La prima stagione del teatro Marcidofilm è stata inaugurata lo scorso anno, in onore dei trent’anni della compagnia Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa. La scelta del primo lavoro è ricaduta sul AmletOne! Dopo il successo della scorsa stagione, lo spettacolo è stato riproposto anche nel calendario di quest’anno, dal 9 al 13 novembre.
Come l’apertura del nuovo teatro, anche l’inizio dello spettacolo è stato prorompente. Il telo che a prima vista poteva parere semplicemente un eccentrico sipario viene trapassato all’improvviso da dei lunghi tubi. Le voci corali, inconfondibile caratteristica della compagnia, rompono il silenzio attraverso i loro strani megafoni trattando subito uno degli argomenti simbolo dell’Amleto di Shakespeare, una meditazione sull’essere. Da dietro la tela ci viene narrato una specie di prologo e una considerazione sull’opera. Compaiono quindi delle ombre in movimento ed è così che vedremo per la prima volta i personaggi. Poi i buchi che sono stati fatti sulla tela rimangono vuoti e ciò che segue sarà un intero minuto di totale buio accompagnato da forti rumori. L’effetto che si crea nel buio improvviso, utilizzato poi anche in una successiva scena, è davvero efficace e viene distrutto e fortificato da ciò che ci troviamo davanti alla riaccensione delle luci: una vera e propria fiammata.
Ora il palco è visibile, la scenografia è composta da strutture regolari e da scale, ma ciò che non ci si aspetta sono i colori. Dominante è il giallo fosforescente e lo stridente contrasto con il rosso, il nero e il bianco. I colori sono presenti tutti assieme su ogni struttura e sopratutto, in forme diverse, su ogni tuta e sui volti dei personaggi che attendono fermi guardando il pubblico. Ci viene presentata subito la corte e i vari personaggi circondano i due troni centrali su cui sono seduti Gertrude e Claudio, interpretati da Maria Luisa Abate e Marco Isidori, anche autore e regista di questa personalissima versione dell’Amleto.
Ogni personaggio è caratterizzato in maniera differente. Gertrude e Claudio hanno il viso tirato con dello scotch rosso cosicché le loro espressioni ci paiano quasi falsate e il loro ghigno evidenziato. Ofelia, simbolo dell’amore nell’opera, ha un cuore bianco bordato di rosso sull’intero volto giallo e la sua femminilità è rafforzata da un costume rigonfio che le evidenzia i fianchi. Polonio è invece un uomo stabile e sembra un consigliere retto e giusto, i decori del suo costume sono infatti simmetrici e sulla fronte presenta un cerchio rosso mentre il volto è interamente bianco. Laerte ha disegnata sul volto una figura spigolosa a scale che forse vuole simboleggiare il cambiamento che durante l’opera ha nei confronti dello stesso Amleto.
Scelta molto particolare è invece il teschio raffigurato in testa a Orazio. Esso può simboleggiare sia il rapporto che il personaggio ha con gli spettri e quindi con la morte o essere semplicemente un divertente escamotage per rendere in scena l’ormai simbolica immagine di Amleto pensieroso con in mano il teschio.
Il protagonista è la figura che ha maggior risalto e a differenza degli altri personaggi non presenta alcun tono sgargiante, è l’unico che veste interamente di nero con linee a saetta argentate. Paolo Oricco, che ne dà una forte interpretazione, ha il volto interamente bianco con gli occhi cerchiati di nero e i capelli sottilissimi e molto chiari seguono i movimenti dati dalla sua pazzia. In tal modo viene anche evidenziata una certa fragilità del personaggio, oltre all’ovvio dualismo, grazie al gioco di bianco e nero.
La simmetria presente nelle scenografie e negli spostamenti degli attori accentua la totale sregolatezza che mano a mano si impossessa in primo luogo di Amleto, poi di Ofelia e per come si atteggiano in scena anche degli altri protagonisti.
Come al solito le scenografie di Daniela del Cin si trasformano presto anche in macchine teatrali, cosicché nei cambi di scena a vista, realizzati dagli stessi personaggi, gli attori possano fare ampio uso delle variazioni d’ambiente che si creano. In questo modo le varie figure divengono un tutt’uno con il palco e le situazioni ci sembrano, nonostante le esagerazioni o modifiche dei Marcido Marcidorjs, perfettamente legate alla scena. Avremo quindi Amleto e Ofelia che dialogano in bilico su una sbarra portata sul proscenio e lo squilibrio di entrambi si accentuerà, ed é in questo momento che viene appena citato il monologo dell'<essere o non essere>.
Un altro gioco divertente è stato fatto grazie alla scena del teatro nel teatro presente anche nell’opera originale. In questo modo le varie voci dei personaggi ed il monologo di Amleto elogiano la stessa “finzione amica” e rendono lo spettacolo a corte un discorso meta-teatrale.
“Lo spettacolo” spiega Maria Luisa Abate in un’intervista “parte come una specie di ingranaggio e poi monta. Più gli oggetti vengono sparpagliati, più si allontanano dal centro della scena e più l’azione si fa forte!” . È infatti questo che vediamo: uno smontarsi e rimontarsi della scena che è perfettamente in linea con la storia e con l’evoluzione dei personaggi.
“Fino ad arrivare all’assoluto niente, a tutto nero” e vediamo quindi svolgersi lo scontro finale con poca luce e senza più evidenza dei colori sgargianti. Amleto e Laerte saranno sospesi con dei cavi e sorretti dagli altri attori, mentre il resto della scenografia sarà quasi scomparsa.
Marco Isidori ha preso il testo e ha fatto in modo di renderlo suo e adatto ai nostri giorni, e come ha detto la stessa Abate ha tentato di “riportare quello che ci può ancora interessare di queste parole, di questa tradizione, nella modernità”
“Una fiammata” lo descrive Paolo Oricco, poiché ai nostri giorni non vi é motivo di presentare al pubblico l’Amleto originale. I tempi e i temi devono quindi seguire e soddisfare il pubblico, il quale deve comprendere e sentirsi vicino a ciò che viene rappresentato. Vengono per questo citati Trappola per Topi di Agatha Christie e sentiamo nel finale una canzone di Sergio Endrigo. Veniamo trasportati ai giorni nostri insieme a questo Amletone molto scherzoso.
“Abbiamo voluto che questo Amleto fosse un Amleto-Marcido, che fosse quindi esagerato, potente ma che allo stesso tempo il pubblico riconoscesse l’Amleto che si aspetta”