentare di salvare in qualche modo il sapere che quei libri portano. Ma come si sa la memoria è imperfetta e fallibile e i libri per quanto in parte salvati non saranno mai gli stessi.

In un mondo sommerso da impulsi, velocità, fatto di rapporti liquidi e di grande instabilità mondiale oggi diventa sempre più importante formarsi una propria opinione all’interno dell’enorme quantità di informazioni in cui siamo immersi, in molti casi sbagliate. Lo spettacolo sembra sollecitarci a mantenere intatto quello che è il nostro bagaglio culturale come specie umana in quanto potrebbe apparire inutile oggi ma rimane necessario per conservare la nostra identità.

Ars longa, vita brevis (Seneca, De brevitate vitae)

Questo monito latino viene ripreso letteralmente durante la performance, che si chiude con un malato che viene portato in barella a rivedere le opere dei grandi artisti tra cui l’opera di Matisse e ci ricorda come l’arte se non distrutta, continuerà a essere un bisogno dell’umanità nel suo essere creata, interpretata e rielaborata nel corso dei secoli.

Il pubblico costantemente chiamato in causa, pur nell’impossibilità di interagire, mostra a fine rappresentazione di condividere al punto da alzarsi in piedi per applaudire, approvando un messaggio che riecheggia una grande quantità di interrogativi.

Linda Steur e Giampiero Abate

creazione Sotterraneo
ideazione e regia Sara Bonaventura, Claudio Cirri, Daniele Villa
con Flavia Comi, Davide Fasano, Fabio Mascagni, Radu Murarasu, Cristiana Tramparulo
scrittura Daniele Villa

luci Marco Santambrogio
abiti di scena Ettore Lombardi
suoni Simone Arganini
coreografie Giulio Santolini
oggetti di scena Eva Sgrò
tecnica Monica Bosso
amministratrice di compagnia Luisa Bosi

produzione Teatro Metastasio di Prato, Sotterraneo, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale
con il sostegno di Centrale Fies / Passo Nord
residenze artistiche Centro di Residenza della Toscana (Fondazione Armunia Castiglioncello – CapoTrave/Kilowatt Sansepolcro), La Corte Ospitale, Centrale Fies / Passo Nord 

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