Chi può dire di essersi fermato ad osservare ogni cosa che lo circonda? Chi continua a vedere il mondo con gli occhi di un bambino -o di un alieno- stupendosi di tutto ciò che il proprio sguardo riesce a cogliere, come se fosse sempre la prima volta?
Vi sono persone che non hanno mai effettivamente guardato il mondo nella sua interezza, partendo dal più piccolo particolare fino ad arrivare ad una visione completa e globale del pianeta.
Non vi è quasi nessuno che, in questo nuovo millennio, non abbia utilizzato un software cartografico per eseguire movimenti di allontanamento da un punto su una mappa.
Questo viene fatto tramite il comando zoom out, dal titolo dell’opera, che significa “allontanarsi”. Ed è proprio di questo che tratta lo spettacolo: l’uomo dovrebbe posare lo sguardo sulla Terra come se la vedesse per la prima volta e per fare ciò, sarebbe meglio allontanarsi sempre di più, così da vederla nella sua totalità. Di come ci si debba soffermare per percepire ogni cosa, di come non si debba dare niente per scontato, come un astronauta che vede la Terra nella sua interezza per la prima volta. Ne vede il blu dei mari, il verde delle piante e delle valli, mentre quello che credeva fosse un pianeta immenso, si trasforma in una piccola sfera multicolore.
L’opera prende ispirazione dal romanzo di fantascienza L’uomo che cadde sulla terra scritto da Walter Tevis, dal quale nacque anche l’omonimo film per la regia di Nicolas Roeg, interpretato da David Bowie nei panni di un extra terrestre che si ritrova su un pianeta a lui sconosciuto.
Il duo Th[on]gu cerca di riprodurre la fascinazione e l’alienazione del protagonista che per la prima volte conosce la Terra, solcando il palco della Casa Teatro Ragazzi di Torino il 6 Giugno durante il Festival delle Colline Torinesi (tenutosi dal 2 al 20 Giugno).
La scenografia è essenziale, non vi è nulla se non l’attrice, Guendalina Tondo, che grazie alla sua interpretazione riempie la scena. Il duo ha indubbiamente preso decisioni creative audaci dato la semplicità scenica e l’accostamento di rumori forti improvvisi che vanno a sostituire il rilassante silenzio, spezzato solo dalla voce dell’interprete; e le accecanti luci, quasi disturbanti, che sostituiscono con uno stacco netto il nero profondo in cui si trova immerso sia il palco che il pubblico per quasi tutta la durata della performance.
Al lato del palco, si trova Riccardo Giovinetto, che accompagna il monologo della Tondo con musiche ed effetti sonori. Anche a lui va riconosciuta grande maestria nell’effettuare cambi repentini di rumori e luci cogliendo lo spettatore di sorpresa.
Altro elemento presente sulla scena è un pannello di retro proiezione posto sopra la testa dell’attrice, sul quale vediamo riprodotti un cielo azzurro e degl’alberi visti dal basso, quasi a dare l’idea di trovarci in mezzo alla natura.
L’opera non ha una vera e propria trama lineare, ma il tutto si basa sull’osservazione di ciò che ci circonda.
L’attrice inizia a raccontare di fotografie, scattate in diversi luoghi, che tappezzano ogni angolo del mondo. Rappresentano il microscopio ed è da queste che parte lo zoom out; dalla pupilla di un occhio alla piccola sfera vista dall’astronauta.
Quello che i Th[on]gu vogliono raccontare è come sia effettivamente difficile, nella società moderna, fermarsi per osservare ciò che ci circonda, poter bloccare il tempo per vivere questo mondo nella sua totalità. Per questo s’impegnano a ricordarci chi siamo e da dove veniamo.
Ho avuto modo di confrontarmi con alcune persone presenti tra il pubblico ed ho riscontrato opinioni contrastanti. Se da una parte l’interpretazione di Guendalina Tondo è stata di gran lunga apprezzata (l’attrice infatti è stata applaudita per diversi minuti da tutta la sala), dall’altra l’opera in sé ha riscosso in alcuni titubanza ed incertezza. Il copione infatti è molto conciso e ripetitivo ed io stessa ritengo che forse la compagnia avrebbe potuto trattare l’argomento più ampiamente, evitando le diverse ripetizioni che potrebbero portare in certi spettatori noia ed indifferenza.
Molto apprezzata inoltre la scenografia spoglia e la decisione di non utilizzare alcun microfono, come a coinvolgere dentro la scena ogni singolo spettatore; sensazione amplificata dalla ridotta dimensione della sala.
L’impostazione e l’intonazione di voce di Guendalina Tondo sono di grande impatto.
Durante uno dei tanti momenti di buio, infatti, è stata in grado di guidare lo spettatore nel suo nuovo mondo, sempre lo stesso ma al contempo totalmente diverso.
Di far vedere tramite la sua voce. Cosa che attraverso gli occhi non saremmo stati in grado di percepire con tanta forza. Il tutto reso ancora più alienante dal totale silenzio della scena.
E’ uno spettacolo su come guardiamo il mondo. Su come lo percepiamo e, per la maggior parte delle volte, su come non lo percepiamo così da non doverci fermare davanti a niente; in questa realtà dove nessuno ha più tempo per altro, se non per se stessi.
Posso affermare che durante i quaranta minuti di spettacolo mi sono allontanata dalla realtà per riscoprirne una nuova, piena di dettagli e colori, senza mai alzarmi dalla sedia e, in alcuni momenti, aprire gli occhi.